#PoetProfile: Sylvia Plath – pt. 2

Buon lunedì, buona Pasqua in ritardo e buona Pasquetta!

E’ incredibile essere qui dopo quasi due anni, ma non del tutto, quindi sono ancora nell’anno e qualcosa di attesa per la pubblicazione della seconda parte dell’articolo #poetprofile su Sylvia Plath.

In questa rubrica parliamo in ogni appuntamento di un poeta/poetessa, parlando della vita di questi, delle poesie più significative e rappresentative, avanzando pian piano anche nella scoperta della vita appunto del poeta/poetessa in questione.

Lo so, ci ho solo messo qualche era geologica e che sarà mai, e insomma, ed eccoci qui, evviva, evviva.

Prometto solennemente che per gli altri articoli di questa rubrica, perché di sicuro ce ne saranno altri, non mi perderò per un tempo così infinitamente lungo ed interminabile. Questa tipologia di articolo richiede senza dubbio parecchio tempo e ricerca per la preparazione perché ci tengo a fare tutte le ricerche del caso, fare letture approfondite ecc. ecc.

Quindi il prossimo poeta di cui parleremo potrebbe sbucare tra un pochino di tempo, proprio ora ho in preparazione l’articolo su Alda Merini, che sarà appunto la prossima poetessa ospite in questa rubrica.

Bene, dato che vi ho fatto aspettare anche troppo direi di iniziare con la seconda e ultima parte dell’appuntamento di #poetprofile su Sylvia Plath.

Ultima piccola postilla, vi lascio qui il link alla prima parte di cui nel mio piccolo vado molto fiera e spero vi possa piacere lo stile e la struttura scelti per il racconto.

Sylvia Plath e Ted Hughes
Sylvia Plath e Ted Hughes

Ted Hughes, il Matrimonio e l’Insegnamento (1956-1957)

Il 19 febbraio del 1956 Sylvia Plath si lascia andare a varie riflessioni sul suo diario, riflette su Richard Sasson ormai lontano da lei, sembra una presenza assente, ma sempre presente che la segue come un fantasma, ma si lascia anche andare ad un lieve riferimento ai mesi precedenti sentendosi scoraggiata nei confronti della poesia e ricollegandosi a Lazzaro per la sua rinascita.

“Il bravo revisore e scrittore, alleato delle generose, opposte forze creative, grida con implacabile precisione: “Impostore, impostore.” Come tutti in coro hanno gridato per sei mesi in quel cupo anno di inferno.[…] Ero morta e sono resuscitata e mi aggrappo al valore puramente sensoriale del suicidio, dell’esserci andata proprio vicino, di uscire dalla tomba con le cicatrici.”1

Nei diari in quei freddi giorni di febbraio Sylvia Plath mostra i suoi pensieri e le sue paure più intime riguardanti il suo futuro sentimentale, il suo voler essere madre e la sua “rivalutazione” degli uomini che ha conosciuto: “E Richard non mi darà dei figli. Ma da lui lo vorrei un figlio.[…]Voglio mia Madre e addirittura Gordon, anche se le sue debolezze… mi danno la nausea.2

Sabato 25 febbraio Sylvia va alla serata inaugurale della rivista studentesca “St. Botholph’s Review”, a Falcon Yard nei locali della Women’s Union. Una rivista fondata da vari studenti, molti dei quali poeti che si ritrovavano in posizioni fortemente antitradizionaliste. Nel gennaio proprio del ‘56 alcune poesie di Sylvia furono pubblicate su una rivista intitolata “Chequer” e furono oggetto, poco tempo dopo, di forti critiche ironiche e aggressive su un quindicinale mimeografato intitolato “Broadsheet” edito proprio da alcuni poeti del gruppo di St. Botholph. La poesia di Sylvia rappresentava tutto ciò che loro criticavano con astio e velenosa ironia, uno stile troppo classico secondo le loro idee. Sylvia era stata invitata a questo party da un amico, Hamish e sapendo che avrebbe ritrovato coloro che l’avevano criticata (Sylvia si era sentita mortificata da questa derisione), si era presentata nel migliore dei modi. Aveva imparato a memoria alcune poesie pubblicate sulla rivista e si era preparata mentalmente e fisicamente a quel momento, acconciandosi e vestendosi con eleganti scarpe rosse e capelli tagliati raccolti sempre sotto una fascia rossa. Sempre per farsi coraggio, prima dell’arrivo alla festa, fece una sosta ad un pub e bevve diversi whisky macs. All’arrivo al party Sylvia individuò il ragazzo che le aveva smosso quelle critiche e gli rivolse una frase ironica che si era preparata da tempo. Dopo vari giri di ballo e battute urlate a squarciagola Sylvia individuò un bel ragazzo bruno, alto oltre un metro e ottanta che non passava di certo inosservato, il suo nome era Ted Hughes e il giorno dopo sul suo diario Sylvia lo descrive in questo modo: “Quell’atletico ragazzone bruno, l’unico enorme abbastanza per me, che andava in giro a piegarsi in avanti sulle ragazze e il cui nome avevo chiesto appena messo piede nella stanza […] si è avvicinato e mi ha guardato fisso negli occhi ed era Ted Hughes. […] Il primo uomo da che vivo che potrebbe far saltare in aria Richard.3

Dopo questo primo scambio di sguardi i due si spostarono in una stanza e continuarono a parlare urlandosi quasi in viso e ad un tratto Ted la baciò e Sylvia rispose mordendogli con forza la guancia a sangue, Ted allora le strappa gli orecchini d’argento e la fascia per capelli e se ne va. Quella sera lascia la festa in compagnia della ragazza con cui faceva coppia all’epoca, i due non si rivedranno prima di un mese, il 23 marzo, a causa di spostamenti vari di entrambi. Quella sera al party Sylvia incontra anche Lucas Myers uno dei ragazzi con cui aveva ballato, amico di Ted e poeta presente all’interno della rosa dei curatori della rivista, dedica qualche riga nei suoi diari anche a lui soffermandosi soprattutto sul lato estetico. Myers era americano come lei e quella sera era entrato nella rosa dei possibili ragazzi d’interesse per Sylvia anche per le sue “sestine che strapazzano e sfondano versi e regole”.4

Arrivati a questo punto del racconto facciamo la conoscenza di Ted Hughes (17 agosto 1930 – 28 ottobre 1998) appunto, poeta inglese che diverrà il marito di Sylvia Plath. Non era nato gentleman e non voleva diventare uno studioso, era arrivato a Cambridge grazie anche ad una buona dose di fortuna e qualche aiuto. Hughes proveniva da un ambiente piuttosto selvaggio, era un’amante della natura, uno scaltro osservatore degli animali e in generale un ricercatore del lato selvaggio legato soprattutto alla natura umana. Varie poesie del periodo di Cambridge e anche pre-Cambridge infatti sembrano volersi concentrare su una natura bestiale, come ad esempio “The Jaguar”, poesia di cui Hughes andò sempre molto fiero, frutto di una esperienza da guardiano notturno in uno zoo in cui ebbe modo di osservare da vicino i grandi felini. Questa è una delle poesie che Sylvia lesse sul St. Botholph’s Review e ne fu subito colpita.

“[…] On a short fierce fuse. Not in boredom—
The eye satisfied to be blind in fire,
By the bang of blood in the brain deaf the ear—
He spins from the bars, but there’s no cage to him

More than to the visionary his cell:

His stride is wildernesses of freedom:

The world rolls under the long thrust of his heel.

Over the cage floor the horizons come.”5

 Ted era un’appassionato di astrologia e secondo l’amico Lucas Myers fu sua sorella Olwyn Hughes a farlo avvicinare a questo mondo, Ted si divertiva a comporre il tema natale delle persone che conosceva, ad osservare e interpretare i vari aspetti di un tema. In Birthday Letters6, Ted scrive riguardo alla sera del 25 febbraio riguardo al primo incontro con Sylvia: “Ci sposava il sistema solare.”

Tema natale di Sylvia Plath

Ted viene dipinto dagli amici del tempo e non come un ragazzo piuttosto trasandato nell’aspetto, il poeta Philip Hobsmaun afferma: “Ted faceva spavento, portava vestiti di velluto a coste vecchi e puzzolenti e aveva i capelli unti pieni di grosse scaglie di forfora.7 In inverno e in estate Ted portava quasi sempre lo stesso tipo di abbigliamento sformato nero, pantaloni e giacche di velluto a coste comprati allo spaccio di una fabbrica del West Yorkshire di cui erano proprietari alcuni parenti e che lui stesso tingeva di nero. Insomma il suo stile andava controcorrente rispetto a quello bohémien sfoderato dai compagni di Cambridge. Ted aveva una voce calda, intensa, forte e vibrante, questo dettaglio torna tra l’altro in vari ricordi e racconti di conoscenti e amici. Il compagno di Sylvia per il party di quella sera a Falcon Yard, Hamish fu il primo a comunicare alla poetessa che Ted era “il più grande seduttore di Cambridge”, ma Sylvia grazie alle sue poesie sentiva di aver già iniziato in un qualche modo a comprendere la sua personalità. Entrambi si erano formati poeticamente con poeti quali W.B. Yeats, D.H. Lawrence, T.S. Eliot e Robert Graves, questa era la strada che Ted voleva seguire a livello poetico facendo tesoro degli anni di lettura e amore per questi poeti.

Comunque quella sera al party i due, in un incontro che segna l’inizio di una lunga storia, si lasciano dopo essersi baciati impossibilitati entrambi anche nelle settimane successive a dimenticarsi dell’altro/a.

Sylvia infatti dopo la festa viene riaccompagnata al dormitorio dal suo compagno di quella sera, si era presa una bella sbronza e il giorno dopo nonostante il mal di testa e i sintomi del post-ubriacatura scrive nel suo diario di Ted, del bacio e del suo desiderio di conoscerlo da sobria.

Già il 27 febbraio scrive per lui “Pursuit”, una poesia sulle forze oscure della lussuria.

Entro nella torre delle mie paure,
chiudo la porta su quella oscura colpa,
sprango la porta, tutte le porte sprango.
Il sangue corre, mi rimbomba
nelle orecchie: il passo
della pantera è sulle scale,
ora la sento che sale, che sale.
8

L’8 marzo nei suoi diari Sylvia esprime la sua preoccupazione per la nonna Schober, la nonna materna malata di cancro che verrà a mancare nel maggio dello stesso anno, il terrore di Sylvia riguardava il perdere la nonna proprio durante la sua assenza e il non rivederla più a casa, negli USA, al ritorno. In quello stesso giorno riflette anche su un argomento molto interessante anche in funzione di ciò che accadrà nei mesi successivi, pensa al padre e ad un suo futuro matrimonio, sembra quasi invocare il padre rattristata per il fatto di non averlo più e non poterlo più conoscere del tutto, ma sperando allo stesso tempo di non sposarsi un domani per questo motivo, ovvero il trovare un uomo che sostituisca nella sua psiche la figura del padre, o meglio la incarni, un marito-padre.

Abbiamo iniziato a parlare nella prima parte dell’articolo del padre di Sylvia, Otto Plath, che ha sicuramente avuto un ruolo centrale nella psiche della poetessa anche e soprattutto in seguito alla sua morte, soprattutto guardando al futuro ad “Ariel” e alle ultime poesie prima della morte.

Venerdì 9 marzo Sylvia viene a conoscenza del fatto che Ted è tornato a Cambridge e con l’amico Lucas Myers, nelle ore precedenti, appostato fuori dal pensionato dove lei alloggiava con altre studentesse straniere si era dilettato nel tirare zolle di terra contro la finestra che credeva sua. Ted ripeté questo atto anche alle due di notte di sabato e chi alloggiava nella stanza gli disse che lì non c’era Sylvia, ma che sarebbe andata a cercarla, solo che la ragazza dormiva profondamente e fu impossibile svegliarla.

Il 23 marzo il semestre invernale a Cambridge era terminato e gli studenti dovevano lasciare libere le loro stanze per due settimane, la Plath aveva programmato un viaggio sul Continente per recarsi come prima tappa a Parigi sperando di poter rivedere Richard Sasson. Prima di imbarcarsi però Sylvia si sarebbe fermata per una notte a Londra, infatti prenotò una camera in un albergo vicino alla casa di Ted, ma non mise in atto nessuna strategia o piano per mettersi in contatto con lui. Fu Ted invece a chiedere all’amico Myers di fare da intermediario. Lucas portò Sylvia al pub The Lamb all’epoca un ritrovo per poeti, con lui c’era anche l’amico Michael Boddy, e dopo poco propose di andare a casa di Ted. Una volta arrivati a Rugby Street, il rifugio di Hughes, i due lasciarono lui e Sylvia da soli. Myers e Boddy ritornarono al pub e rimasero lì fino all’orario di chiusura, poi tornati a Rugby Street persero tempo davanti all’appartamento prima di decidersi ad entrare. Affermano di aver trovato Ted e Sylvia persi nel loro mondo, seduti faccia a faccia, vicini, lui proteso in avanti intento a sussurrarle qualcosa. Myers ricorda che Sylvia sembrava confusa e Ted si offrì di riaccompagnarla in albergo. Anni dopo in Birthday Letters9, Hughes afferma che quella notte Sylvia gli aveva raccontato della sua depressione e del tentativo di suicidio nel ‘53.

Quella notte fecero l’amore per la prima volta e il mattino dopo Sylvia partì per Parigi dove l’aspettava una cocente delusione, quella di non trovare Sasson da nessuna parte. La portinaia infatti comunica a Sylvia che Richard non è in casa e con tutta probabilità tornerà solo dopo Pasqua. La poetessa si siede nel suo salotto e in lacrime gli scrive una lettera: “Mi sono seduta nel suo salotto e ho scritto una lettera incoerente mentre le lacrime cadevano brucianti a bagnare la carta e il suo barboncino nero mi carezzava con la zampa e la radio strombazzava: “Sorridi anche se ti si spezza il cuore”. Ho scritto e scritto, pensando che per chissà quale miracolo lui avrebbe varcato la soglia. Ma non aveva lasciato un recapito, né messaggi, e le mie lettere che lo scongiuravano di tornare in tempo giacevano lì, tristi e ancora chiuse. Ero davvero sorpresa della mia situazione: mai prima un uomo se ne era andato lasciandomi a piangergli dietro…10

Quel viaggio ovviamente proseguì fra alti e bassi, Sylvia si riprese da questa delusione poco dopo, in una scena che per volere di Frances McCullough (curatrice con Ted Hughes dei diari pubblicati postumi) non fu inserita, la giovane dopo questa visita straziante decide di godersi due caffè in una brasserie e di leggere l’Antigone di Anouilh. In questo clima rilassato, Sylvia ritrova la calma dopo la tempesta a casa di Sasson.

La giovane cerca di godersi il viaggio, incontra anche un italiano di nome Giovanni che gli presta la sua Olivetti per la scrittura, un giornalista corrispondente da Parigi di “Paese Sera”, descritto da Sylvia come un giornalista italiano comunista, molto colto. Incontra anche Gordon Lameyer, suo ex fidanzato con cui deciderà di intraprendere un viaggio in Germania e Italia, che avrà un esito disastroso, i due infatti non fecero altro che litigare per tutto il tempo.

Il 6 aprile prima di partire per Monaco, Sylvia invia a Ted una cartolina, preparando il terreno per un nuovo incontro. Lui le rispose con due brevi lettere, destinate ad un arrivo tumultuoso e incerto con l’American Express di Parigi, lettere che alla fine però arrivarono a destinazione e quando il 13 di aprile Sylvia sbarca in Inghilterra corre dritta da Ted.

Da quel momento i due diventano una coppia ufficiale, Sylvia inizia a fare progetti per Ted e per il loro futuro, cerca di concentrarsi sugli studi a Cambridge ma non può fare a meno di iniziare a fantasticare e intanto cerca di convincere Ted a trovarsi un lavoro temporaneo in Spagna come insegnante, in attesa della fine degli studi.

Nel corso di queste settimane di frequentazione e forte innamoramento tra lei e Ted, Sylvia scrive alla madre parole chiare e dirette riguardo il fatto di essersi innamorata e presenta il suo fidanzato con tutte le lodi possibili: “La cosa più rovinosa è che in questi ultimi due mesi mi sono scoperta terribilmente innamorata, il che può solo finire in un gran dolore. Ho conosciuto l’uomo più forte del mondo, un brillante poeta già studente di Cambridge,” (17 aprile 1956) – “E’ quest’uomo, questo poeta, questo Ted Hughes.” (19 aprile 1956) – “La mia voce sta prendendo forma, sta acquistando forza. Ted dice che non ha mai letto poesie di una donna come le mie,” (29 aprile 1956) – “Per la prima volta in vita mia, mamma, sono in pace.” (3 maggio ‘56) – “[…] non c’è niente che io desideri di più al mondo che sposarmi con Ted…” (4 maggio ‘56).11

St. George the Martyr Church

A maggio i due decidono di programmare il matrimonio per il giugno del 1957 a Wellesley, ma durante la visita della madre di Sylvia nel giugno dello stesso anno (’56) i due prendono l’improvvisa e repentina decisione di sposarsi subito, infatti il 16 giugno, Bloomsday, la data resa celebre dall’Ulisse di Joyce, i due convogliano a nozze, quasi in segreto in una chiesa di Londra, la Chiesa di San Giorgio Martire. Aurelia Plath fu l’unico parente presente alla cerimonia. Hughes non fece parola con la propria famiglia del matrimonio, probabilmente perché fu un evento improvviso, ma non disse nulla nemmeno il giorno dopo quando tornò brevemente a casa dai genitori, nello Yorkshire.

Due giorni dopo Sylvia scrive una lettera al fratello Warren, in quel periodo in Austria con un programma di scambio, per comunicargli la lieta notizia, non parla di questo cambio di programma, del perché di questa scelta, ma dice di voler tenere segreto il matrimonio per paura di perdere la borsa di studio Fullbright e il posto al Newhamn College, convinta che fossero riservati solo a studentesse nubili. Gli comunica anche di volersi sposare una seconda volta, l’anno seguente a Wellesley e avere stavolta la possibilità di averlo come testimone.

Dopo il matrimonio i due passano l’estate in luna di miele nel paesino di Benidorm in Spagna, dove entrambi scrivono e si godono la vita da novelli sposi, Sylvia si sente anche in vena di “ricominciare a scrivere in prosa, da da quando ho superato quel brutto periodo in cui scrivevo malissimo”, comunica in una lettera alla madre del 25 luglio.

The Beacon, Heptonstall Slack, West Yorkshire

A settembre i due vanno per la prima volta a fare visita insieme alla famiglia di Ted a Heptonstall Slack nel West Yorkshire, dove Sylvia trae ispirazione per la scrittura del racconto “All the Dead Dears”.

Il padre di Ted, Billie Hughes, era solito raccontare aneddoti sulla guerra e sulle proprie esperienze sul campo di battaglia, quelle storie su Ted nel corso del tempo avevano iniziato ad avere un effetto piatto, non riusciva a trovare in queste un qualcosa in più che riuscisse in un qualche modo ad ispirarlo creativamente. Durante quel soggiorno si pensa che Billie abbia iniziato a raccontare questi aneddoti anche a Sylvia, che a differenza del marito aveva un certo interesse per questi e Ted si rese conto di quanto fosse bravo a raccontare il padre, Billie soprannominato “Pa”. Le poesie con cui si conclude la raccolta “The Hawk in the Rain” prima pubblicazione di Ted del 1957 nacquero probabilmente da quella visita.

Prima raccolta poetica pubblicata nel ’57 di Ted Hughes

La madre di Ted, Edith Hughes discendeva dai Farrar, antica famiglia del West Yorkshire la cui presenza è documentata nella regione fin dal 1471, Ted era convinto che le doti di narratrice di lei e il proprio talento poetico fossero dovuti alle origini celtiche di lei, narratrice di trasmissioni per la BBC e non solo. Si pensa anche che fu proprio la madre di Ted, particolarmente sensitiva e vicina al mondo spirituale e sovrannaturale, ad iniziarlo ad alcune sue passioni che lo accompagneranno poi per tutta la vita, come appunto l’astrologia, l’ipnosi e il controllo della mente. Si diceva che Edith avesse il dono della preveggenza e nei suoi diari, Sylvia, proprio durante quella visita a casa dei genitori di Ted commentò sui suoi diari che la suocera aveva “quasi” quel dono.

Comunque i due furono accolti con entusiasmo dai genitori di Ted, la Plath ascoltò con curiosità tutti gli aneddoti raccontanti dai parenti acquisiti e scrisse alla madre che per un paio di ore al giorno batteva a macchina racconti sotto dettatura di Ted.

Successivamente la coppia tornò a Cambridge e si sistemò momentaneamente in un appartamento sudicio su Eltisley Avenue e di avviarono alla vita casalinga mentre Sylvia completava i suoi studi.

Nel febbraio del 1957 sul suo diario, Sylvia inizia ad abbozzare velocemente qualche idea o sprazzo di idea per ciò che diventerà The Bell Jar o La Campana di Vetro.

Dopo la parentesi di Cambridge nel luglio dello stesso anno Sylvia e Ted si godono una lunga vacanza organizzata da Aurelia a Cape Cod prima dell’inizio dell’anno di insegnamento di Sylvia allo Smith College, lo stesso college privato femminile che aveva frequentato lei nel 1950. I due quindi dall’Inghilterra si trasferiscono in America, Sylvia pensa che l’insegnamento potrà aiutarla in questo anno di limbo prima di capire come dirigere la sua vita letteraria/lavorativa.

Del ‘57 è la poesia “I Tipi Sottili” (The Thin People) in cui Sylvia evoca scenari di morte e guerra legati ai cinegiornali della Seconda Guerra Mondiale come fa anche nella poesia “Daddy” del ‘62 in cui ricollega il padre ai tedeschi, all’olocausto e ai campi di concentramento. Sylvia assiste a queste immagini e la sua spiccata sensibilità la dilania, sente su di sè il dolore altrui che la devasta e la schiaccia. Ted Hughes avrebbe raccontato poi che la poetessa aveva una sensibilità esasperata, anche in merito alle sue reazioni riguardanti i patimenti degli animali, e persino alla profanazione delle piante che erano violente e strazianti.

Sono sempre con noi, i tipi sottili

poveri di dimensioni come le figure grigie

sullo schermo del cinema. Non sono

veri, diciamo:

fu solo in un film, fu solo in una guerra

che riempiva di titoli paurosi i giornali quando

eravamo bambini, che per la fame

dimagrirono tanto e non rimpolparono più

le membra sparute benché la pace

arrotondasse il ventre dei topi

sotto la più misera mensa.

Fu durante la lunga battaglia della fame

che scoprirono il loro talento a perseverare

in sottigliezza, per infilarsi poi

nei nostri brutti sogni, minacciando

non con fucili, non con la violenza,

ma con un silenzio sottile.12

Nei suoi diari riguardo quella lunga vacanza nell’estate del ’57 Sylvia parla dei libri che legge, dei suoi piani per il futuro (il futuro di entrambi sia lei che Ted) e della vita matrimoniale, cercando quasi di auto-spronarsi nella scrittura, il 9 agosto scrive: “Mai nella mia vita, eccetto per l’estate e l’autunno micidiali del 1953, avevo passato due settimane nere e infernali come queste. Non sono riuscita a scriverne nemmeno una parola, anche se nella mia testa non facevo altro. Il terrore, giorno dopo giorno, di essere incinta. Ricordando la crescente noncuranza per la contraccezione, come se non potesse succedere proprio a me; bam, bam, una porta dietro l’altra si chiudevano di colpo sul terrore incombente, che, ora lo so, avrebbe distrutto me, forse Ted, e la nostra scrittura, la nostra possibile unione inespugnabile.13

Quell’estate Sylvia subì anche un nuovo rifiuto al suo libro di poesie che la demoralizzò non poco.

Nel settembre del ’57 iniziò ad insegnare allo Smith College come insegnante di inglese e fu decisamente sorpresa dalla freddezza con cui venne accolta, proprio lei, studentessa promettente e giovane stella durante gli anni precedenti, in più Sylvia non si sentiva molto sicura riguardo le sue doti da insegnante, quella era la sua prima esperienza dopotutto.

Sylvia Plath nel 1959

Anne Sexton, Yaddo e The Colossus (1958 – 1959)

Le annotazioni nei diari del primo mese del 1958 parlano di una Sylvia decisamente sconfortata e stanca nei confronti dell’insegnamento, dell’assenza di scrittura nella sua vita, (il 14 gennaio scrive: “Vivo nel vuoto da sei mesi, non scrivo da un anno14), la sua esperienza come insegnante avrà di certo degli alti e bassi, ma il ’58 inizia in sordina per lei.

Dato che l’insegnamento allo Smith era di solo un anno, già nei primi mesi del nuovo anno la coppia inizia a fare programmi per l’esperienza post Smith College e University of Massachusetts, luogo in cui insegnava part-time Ted in quell’anno e pensano di trasferirsi a Boston per dedicarsi interamente alla scrittura.

Adrienne Rich (1929 – 2012)

Prima di passare a narrare del ’59 e di alcuni eventi decisamente importanti è secondo me più che giusto parlare di alcuni fatti che in quel 1958 ebbero un loro peso e sono emblematici anche per la riflessione sul rapporto fra lei e Ted. Attorno alla fine di marzo, Ted fu invitato a tenere una lettura ad Harvard, una grande occasione per lui, e a quell’evento Sylvia ebbe modo di incontrare Adrienne Rich, poetessa che stimava molto, ma che invidiava allo stesso modo e questa divenne la sua arcirivale, nei suoi diari la poetessa in momenti di sconforto per la scrittura tende infatti a paragonarsi a contemporanee (come Adrienne Rich o Anne Sexton), coloro che diventeranno nemesi di Sylvia.

Parlando di questo tema, quello dell’invidia, Sylvia scrive sul suo diario proprio nel ’58: “Sono gelosa, verde e schiumante di invidia, di livore. Ho letto le sei poetesse in New Poets od England and America. Noiose, pretenziose. A parte May Swenson e Adrienne Rich, nessuna è più brava di me, o ha pubblicato di più. Provo la giustificata, silenziosa malevolenza di chi ha scritto poesie migliori di quelle che hanno reso famose altre donne.

Nel maggio dello stesso anno e per qualche mese Sylvia annota i suoi appunti nei diari con una dose amplificata di rabbia e livore, sembra arrabbiarsi per i più piccoli incidenti, sembra stizzita nei confronti degli altri e anche del marito che una sera, le aveva espressamente chiesto di non andare ad una sua lettura, richiesta verso la quale Sylvia disubbedì.

Un altro episodio riguardante il marito ha a che fare con l’ultimo giorno di insegnamento allo Smith, nei diari Sylvia presenta questa scena in modo velenoso, rabbioso nei confronti di Ted, ed è forse il primo e l’unico episodio nei Diari in cui abbiamo modo di vedere da vicino la pura rabbia e il rancore nutrito dalla donna in quel momento verso il poeta. Sylvia narra della sua eccitazione riguardante il poter vedere il marito fuori dal College pronto ad attenderla, proprio in quel giorno così importante e invece: “Mentre uscivo a grandi passi dall’ombra fredda della biblioteca, le braccia nude gelate, ho avuto una precognizione. Sapevo quel che avrei visto, quello a cui sarei andata inevitabilmente incontro, e lo so da moltissimo tempo anche se non ero sicura del luogo o della data del primo schianto. Ted veniva su per la strada di Paradise Pond, dove le ragazze vanno a pomiciare con i fidanzanti nei fine settimana. Camminava con sulla faccia un ampio, caldo sorriso, occhi negli occhi da cerbiatta di una giovane sconosciuta con i capelli sul castano, un largo sorriso di rossetto e le grosse gambe nude sotto un paio di bermuda cachi. […] Lo sguardo si è fatto colpevole e si è messa letteralmente a correre. […] Le scuse false, gran confusione di nomi e classi. Tutto finto. Tutto fasullo. E lo sguardo colpevole, di stupita consapevolezza della presenza sbagliata.” La situazione sembra comunque risanarsi verso l’11 giugno, quando scrive: “E’ ritornato il sereno. Siamo tutti interi.15

Nel settembre del 1958, dopo essersi traferiti a Boston e aver archiviato l’esperienza dello Smith College, Sylvia iniziò a lavorare part-time come receptionist nel reparto psichiatrico del Massachusetts General Hospital, si occupava delle cartelle dei pazienti. L’esperienza le ispirò senza ombra di dubbio uno dei suoi racconti più famosi, “Johnny Panic and The Bible of Dreams“.

In quel periodo Sylvia riprese gli incontri con Ruth Beuscher, la sua vecchia terapeuta, senza dire nulla alla madre o al marito. Da questi incontri inizierà una lunga e lenta analisi del rapporto tra lei e la madre Aurelia e il padre Otto, morto quando lei era piccola, ne abbiamo accennato nella prima parte dell’articolo. Sylvia avrà modo di comprendere meglio la natura del suo legame con loro, in particolare con la madre Aurelia, madre con cui lei aveva un rapporto quasi simbiotico, pensiero sempre fisso nella mente della poetessa, ma in un certo senso anche figura austera e giudice, sempre pronta ad alzare un’asticella immaginaria che Sylvia sentiva di dover sempre superare, per essere perfetta agli occhi di Aurelia, come se la donna volesse realizzarsi tramite la figlia. Il rapporto tra loro ad un primo sguardo può sembrare perfetto, le lettere dolci di Sylvia, le visite di Aurelia, il suo supporto, ma indagando ed entrando nelle dinamiche interne si comprende la durezza della facciata di falsità che a volte ritroviamo appunto nelle “Lettere alla Madre”. Questo mostrare una realtà ed uno stato d’animo perfetto ed equilibrato da parte di Sylvia, in parte per non far preoccupare la madre e in parte per non deluderla o rompere quel quadro idilliaco che voleva mostrarle. Dal quadro che ne emerge Aurelia non era una donna particolarmente incline alla piena comprensione dei disturbi che affliggevano la figlia, capita ad esempio nei diari di leggere risposte in un certo modo dure e severe nei confronti di Sylvia, come se la donna oscurasse le parentesi negative, anche nei rari momenti in cui in queste lettere la poetessa lascia trapelare il suo sconforto e il suo turbamento, ma Sylvia cerca fin che può di mentire e di presentare un qualcosa di rotto come perfetto.

Nei diari del dicembre 1958 Sylvia scrive: “Come esprimere l’odio per mia madre? Nel profondo delle mie emozioni penso a lei come a una nemica… Pensavo quanto sarebbe stato bello ucciderla, stringere tra le mani la sua gola tutta pelle e vene… Potrei passarle accanto in strada senza dirle una parola, tanto mi deprime. Ma è mia madre. Come gestire il rapporto con lei, l’ostilità incessante che provo nei suoi confronti?16

L’effetto di questi incontri fu ottimo, alcuni mesi dopo le diedero l’ispirazione per una delle sue opere più importanti, “Poema per un Compleanno“.17

Anne Sexton (1924 – 1974)

A Boston Sylvia partecipò a dei seminari di scrittura creativa con Robert Lowell alla Boston University, dove conobbe Anne Sexton, al momento dell’incontro Sylvia aveva 26 anni e Anne 30.

Anne divenne appunto una nemesi di Sylvia Plath, una amica-nemica, una poetessa che purtroppo nel ’74 condividerà lo stesso destino di Sylvia, morendo suicida.

Lowell le aveva accoppiate notando forse delle somiglianze fra le due o dei punti in comune, a riguardo Sylvia scrive nei suoi diari:A lezione Lowell ha analizzato quattro poesie mie, approfondendo la retorica. Mi mette sullo stesso livello di Anne Sexton: un onore, suppongo. Bè, era ora. Lei fa cose molto belle, e continua a migliorare, ma produce anche un sacco di robaccia.18

Sylvia e Anne avevano di certo dei punti in comune, erano cresciute entrambe a Wellesley, lo stesso sobborgo di Boston, ma non si erano mai incrociate o frequentate. Erano entrambe poetesse emergenti nell’America degli anni ’50 e avevano entrambe sofferto di depressione o disturbi psichici, Anne ad esempio era bipolare.

Erano diverse negli atteggiamenti, ma anche qui avevano dei punti in comune, si trattava senza dubbio di personalità molto forti che gli altri studenti del seminario ricordano bene, entrambe riuscivano ad emanare una certa aura di soggezione negli altri, Anne aveva uno stile più distratto, arrivava spesso in ritardo, era disinvolta, vestita con abiti solitamente accesi e sgargianti, spesso faceva cadere libri, fogli, appunti. Sylvia invece era una studentessa modello, era sempre puntuale, silenziosa, pareva sempre molto concentrata e attenta, non esitava nel criticare le poesie altrui anche con tono duro. Gli altri la ricordano come una figura severa, rigida, ma in realtà Sylvia era internamente fragile e insicura, sulla sua arte soprattutto.

Le due si davano appuntamenti settimanali al Ritz per bere Martini e per parlare di tutto, sesso, suicidio, poesia, arte e amore. Da questa parentesi del rapporto delle due poetesse è uscito nel 2021 un libro intitolato Three-martini Afternoons at the Ritz, una biografia che indaga proprio sul rapporto fra Anne e Sylvia.

In aprile Sylvia scrive e completa un libro per bambini, The Bed Book (A letto, bambini!) che verrà pubblicato molto tempo dopo la sua morte.

Nel maggio dello stesso anno il libro di Anne Sexton viene accettato da Houghton Mifflin e nel suo diario Sylvia scrive di ciò con toni rabbiosi mentre a giugno Sylvia riflette sul suo desiderio, ora più forte che mai di diventare madre.

Durante l’estate la coppia di sposi fece un giro per l’America, durante il quale Sylvia era incinta della sua prima figlia, Frieda Rebecca Hughes che verrà alla luce il 1° aprile 1960.

Yaddo, Saratoga Springs (NY)

Ma prima della fine del 1959 i due soggiornano, su invito, da settembre a novembre a Yaddo, famosa colonia per artisti a Saratoga Springs (NY) dove hanno i rispettivi studi situati in punti diversi della struttura, dopo anni di vita assieme relegati negli stessi spazi, a volte angusti, dove erano costretti a stiparsi e lavorare uno accanto all’altra. In questo periodo di tempo Sylvia ha modo di lavorare su “The Colossus” (Il Colosso), una raccolta di poesie di cui scrisse quasi un terzo proprio a Yaddo. La coppia poteva concentrarsi per sette ore al giorno sulla scrittura e Ted finì di scrivere le poesie che sarebbero apparse sul suo secondo libro, “Lupercal“.

In questo periodo i due continuarono ad ipnotizzarsi a vicenda, pratica ormai ben radicata nella coppia e nata dall’interesse di Ted, e a compiere esercizi di meditazione. Ted ha sempre pensato che, assieme alle sedute con Beuscher, furono proprio queste sedute di ipnotismo a Yaddo a far risvegliare in Sylvia determinate emozioni riguardanti le esperienze legate ai trattamenti di elettroshock e all’anno di ricovero, questa analisi fu senza dubbio dolorosa per Sylvia che con tutta probabilità fino a quel momento non aveva del tutto affrontato queste esperienze. Quindi questo momento segna un punto cruciale nella sua identità artistica e nella sua psiche creativa, perché riesce ad incorporare e a fare sue, a livello creativo, esperienze che prima relegava in un angolo senza toccarle perché appunto traumatiche.

Terminata l’esperienza a Yaddo, i due tornarono in Inghilterra, avevano già preso questa scelta mesi prima pensando alla futura nascita della bambina.

Foto scattata “nel bel mezzo del litigio”, luglio 1960

Trovarono un appartamento a Chalcot Square vicino a Primrose Hill, il posto era bello, ma l’appartamento era piccolo e composto da due stanzette anguste. Questa mancanza di spazio costringeva i due a lavorare a stretto contatto e ciò comportava interruzioni, liti anche per le questioni più banali e in generale parecchia tensione. Di questa tensione fu testimone anche il fotografo Hans Beacham, incaricato di eseguire una serie di ritratti di scrittori britannici. Arrivò dai due proprio nel mezzo di un litigio, Hans disse: “Hughes e la Plath erano entrambi di umor nero. Lui fu villano. A lei evidentemente non garbava che al centro dell’attenzione ci fosse soprattutto lui, cosa che invece non dispiaceva a Ted, il quale disse che era meglio uscire e comunque lui odiava i fotografi.[…] Naturalmente, a questo punto fu d’obbligo per me fotografarli insieme.19

Sylvia, Ted e Frieda

Frieda Rebecca, Londra e il desiderio di maternità (1960)

Il 1960 parte con le migliori premesse per la coppia, dopo il trasferimento a Londra, Sylvia dà alla luce appunto la piccola Frieda in casa, la nascita rende i coniugi certamente felici e il desiderio materno così forte e persistente in Sylvia affiorato soprattutto negli ultimi anni, viene soddisfatto.

The Colossus and other poems – S.P. 1960

Nei diari il 1960 manca completamente, fu un anno con la soddisfazione riguardante anche il lato letterario perché Sylvia firmò un contratto con la Heinemann per la pubblicazione di “The Colossus” che uscì in ottobre con la dedica “a Ted”, la sua prima raccolta di poesie, ma la nascita di Frieda l’assorbì molto e a livello di scrittura ebbe tempo solo per la corrispondenza.

Nelle lettere alla madre Sylvia aggiorna Aurelia costantemente sulla crescita di Frieda, le parla di come Ted si comporti come un padre perfetto, le dice quanto sia in completa ammirazione nei confronti della bimba e le parla di politica e attualità, inoltre insiste sul desiderio di volere altri bambini.

Sicuramente il tema della maternità nella vita di Sylvia Plath merita di essere affrontato e merita una parentesi a parte, è possibile notare come Sylvia in tutti gli ambiti della sua vita abbia sempre un duplice approccio e questo vale anche per il tema della maternità, di certo desidera più bambini e brama di essere madre perché convinta che questo la renda una donna completa, sul tema ad esempio nel corso degli anni (sempre nei diari) si lascia andare a frasi riguardanti il dono e la completezza di una donna nel mettere al mondo dei figli e sembra considerare le donne sterili invece aride sotto più punti di vista, come se l’essere fertile fosse inteso in più sensi, anche quello creativo e artistico.

Sylvia crede nella maternità e anzi pensa che questa sia essenziale per il raggiungimento di una sua personale completezza, al tempo stesso però sente il peso soffocante dei bambini che la strappano dalla poesia e dalla sua espansione creativa in più momenti, nonostante il tema dei figli torni spesso in varie poesie scritte negli ultimi anni, quindi i bambini sono una parte importante di lei che si fonde con il suo immaginario creativo, ma al tempo stesso possono diventare un peso.

In “The Colossus” ritroviamo All The Dead Dears e The Thin People.

Sylvia nel 1962 con Frieda e Nicholas

Nicholas, Assia e la Rottura (1961 – 1962)

All’inizio dell’anno Sylvia subì un aborto spontaneo e fu sottoposta ad un’appendicectomia qualche mese dopo.

Qui c’è da fare un breve discorso riguardante l’aborto che subì Sylvia, nei testi che io ho letto per la scrittura di questi articoli, tra cui ovviamente i diari, le biografie, le lettere alla madre e altri viene riportato brevemente questo fatto senza fornire particolari dettagli, ma in lettere inedite spuntate nel 2017, quindi fonti relativamente recenti rispetto ai testi in questione, Sylvia scrive alla sua terapeuta Ruth Beuscher di essere stata picchiata da suo marito Ted e di aver perso il bambino proprio in seguito a questo episodio.

Torneremo sicuramente su queste lettere anche per alcuni eventi futuri, ma è giusto dire prima che queste come riporta il The Guardian, sono lettere scritte in un periodo che va dal 18 febbraio 1960 al 4 febbraio 1963, facevano parte di una raccolta, appartenente a una studiosa americana, Harriet Rosenstein, intenzionata a scrivere una biografia sulla Plath. Sono state messe all’asta dall’antiquario Ken Lopez per un valore di 875mila dollari e questo ha fatto sì che siano state ritrovate. Sono state pubblicate negli USA e in Inghilterra nel 2018 come secondo volume del primo esistente che andava dal 1940 al 1956, quindi come una specie di prolungamento delle lettere pubblicate anni prima. Questo nuovo testo con lettere inedite ha una nota all’inizio scritta proprio da Frieda Hughes, figlia di Ted e Sylvia. In questa Frieda scrive di fatti molto interessanti ad esempio accenna anche alle dinamiche tra lei e sua zia Olwyn, non in toni positivi e fa riferimento ad una lettera di sua madre, Sylvia, in cui questa parla proprio della zia in modo dispregiativo come se Olwyn durante un loro incontro l’avesse letteralmente aggredita verbalmente, quindi sente di condividere le esperienze della madre nel rapporto con la zia.

Queste lettere non sono un falso o un ritrovato sospetto, ma sono reali e gettano certamente una luce nuova su una serie di fatti e sul rapporto tra la coppia di sposi, però sempre in questa nota iniziale Frieda mette le mani avanti e dice che secondo lei quantomeno alcuni fatti riportati dalla madre sarebbero il frutto di una donna/giovane madre sconvolta nel pieno del suo dolore emotivo: “In my mind, the letters were written by my distraught mother in the throes of her emotional pain; her side of the argument was the only side, and that was the side that everyone was sure to take. There would be no balancing argument; the quote that rendered my father a wife-beater had already been seized upon. He might be no angel, but where was the perspective?20 – “Secondo me, le lettere sono state scritte da mia madre in uno stato di sconvolgimento in preda al suo dolore emotivo; la sua parte nella discussione è l’unica, e quella è la parte che tutti erano sicuri di prendere. Non c’è alcun equilibrio in questa discussione; la citazione che rende mio padre un picchiatore di mogli era già stata colta al volo. Lui non sarà un angelo, ma dov’era la prospettiva?“.

Quindi ciò che Frieda dice è che è facile schierarsi subito dalla parte di Sylvia ovviamente leggendo di determinati fatti, ma l’altra campana, quella di Ted, non esiste in questa dinamica perché quando queste lettere sono state rese pubbliche il poeta era già deceduto e non ha mai potuto quindi dare la propria versione, smentire o difendersi in un qualche modo.

Detto ciò, io vi ho parlato di queste lettere e come dicevo le citerò in altri passaggi, anche perché queste esistono e sono assolutamente da considerare, ma ho voluto riportare un estratto dalla nota di Frieda per evidenziare questo discorso che lei fa nelle note.

Comunque, in queste lettere incriminate indirizzate a R. Beuscher Sylvia afferma di essere stata picchiata da Ted e di aver subito un aborto per questo anche se non è chiaro se l’aborto in questione sia quello del 1961 o un altro dell’estate del 1962: “Ted mi ha picchiato un paio di giorni prima dell’aborto: il bambino che ho perso avrebbe dovuto nascere il giorno del suo compleanno. È stata un’aberrazione, ma temo di avergliene dato motivo, avevo strappato alcune sue carte, ma solo a metà, in modo che potessero essere incollate di nuovo insieme, senza andare perse.” Alcune fonti ricollegano l’aborto del ’61 a violenze fisiche, ma questo passaggio è datato 22 settembre 1962 quindi non c’è prova in queste lettere che l’aborto del ’61 sia da ricondurre a violenze da parte del marito.

Dopo questo aborto Sylvia viene ricoverata per un’appendicectomia ad aprile e nei suoi diari racconta del ricovero in ospedale, parla di Ted che la va a trovare, descrive gli altri pazienti e la vita in ospedale citando l’elettroshock e sovrapponendo quindi questo ricovero a quello dei suoi vent’anni, secondo la biografia di Linda Wagner-Martin21 Sylvia aveva una scarsa esperienza con gli ospedali e tendeva a sovrapporre ogni ricovero (o possibile ricovero) alle sue esperienze traumatiche passate.

The Bell Jar – 1963

Sylvia si getta nella scrittura di The Bell Jar, La Campana di Vetro, romanzo fortemente autobiografico che la riporta alla sua depressione, ai suoi traumi passati e fa riaffiorare in lei una certa irrequietezza. Il romanzo uscirà solo nel 1963, un mese prima della sua morte.

A maggio uscì l’edizione americana di “The Colossus” che riscosse meno successo del previsto.

Un anno dopo la nascita di Frieda, Sylvia era incinta del suo secondo figlio, un maschio stavolta che verrà alla luce il 17 gennaio 1962 sempre in casa e verrà chiamato Nicholas Farrar Hughes.

Court Green – Devon

In vista della nascita del secondo figlio i due optano per un trasferimento, da Londra alla campagna, di preciso nel paesino di North Tawton nel Devon. Si sistemano in una dimora chiamata Court Green, circondata da un giardino piuttosto grande, era una casa ampia di dieci stanze, alquanto malandata, con il tetto di cannici, muri spessi quasi un metro e parti che risalivano all’undicesimo secolo. Era circondata da un vasto terreno che confinava da un lato con il cimitero. Sylvia all’inizio era restia a lasciare Londra, ma successivamente si convinse anche perché la vita in campagna era più economica. La dimora inoltre, era stata il rettorato di una chiesa anglicana del dodicesimo secolo.

Alla fine dell’estate la famiglia lascia Londra per un appartamento in momentaneo subaffitto, durante i lavori di restauro di Court Green, l’appartamento di questione è di proprietà di un poeta David Wevill e di sua moglie Assia Wevill.

I due si trasferirono negli ultimi mesi del 1961 e Sylvia scrive alla madre di non aver mai visto Ted così felice come nelle prime settimane di vita in quella nuova dimora: “ora può finalmente fare la vita che ha sempre sognato“.

A gennaio nasce appunto Nicholas, e risale a sei settimane dopo il suo radiodramma in versi “Three Women/Tre Donne22, le tre voci, che appartengono ad altrettante donne accomunate dalla medesima esperienza di maternità, parlano ma non rispondono l’una all’altra. Il dialogo non è tra loro, ma fra ognuna e la propria coscienza, in un racconto-confessione delle reciproche esperienze, un’indagine dell’esperienza conflittuale e potente della maternità.

“Aspetto, dolorante. Sto guarendo, credo. Ci sono molte altre cose da fare. Le mie mani sono abili a cucire il pizzo su questa stoffa. Mio marito può girare e girare le pagine del suo libro. E così siamo a casa insieme, dopo il lavoro. E’ solo il tempo che ci pesa sulle mani. E’ solo il tempo, e ha poca importanza. Le strade possono d’un tratto diventare carta, ma mi riprendo dalla lunga caduta, e mi ritrovo a letto, indenne sul materasso le mani pronte come per una caduta. Ritrovo me stessa. Non sono un’ombra, benché un’ombra si allunghi dai miei piedi. Sono una moglie. La città aspetta, dolorante. Le piccole erbe fendono la pietra, e sono verdi di vita.”

Nei diari di questo periodo ci sono pervenuti solamente dei dipinti o descrizioni che Sylvia scrive dei vicini/amici/conoscenti del Devon, sono separati dai veri e propri diari, ma sappiamo che Sylvia stava lavorando ad un secondo romanzo.

Sappiamo anche che dopo il trasferimento in campagna Ted si recava con frequenza a Londra per i suoi impegni con la BBC, mentre Sylvia in sua assenza gestiva i bambini, la casa e aveva come unico stimolo intellettuale i libri da recensire e i programmi alla radio.

Assia Wevill (1927 – 1969)

A maggio vengono a far visita alla famiglia proprio i coniugi Wevill e in questa occasione Sylvia nota una forte alchimia proprio fra Ted e Assia. David e Assia lavoravano entrambi nella pubblicità, ma avevano ambizioni letterarie, soprattutto David ed erano definiti dagli altri una “bella coppia”, lui descritto come “un personaggio di Fitzgerald” da un collega e lei con una bellezza esotica, “babilonese” come fu descritta da un poeta la prima volta che la vide.

La coppia va a cena una sera dagli Hughes e i quattro si intrattengono con le chiacchiere fino a tardi, quella sera la prima a lasciare la compagnia fu proprio Sylvia perché doveva svegliarsi presto per allattare Nicholas, disse qualcosa a Ted ma lui si intrattenne con gli ospiti. In un abbozzo di poesia, anni dopo, Hughes rivela di essere stato completamente rapito dal fascino di Assia alla fine della serata. Secondo alcune fonti la mossa di Assia fu programmata, proprio come aveva fatto Sylvia anni prima nella serata in cui incontrò per la prima volta Ted. Una delle confidenti di Assia racconta che alla vigilia di quella cena lei le avrebbe detto in tono leggero che si sarebbe truccata con la sua “pittura di guerra” per sedurre Ted Hughes, ma possono essere solo voci.

Dopo quell’incontro tra Ted e Assia iniziò, si pensa, una corrispondenza nascosta e man mano i due diventarono amanti. All’inizio di luglio Sylvia scopre il tradimento e questa notizia la colpisce duramente, il trauma è distruttivo e profondo.

Reagisce bruciando lettere, carte del marito, bozze per poesie e opere varie in un falò che un mese dopo descriverà in “Burning the Letters/Il Falò delle Lettere”, ci sono varie poesie però di quel periodo che fanno riferimento ad un sospetto di tradimento del marito come “The Other/L’ Altra”o “Words Heard, by Accident, over the Phone/Parole sentite, per Caso, al Telefono”.

“Questo fuoco potrà lambire e strisciare, ma è spietato:

una teca

in cui le mie dita vorrebbero entrare benché 

si sciolgano e si flettano, e gli venga detto

non toccare.

Ecco qua dunque la fine della scrittura,

degli agili uncini che si curvano e si prosternano, e i sorrisi,

i sorrisi.

Almeno adesso la soffitta sarà un bel posto.

Almeno io non sarò tesa sotto il pelo dell’acqua,

stupido pesce

con un occhio di stagno,

a spiare qualche barbaglio,

nel mio Mare Artico

tra questo e quel desiderio.”

15 agosto 1962

Qui citiamo di nuovo per una frazione di secondo le lettere inedite del 2017, perché in queste nei momenti post separazione Sylvia afferma che Ted desideri la sua morte e il 21 ottobre, dopo la loro separazione la poetessa scrive: “La mia vita, il senso della mia identità, mi sembrano rimbalzare verso di me da ogni lato, da posti sepolti e nascosti. Sapevo quello che volevo fare, sapevo chi ero“.

Durante la scoperta del tradimento e la lite che ne conseguì quel luglio è interessante anche gettare un occhio sulla figura di Aurelia, che era presente a Court Green in quei giorni per far visita alla figlia. Dopo il litigio e la cacciata di Ted da casa Sylvia preferì andare dall’amica Elizabeth Compton piuttosto che rimanere, magari a farsi consolare o a cercare un conforto, dalla madre. Questo è curioso e interessante anche in riferimento al discorso che abbiamo fatto del rapporto tra lei e Aurelia e la patina di falsità alla base. Compton comunque racconta che: “Mi disse che Ted amava un’altra, che lei conosceva Assia e ne era terrorizzata. Non faceva che piangere e mi stringeva le mani implorando: “Aiutami!“.23

Senza dubbio questa rottura ebbe un effetto devastante su Sylvia quantomeno all’inizio, ma le sue emozioni e la sua psiche sono molto più complesse da analizzare, non c’è solo la rabbia, c’è la distruzione di un ideale, la caduta di un mito come quello di Ted e del loro matrimonio e tutto quello che ciò comporta. Ma c’è anche il desiderio che esplode dopo poco di rivalsa, di vendetta, la potente spinta creativa che le permette di comporre “Ariel“, scatenata probabilmente da questa rabbia che appiccia la miccia di un genio creativo.

Ariel – 1965

Infatti la poetessa si rifugia nella poesia bruciata da un fuoco creativo che la incendia, in questo periodo nascono i tre quarti di poesie che compongono Ariel appunto, la sua raccolta di poesie più famosa, il fiore all’occhiello nella produzione di Sylvia. La raccolta uscirà solo nel 1965, due anni dopo la sua morte. Sylvia era certa di aver composto la sua opera più riuscita, alla madre scrisse: “Sono una scrittrice geniale; me lo sento. Sto scrivendo le poesie più belle di tutta la mia vita; mi renderanno famosa…” Tra le più famose troviamo: Daddy, Lady Lazarus, Ariel, Fever 103°, Medusa, The Applicant e Cut. E’ possibile ascoltare le poesie contenute in Ariel dalla voce proprio di Sylvia, si trovano singolarmente in audio vari su YouTube.

Riguardo la separazione e/o divorzio da Ted ci sono versioni contrastanti, alcuni amici della coppia in quel tempo affermano che Sylvia assumesse toni accesi e rabbiosi parlando di Assia mirando ad un divorzio, mentre lei sosteneva di avere un rapporto civile con lui e di starsi muovendo verso una separazione.

23 Fitzroy Road

A fine ottobre Sylvia torna a Londra e si sistema al 23 di Fitzroy Road, abitazione simbolica per lei dato che ci aveva vissuto uno dei suoi “padri” poetici, W.B. Yeats.

In questi mesi Ted continua a far visita ai bambini, Sylvia non lo ostacola mai in questo, ma lo tiene fuori dai suoi progetti di scrittura, sta di fatto che ora il peso dei figli e della casa grava su di lei e la giovane poetessa si ritrova sempre con meno tempo a disposizione per la scrittura, in più l’inverno del 62-63 fu particolarmente rigido (il più freddo degli ultimi centocinquant’anni) e lei e i bambini si ammalarono d’influenza con febbre alta, in più come se non bastasse, Sylvia stava inevitabilmente e inesorabilmente ripiombando in uno stato depressivo.

The Bell Jar, il ritorno della Depressione e il suicidio (1963)

Siamo arrivati agli ultimi due mesi di vita di Sylvia, il 14 gennaio esce The Bell Jar sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas per non ferire le persone vicine a lei dato che come dicevamo è un testo profondamente autobiografico ed è piuttosto semplice capire i vari riferimenti legati alla vita personale dell’autrice, soprattutto se si è vicino a questa.

Purtroppo il libro non ha molto successo, ottiene recensioni brevi, tiepide o non particolarmente entusiaste e questo non fa altro che peggiorare lo stato mentale di Sylvia che era stata portata a pensare, a causa di queste che la pubblicazione negli USA sarebbe stata impossibile, ma fu anche il vedere la poesia “Full Moon and Little Frieda” di Ted pubblicata in evidenza nello stesso numero dell’Observer a darle il colpo di grazia. Le sembrò un affronto personale, un’umiliazione.

La depressione è ufficialmente tornata e Sylvia inizia ad assumere antidepressivi forniti dal suo dottore, il Dottor Horder, che notando un peggioramento delle sue condizioni psichiche vorrebbe ricoverarla, ma in quel momento non ci sono posti disponibili. Le lettere di quei giorni alla madre e agli amici mostrano una Sylvia decisamente tormentata a livello psichico: “Ogni cosa si è gonfiata, screpolata, deformata e spaccata” (scrive a Marcia Plumer, amica dai tempi dell’università), “Sento che il mio cervello si sta disintegrando di nuovo.” (scrive invece a R. Beuscher).

Il dottore a febbraio le consigliò di passare il weekend con amici e le trovò un’infermiera disposta a prendere servizio dalla mattina di lunedì 11 febbraio. Negli ultimi giorni di vita Sylvia mostra un comportamento molto altalenante, una sera corre al piano di sotto dal vicino e si lascia andare ad uno sfogo, lui Trevor Thomas sapeva decisamente poco di lei e non aveva nemmeno ricollegato il suo nome alle sue pubblicazioni.

Nel testo “The Silent Woman” di Janet Malcom, l’autrice intervista proprio Thomas che dopo anni riporta la stessa versione dicendo che quella sera quando ha aperto la porta: “L’ho vista in piedi, le lacrime le solcavano il viso. Aveva tutti gli occhi rossi. I suoi capelli avevano un aspetto orribile.”Morirò. Chi si prenderà cura dei miei bambini?“”

Sappiamo che in particolare nelle ultime due settimane di vita ci fu un riavvicinamento fra Ted e Sylvia che ha però più a che fare con il concordare su una separazione che per un divorzio, ma quando Ted la rivide venerdì 8 febbraio, qualche giorno prima della morte, la trovò di nuovo “dura e misteriosa”, lei gli annunciò che sarebbe andata via quel fine settimana ma non entrò nei particolari. Fu l’ultima volta in cui Ted la vide viva.

In quel fine settimana, anche perché il medico aveva detto che non poteva essere lasciata sola, fu ospitata con i figli dagli amici Jillian e Gerry Becker, alluse con loro a possibili cambiamenti futuri con Ted in tono tutto sommato positivo, ma Jillian ricorda che le notti furono terribilmente agitate e i suoi discorsi erano pieni di astio verso il poeta.

Sappiamo che nel tardo pomeriggio di domenica 10 febbraio dichiarò di sentirsi meglio e volle tornare a casa con i figli, quella sera stessa tornò di nuovo dal vicino Thomas a tarda ora per chiedere un francobollo, l’uomo ricorda che era trasognata, sembrava sotto l’effetto di uno psicofarmaco e aveva l’aria sofferente. Più tardi la sentì camminare avanti e indietro per buona parte della notte.

La mattina dell’11 febbraio 1963 Sylvia versò il latte nelle tazze della colazione, mise su un piatto alcune fette di pane e e sistemò tutto nella camera dei bambini, posandolo accanto ai loro lettini. Spalancò la finestra e chiuse la porta sigillandola tutt’attorno con adesivo per pacchi. Su un pezzo di carta per foderare i cassetti scrisse il numero del dottor Horder e appuntò il biglietto sulla carrozzina che si trovava accanto alla stanza dei bimbi.

Successivamente scese in cucina e dopo aver sigillato con strofinacci e pezzi di stoffa anche le finestre e la porta di ingresso della cucina aprì lo sportello del forno, accese il gas e si inginocchiò infilando la testa all’interno. I suoi ultimi gesti e le sue ultime azioni furono mirate a proteggere i figli e ad autoproteggersi ripiegando un pezzo di stoffa per sistemarlo sotto la guancia, per non avvertire la durezza del metallo nei suoi ultimi momenti di vita.

Conclusioni

Prima di concludere del tutto vorrei parlare brevemente di alcune teorie/fatti correlati che sono accaduti dopo il suicidio di Sylvia Plath.

Il primo riguarda proprio Sylvia perché negli anni le teorie riguardanti la sua morte sono spuntate da ogni dove, alcuni amici della poetessa sostengono che lei non volesse davvero uccidersi ma lanciare un grido di aiuto, anche perché la donna proprio la mattina dell’11 febbraio aspettava alle 9 la visita dell’infermiera (che invece secondo altre fonti era una governante attesa per le 11). Altri attribuiscono il suo suicidio a Ted Hughes e al suo tradimento, additandolo come l’assassino morale della moglie, altri invece danno la colpa al peso che Sylvia si sentì addosso per la sua vita in quel momento e per la pubblicazione deludente de “La Campana di Vetro” e Ted ha sempre dato la colpa al tempo e al fatto che la moglie non sia stata salvata/ricoverata in tempo.

La conclusione che io personalmente ritengo la più affine al mio giudizio è che sia stata la depressione ad uccidere Sylvia, una depressione contro cui lei ha lottato per buona parte della sua vita e che nell’ultimo periodo era tornata più forte che mai, scatenata anche da vari fattori messi assieme.

Il secondo fatto di cui vorrei parlare è quello riguardante le vittime di questa tragica storia, purtroppo infatti cinque anni dopo il suicidio di Sylvia anche Assia Wevill si tolse la vita portando con sé la figlia avuta qualche anno prima da Ted. Assia viene sempre ricordata, un po’ come Anne Sexton (anche lei tra l’altro morta suicida) come un prolungamento nella storia di Sylvia, una nota a margine, ma Assia ha la fama di essere “l’altra”, la donna per cui Ted ha lasciato Sylvia, uccidendola di conseguenza. Sicuramente Assia è arrivata a compiere questo gesto, si pensa, anche per le ripercussioni del suicidio di Sylvia, anche lei soffriva di depressione. Ciò che voglio dire è che ovviamente leggendo la storia di Sylvia è facile empatizzare con lei e stare dalla sua parte, ma è anche giusto ricordare le persone che sono state travolte da questa tragica scia di morte. Anche Nicholas, secondo figlio della coppia di poeti si è tolto la vita nel 2009, anche lui soffriva di depressione.

Il terzo è che non essendo la coppia divorziata alla morte di Sylvia il patrimonio letterario della poetessa passò a Ted Hughes che fu sempre al centro delle polemiche, per la censura nei diari, per i taccuini distrutti, per il fatto di non essersi quasi mai espresso direttamente negli anni come marito della vittima ma solo come curatore delle sue opere. Olwyn Hughes per anni aiutò il fratello in questa attività e il duo ebbe sempre la fama di essere problematico per aspiranti biografi che si cimentavano con un’opera su Sylvia. Famoso ed emblematico è il caso con Anne Stevenson, autrice appunto di una biografia sulla poetessa scomparsa, “Bitter Fame”. Anne lavorò per un lungo lasso di tempo a stretto contatto con Olwyn e all’inizio era felice di questa opportunità ovvero di poter fruire da una fonte diretta che le raccontava anche fatti inediti e preziosi per il suo testo, ma ad un certo punto i problemi e le spaccature fra le due iniziarono ad emergere, proprio quando Anne iniziò a voler apportare alcune modifiche proprie e a non utilizzare solo il materiale e la versione di Olwyn e degli Hughes per come le veniva fornito. Olwyn invece pretendeva un testo che battesse sempre solo sulla sua campana o su quella del fratello. E questo è un comportamento che altri biografi raccontano quando erano ovviamente costretti a sottoporre il loro testo al duo per l’uso di citazioni e poesie contenute nelle opere della Plath. Anche questo fu un punto a sfavore nella reputazione di Hughes.

Il quarto punto di cui vorrei parlare brevemente riguarda le conseguenze di una figura come la Plath nella vita dei sopravvissuti. Ad oggi l’unica in vita dei figli della Plath e di Hughes è Frieda, anche lei poetessa e affronto questo tema anche per suggerirvi una sua dolorosa e intima poesia “My Mother” che come si può intuire dal titolo parla di Sylvia.

They are killing her again.
She said she did it
One year in every ten,
But they do it annually, or weekly,
Some even do it daily,
Carrying her death around in their heads
And practising it. She saves them
The trouble of their own;
They can die through her
Without ever making
The decision. My buried mother
Is up-dug for repeat performances.

[…]

They think I should love it –
Having her back again, they think
I should give them my mother’s words
To fill the mouth of their monster,
Their Sylvia Suicide Doll,
Who will walk and talk
And die at will,
And die, and die
And forever be dying.”

Ve ne consiglio davvero la lettura completa perché aiuta secondo me ad entrare nell’ottica, spesso dimenticata da chi diventa quasi un fan morboso di una figura come la Plath e del suo gesto, di chi vive e ha sempre vissuto con una figura simile come madre nella propria vita. Una persona che ha visto negli anni opere, discorsi, mirati in alcuni contesti ad essere appunto morbosi nel voler anche alimentare credenze e idealizzazioni su una poetessa certamente geniale che ha lottato per tutta la vita contro problematiche psichiche.

Penultimo punto, parliamo un poco di “Birthday Letters” l’ultima raccolta poetica di Ted Hughes, morto nel 1998. Può essere una raccolta interessante da leggere per capire l’ottica di Ted nei confronti della sua relazione con Sylvia, per questa ultima opera finalmente Hughes in versi racconta la sua relazione con la ex moglie, sono poesie che scrisse nell’arco di venticinque anni, ma che pubblicò solo nel ’98 conscio si pensa della sua prossima dipartita.

Birthday Letters si apre con Fulbright Scholars in cui Ted vede per la prima volta Sylvia nella foto di un giornale, ma la trama ha inizio dal primo incontro col diario di lei dieci anni dopo la sua morte raccontato in Visit: “Le tue parole, che ti scorrevano/dalla gola e dalla lingua e scendevano a posarsi sulla pagina[…]La tua storia. La mia storia.

In altri componimenti dell’opera Ted rappresenta la forza dell’unione e dell’attrazione, anche sessuale, scattata dal loro incontro e la spinta di uno nei confronti dell’altra.

In The Offers, Ted descrive un sogno nel quale Sylvia ritorna per tre volte dal mondo dei morti, nel primo incontro se la vede seduta di fronte quando lui sale su un treno per Fitzroy Road, in viaggio verso la casa della poetessa. La fissa, pregando che si accorga di lui e quando si alza per scendere alla stazione lei rimane sul treno e scompare nel tunnel della metropolitana. Nel secondo incontro Sylvia è più giovane e sembra animata, cortese e in vena di flirtare. Gli racconta della sua vita a Parigi e dell’ex fidanzato e lui capisce che questa identità appartiene alla Sylvia del viaggio in Francia, prima di tornare a Cambridge, questa Sylvia non ha mai avuto dei figli con lui, non è mai diventata una poetessa. I due continuano a parlare e lei cerca di trattenerlo, ma lui ad un certo punto si scosta perché si accorge di star respirando le esalazioni degli inferi. Nella terza e ultima visita lei è in casa di lui, in un edificio “in rovina”. Lui è nudo e si sta preparando per un bagno, ma lei lo sorprende alle spalle, si avvicina e gli dice: “Questa è l’ultima. Questa. Questa volta non venir meno“.

E infine, come ultimo punto, parliamo di Sylvia. Sylvia Plath è l’autrice cardine quando parliamo della poesia confessionale e nel 1982, Sylvia Plath divenne la prima poetessa a vincere il Premio Pulitzer per la poesia dopo la morte. L’influenza della Plath nel panorama letterario fu ed è immensa, Sylvia sarà sempre una capostipite del suon genere e una donna che ha vissuto una vita senza dubbio tormentata, ma anche una donna che ha raggiunto la sua espressione creativa attraverso il fuoco e le fiamme dei suoi burrascosi sentimenti che l’anno sempre guidata e che rimarranno impregnati in modo così viscerale nelle sue opere.

Note

1 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

2 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

3 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

4 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

5 T. Hughes, The Hawk in the Rain, Faber and Faber 1957

6 T. Hughes, Birthday Letters, Faber and Faber 1998

7 D. Middlebrook, Suo Marito, Mondadori 2009

S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019

T. Hughes, Birthday Letters, Faber and Faber 1998

10 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

11 S. Plath, Quanto Lontano Siamo Giunti, Guanda 2015

12 S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019

13 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

14 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

15 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

16 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

17 S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019

18 S. Plath, Diari, Adelpi 1998

19 D. Middlebrook, Suo Marito, Mondadori 2009

20 S. Plath, Letters of Sylvia Plath Volume II, Faber and Faber 2018

21 L. Wagner-Martin, Sylvia Plath, Castelvecchi 2013

22 S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019

23 D. Middlebrook, Suo Marito, Mondadori 2009

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#PoetProfile: Sylvia Plath – pt. 1

Buon pomeriggio, buon martedì e buon quasi inizio settimana!

Come state? Come procede il mese di maggio?

Finalmente, dopo mesi di promesse eccoci qui con il famigerato primo episodio della rubrica #poetprofile, rubrica in cui parleremo in ogni appuntamento di un poeta/poetessa, parlando della vita di questi, delle poesie più significative e rappresentative, avanzando pian piano anche nella scoperta della vita appunto del poeta/poetessa in questione.

Per la lunghezza piuttosto eccessiva per un unico articolo ho dovuto dividere il tutto in due parti, la seconda uscirà nei prossimi giorni, il mio piano iniziale era di unire tutto, ma purtroppo anche per la comodità nella lettura ho diviso.

La prima poetessa ad inaugurare questa rubrica (che apre anche una vera e propria sezione del blog dedicata alla poesia) è Sylvia Plath.

Non seguirò un ordine particolare nella scelta dei poeti di cui parlare, con tutta probabilità alterneremo una donna ad un uomo e così via, infatti il prossimo poeta di cui parleremo sarà un uomo, ma concentriamoci sulla poetessa di oggi.

C’è anche un’altra ragione riguardante la mia scelta per questo primo appuntamento, ho scelto la Plath perché personalmente è una delle mie poetesse e autrici preferite e la storia della sua vita e della sua evoluzione artistica è affascinante sotto ogni aspetto.

Quindi, che dire, iniziamo! Spero che questa nuova rubrica possa piacervi, che tra l’altro si potrebbe estendere anche agli autori di romanzi, parlando in un articolo di tutti i testi scr-, non corriamo troppo, ve la butto lì… Iniziamo!

Aurelia Schober, Otto Plath e la piccola Sylvia nel 1933

Infanzia, Otto Plath e Warren (1932-1940)

Sylvia Plath nasce il 27 ottobre del 1932 al Robinson Memorial Hospital di Jamaica Plain, un sobborgo di Boston da padre tedesco, Otto Emil Plath e madre austriaca, Aurelia Schober.

Otto Plath era un entomologo, biologo darwiniano e professore di tedesco all’Università di Boston, si trasferì in America, nello specifico a New York, a sedici anni e aveva una predisposizione naturale per le lingue. Parlava inglese con uno spiccato accento americano, ma conosceva anche il tedesco, il francese e il polacco. Queste conoscenze gli permisero di arrivare ad insegnare tedesco e l’alto tedesco a livello universitario.

Otto in gioventù dopo aver vissuto a New York a casa dello zio, si trasferì a Watertown nel Wisconsin, dove frequentò il college a condizione che studiasse per diventare un ministro luterano. Otto si specializzò in lingue classiche, ma per colpa dei suoi studi riguardanti Darwin e gli altri pensatori scientifici del XIX secolo si rese conto di non poter più diventare un ministro luterano e fu cacciato dalla famiglia.

Otto Plath (1885-1940)

Da quel momento la vita di Otto iniziò a ruotare interamente intorno allo studio, riuscì ad imporsi in campi accademici su lingue che non erano le sue grazie alla sua enorme forza di volontà. Conobbe Aurelia Schober all’Università di Boston, dove lavorava, e di lei apprezzava soprattutto la mente e la sua estrema determinazione.

Aurelia aveva ventun anni in meno di Otto e lasciò l’insegnamento del tedesco e dell’inglese per lavorare come segretaria del marito, una volta sposati. Aurelia era una donna intelligente, era un’avida lettrice, discendeva anche lei da una famiglia di origine tedesca e si decise a sposare Otto dopo un anno di corte serrata e dopo un viaggio fino a Las Vegas per il divorzio necessario dal precedente matrimonio di lei.

Nelle opere di Sylvia sarà la figura paterna ad emergere per la maggior parte, una figura romanzata ed edulcorata, secondo Aurelia il padre amorevole e affettuoso visibile nelle opere giovanili è legato invece alla visione del nonno, il padre di Aurelia, “Grampy” Schober.

Sylvia nacque dieci mesi dopo il matrimonio, mentre Warren Joseph Plath nacque due anni e mezzo dopo la nascita della sorella.

I coniugi insegnarono ai figli fin dai primi anni di vita l’importanza della lettura, dello studio e delle lingue. Otto passava la maggior parte del tempo in casa leggendo e studiando, quando non era a casa era al campus e da ciò che traspare in casa si respirava un’aria accademica, dato che la madre non solo preparava i manoscritti del marito ma, con il tempo passò a scrivere lei stessa un ampio numero di questi manoscritti.

Durante l’infanzia e data la gelosia che si viene a creare fra fratelli, citando anche la differenza di età, Sylvia divenne sempre più desiderosa di attenzioni, divenne a tratti aggressiva, sentendo il peso di queste mancate attenzioni che venivano invece dedicate al fratello Warren.

Warren era un bambino dalla salute cagionevole e necessitava di maggiori cure, la madre dedicava molto del suo tempo per la salute del piccolo, affidando spesso Sylvia ai nonni.

Nel 1936 i Plath si trasferiscono da Jamaica Plain a Winthrop, nella baia di Boston. Qui il mare diventa una presenza importante per Sylvia, è un periodo costellato da gite in barca, passeggiate in riva al mare, tempo speso assieme alla famiglia. L’acqua e il mare torneranno spesso come immagini nelle poesie future di Sylvia, di solito sono elementi associati alla pace e alla tranquillità, ma anche purezza e amarezza.

Qui finiva la terra: le estreme dita,
nocchiute e reumatiche, rattrappite sul nulla.
Ammonitori neri dirupi,
e il mare che esplode senza fondo,
o alcunché d’altro al di là, bianco di visi d’annegati.
Adesso è soltanto tetro, un ammasso di rocce –
soldati sbandati di vecchie, confuse guerre.
Il mare gli cannoneggia gli orecchi, ma loro non mollano.
Altre rocce nascondono i loro rancori sott’acqua.

Finisterre (29 settembre 1961)1

Sylvia era una bambina molto meticolosa, le piaceva sistemare i bottoni, i sassolini, i mattoncini e altri tipi di oggetti, pratica comune a vari bambini, ma che ho trovato affascinante conoscere nel corso delle ricerche e letture fatte per questo articolo.

Quando Sylvia (nel 1940) aveva otto anni, il padre, Otto, venne a mancare a causa di complicazioni date dalla cura della malattia che aveva, soffriva di diabete mellito, che fu all’inizio scambiato per un tumore al polmone. Queste complicazioni portarono all’amputazione di una gamba a causa del diabete con conseguente morte per embolia. La morte del padre ebbe un grande impatto su Sylvia, un impatto evidente anche dopo anni.

In una lettera inedita di Aurelia del 1988 sembra emergere il vero clima legato alla situazione in casa Plath, Aurelia descrive l’invalidità del marito e la grande lontananza tra lui e i figli. Cercando di tracciare una visione di Otto dagli occhi di Sylvia, seguendo le sue opere, emerge nei suoi primi scritti un occhio dolce e forse troppo idealizzato nei confronti del padre deceduto, mentre anni dopo, con la crescita e una visione più chiara, la scrittrice fa emergere un quadro infantile più amaro.

Otto viveva in un clima di isolamento, scriveva Aurelia: “mio marito non abbracciava né baciava mai i bambini, temendo di avere qualcosa di brutto che tale vicinanza avrebbe potuto trasmettere… non usciva mai per una passeggiata con loro, non si concedeva mai un gioco e neppure osava sfiorarli. Non chiacchieravano neppure – [solo] una rapida carezza sulla testa, al momento di andare a letto.2

La madre decise di non far assistere i figli al funerale di Otto, Sylvia visitò per la prima volta la tomba del padre solo nel 1959 e descrisse in questo modo l’esperienza: Sono andata sulla tomba di mio padre, una visita deprimente. […] Nel terzo campo, su uno spiazzo erboso uniforme che guardava da un rettilineo giallastro spoglio su file di edifici di legno, ho trovato la piatta tomba di “Otto E. Plath: 1885-1940”, proprio accanto al sentiero dove era facile calpestarla. Mi sono sentita ingannata. Ero tentata di tirarlo fuori. Per provare che era vissuto e morto sul serio. […] Me ne sono andata subito. Ma è giusto avere il posto in mente.3

Sylvia nel 1946

Trasferimenti e Primi Successi (1941-1946)

In questi anni, dopo la morte del padre, Sylvia frequenta la Junior School di Winthrop e nel 1941 inaugura la sua serie di riconoscimenti letterari. A soli otto anni infatti una sua poesia viene pubblicata sul “Boston Herald”.

Sylvia era piuttosto popolare fra i suoi coetanei, la madre la persuase all’età di 12 anni a sottoporsi al test per il quoziente intellettivo (IQ) ed ebbe un punteggio di 160. Punteggio decisamente alto, secondo alcuni metri di giudizio oltre i 140 si è ritenuti “geni” quindi Sylvia venne considerata una delle menti più acute e brillanti della sua età.

A dieci anni, due anni dopo la morte del padre, Sylvia potrebbe aver tentato per la prima volta il suicidio. Non è chiaro se fu un atto voluto o un incidente, provò a tagliarsi la gola. Il fatto viene citato nella biografia di Andrew Wilson, “Mad Girl’s Love Song” che ha avuto accesso a lettere prima inaccessibili di Aurelia ai figli di Sylvia. Inoltre nella poesia “Daddy” Sylvia cita i dieci anni come età in cui il padre venne meno, ma questo non corrisponde alla realtà, quindi il riferimento ai dieci anni può riguardare o un fatto importante legato a quell’età e al padre o distaccandosi dal lato autobiografico potrebbe riguardare unicamente un’esperienza della voce narrante della poesia. Anche nei diari citerà, non in modo chiaro, un incidente di tipo violento attorno a quell’età.

Tu stai alla lavagna, papà,
Nella foto che ho di te,
Biforcuto nel mento anziché
Nel piede, ma diavolo sempre,
Sempre uomo nero che

Con un morso il cuore mi fende.
Avevo dieci anni che seppellirono te.
A venti cercai di morire
E tornare, tornare a te.
Anche le ossa mi potevano servire.

Daddy (12 ottobre 1962)4

In quegli anni Aurelia riceve dalla sua vecchia università l’incarico di organizzare e gestire un corso di segretariato medico e ospedaliero, perciò con tutta la famiglia si trasferisce a Wellesley, vicino a Boston.

Sylvia non è entusiasta del trasferimento, è costretta ad abbandonare l’oceano e le sue amate spiagge a cui tornerà spesso con la memoria.

Disegno di Sylvia, “Meadown Flowers”

Dal 1944 al 1947 Sylvia frequenta la Alice L. Phillips Junior High School, dove si distingue in arte e inglese. Il tema dell’arte tornerà spesso anche in futuro, infatti oltre a quella che era la sua passione per la scrittura si aggiunge quella per il disegno e per la musica dato che prende lezioni di pianoforte, balletto e suona la viola nell’orchestra della scuola.

Ciò inizierà ad influenzare anche le sue poesie che si impregneranno di un certo senso musicale.

Sylvia nel 1947, a 14 anni

Wilbury Crockett, i ragazzi e la società (1947-1949)

Sylvia dopo essersi distinta alla Junior High School, si iscrive alla Gamaliel Bradford High School dove viene notata da Wilbury Crockett.

Crockett era un professore di letteratura americana, europea e classica, fu il suo insegnante di inglese per tre anni, ma i due rimasero in ottimi rapporti per tutti gli anni seguenti, fu lui infatti ad aiutarla nel recuperare del tutto la capacità di leggere e scrivere dopo il suo tentativo di suicidio a vent’anni.

I racconti giunti a noi da quegli anni sono pervasi da un profondo senso di perdita e tristezza, le protagoniste sono figure senza un futuro, senza piani precisi, intrappolate in alcuni casi in una profonda depressione, come nel caso di “Heat“.

“Non c’era via di scampo. La calura era ovunque. Si insinuava negli appartamenti e negli uffici con l’aria condizionata. Poggiava sulla città come una coperta palpabile…”

Nel ’49 scrive un brano che introduce per la prima volta Miss Minton, un personaggio femminile che fa la sua comparsa anche in “Domenica dai Minton” che nel 1952 le è valso un premio.

In questi anni la Plath, con la crescita, inizia a pensare ai ragazzi, e alla società e qui iniziano le prime domande e dubbi sul rapporto con l’altro sesso, il matrimonio e il ruolo della moglie nella società.

Queste tematiche, che ci si trova ad affrontare ad un certo punto nello sviluppo, diventano decisamente presenti nei suoi diari e nei suoi pensieri, anche negli anni successivi infatti Sylvia sembra essere tormentata dalla sua visione del futuro e della carriera professionale in contrapposizione alla visione della donna nell’America degli anni ’50, una donna casalinga, devota al marito, remissiva e disposta a mettere da parte i suoi piani professionali per la casa e la famiglia.

Come scrisse a più riprese sui suoi diari: Voglio essere assolutamente sicura che il matrimonio non sia né una clamorosa presa in giro, né un rifugio effimero” (27/04/1953) – “C’è un tempo per ogni cosa; e tu devi stare attenta a questa tua predilezione per le mele verdi. Possono essere dolci o aspre, novelle o precoci, ma sarebbe ora che imparassi ad aspettare la stagione del raccolto. Prenditela calma, per favore. Lui non deve essere lo strumento della tua estasi. Non ancora, comunque.” (12/01/1953) – “Secondo me l’unione che funziona valorizza le potenzialità di entrambi gli individui.” (05/1952) – “Il mio struggente interesse per gli uomini e la loro vita viene spesso scambiato per smania di seduzione o invito all’intimità.” (1951) – “Desidero le cose che alla fine mi distruggeranno… Mi chiedo se l’arte scissa dalla vita vita normale, convenzionale, abbia altrettanta potenza dell’arte fusa con la vita: in altre parole, il matrimonio potrebbe fiaccare la mia energia creativa e distruggere il mio desiderio di espressione scritta e pittorica […]” (1950) – “Se solo riuscissi a trovarlo… l’uomo intelligente ma dotato anche di fisico prestante, magnetico. Se io posso offrire tutto questo, perché non dovrei pretendere altrettanto da un uomo?” (1950)5

Sylvia Plath allo Smith College, 1952/1953

Lo Smith College, il tentativo di suicidio e Mademoiselle (1950-1953)

Grazie all’essersi distinta alla Gamiel Bradford e a ben tre borse di studio, Sylvia potrà frequentare lo Smith College di Northampton in Massachusetts, un prestigioso college privato femminile.

Smith College, Northampton, Massachussetts

Anche oggi lo Smith è considerato uno dei college migliori, nel 2013 la rivista U.S. News & World Report lo collocava fra i college più prestigiosi a indirizzo artistico, ha visto la luce per la prima volta nel 1875, oggi ha circa 2600 allieve nel campus e altre 250 presso altre sedi, ciò lo rende il college femminile più grande del Paese.

Nell’estate del 1950, prima di entrare al college, opportunità che infondeva un gran senso di entusiasmo e felicità in Sylvia, lavora per poco in un’azienda agricola, la “Lookout Farm“, esperienza che apre la raccolta dei diari6 e introduce una ragazza vogliosa di vivere e fare esperienze di vario genere. Descrive anche un episodio accaduto in questa azienda in cui viene baciata senza consenso da un ragazzo. Episodio questo che la lascia sconvolta anche per il modo in cui viene guardata e trattata dagli altri dopo l’evento, che si ferma appunto ad un bacio, ma da ciò che Sylvia fa intendere il giovane non si è spinto oltre perché l’ha vista piangere e non gradire l’assalto.

Nel settembre di quell’anno si aprono le porte dello Smith, in cui è iscritta alla facoltà di Inglese e vive a Haven House.

Una volta allontanatasi da casa, Sylvia, fa di tutto per tenersi in contatto con la madre e le due si scrivono regolarmente, queste lettere/telegrammi dallo Smith aprono la raccolta delle lettere alla madre7 che mostrano una Sylvia che sgobba tutto il giorno al costo di mantenere buoni voti e dimostrare di meritare la sua posizione.

Queste lettere, come sostengono vari studiosi della vita della scrittrice e come è intuibile durante la lettura, presentano una certa falsità di fondo. Sylvia si sforza di apparire sempre felice e positiva in queste lettere, racconta ogni esperienza con toni entusiasti e anche dopo lo Smith manterrà questo tono, adottato per varie ragioni si pensa, sia per mostrare alla madre una facciata di positività a volte inesistente sia per non aggravare la madre di un ulteriore peso, dato che Aurelia fece sempre di tutto per mantenere economicamente e non solo i figli, era una donna sola e con il peso di vari lavori sulle spalle.

Questa falsità che a tratti può sembrare solo un modo per alleggerire i fatti raccontati, nasconde in realtà molto altro. Anni dopo, nel 1958, tornando in cura dalla psicologa che la ebbe in cura per anni (Ruth Barnhouse Beuscher), iniziò ad interrogarsi fino in fondo sulla natura del rapporto con la madre e arrivò a queste conclusioni: “E’ come se R.B. dicendo “ti autorizzo a odiare tua madre”, avesse anche detto “ti autorizzo a essere felice”.” – “Ho giocato, scherzato, accolto mamma con affetto. Certo la odio, ma non solo. Le… voglio anche bene.” – “Perché ho paura di fallire prima ancora di incominciare. Vecchio bisogno di dare a mamma delle soddisfazioni, per avere una ricompensa d’amore.”- “Una registrazione quasi fedele dei sentimenti e delle ragioni del mio suicidio: lo spostamento nei confronti di me stessa dell’impulso omicida verso mia madre.”8

Aurelia sembra tra l’altro, nel corso degli anni, non arrivare mai a patti con i tentativi di suicidio della figlia, che vede come un’onta. Non riconosce mai alcuni suoi eventuali comportamenti sbagliati.

Ad ogni modo, Sylvia entra allo Smith, e nel 1950 la rivista “Seventeen” pubblica il suo racconto “And Summer Will not Come Again“, ispirato ad un amore adolescenziale e un concorso del ’51 indetto dalla stessa rivista la premierà con il terzo posto per il racconto “Den of Lions“.

Nel ’50 inizia la sua corrispondenza con Eddie Cohen, uno studente di letteratura di Chicago con cui sente di riuscire ad intendersi nelle sue fragilità.

In una lettera la giovane, scrive: “Prima di donare il mio corpo, devo donare i miei pensieri, la mia mente, i miei sogni. E tu non volevi nessuna di queste cose.” […] “Sei un sogno: spero di non incontrarti mai.”9

Risale al 1951 il suo incontro con Dick Norton, figlio di un’amica di sua madre e studente di Yale, vive con lui la sua relazione più importante dei primi anni del college, da lui nasce l’ispirazione per il personaggio di Buddy Willard de “La Campana di Vetro“.

Nel settembre del ’51 in riferimento a Dick scrive: “Vedo nel ragazzo che, per necessità (mancanza di altri contatti), è diventato l’unica risposta a un bisogno, il germe di tutto ciò che temo e che vorrei evitare. Vedo l’altrettanto cieca necessità di prendermi subito il meglio che c’è, per paura che il futuro non mi dia un’altra occasione. […] Non amo; non amo nessuno all’infuori di me stessa.”10

Nel corso dell’estate alla fine del suo primo anno allo Smith, lavora come baby-sitter, da quella esperienza nacque la poesia “The Babysitters“. Durante le sue riflessioni estive sulla scrittura dichiara di volersi avvicinare di più ad Amy Lowell, ma di adorare la trasparenza lirica e la purezza di Elinor Wylie, E.E. Cummings e aspira ad emulare T.S. Eliot, Archibald Mac Leish e Conrad Aiken.

Durante il suo secondo anno si ritrova più volte a mirare all’equilibrio, sia nella sua vita scolastica che in quella sentimentale, inizia a pensare ad un futuro con Dick e immagina lui come futuro marito/padre, ma allo stesso tempo non è sicura di lui per la sua vita amorosa futura. In particolare sa che si ritroverà sempre a lottare con lui per il “predominio”, sa che ci sarà sempre un senso di competitività e non è del tutto convinta. Dick inoltre rappresentava il ragazzo modello tipico degli anni ’50, uno studente ottimo, futuro medico, figlio amato molto affezionato alla famiglia e alla madre (amica di Aurelia).

Sylvia inoltre soffriva di sinusite e questi continui attacchi, che sopraggiungevano di tanto in tanto, la gettavano in uno stato di profondo sconforto, questo stato si aggravava nei momenti in cui già soffriva a livello personale.

Durante il secondo anno fu nominata anche segretaria del Comitato d’onore ed era corrispondente dello “Springfield Daily News” e puntava per l’anno seguente (il ’53) ad entrare nella redazione dello “Smith Review“.

Il suo secondo anno di studi si conclude con ottimi risultati scolastici e durante l’estate, prima dell’inizio del suo terzo anno, lavora presso il Belmont Hotel di West Harwich a Wellesley e a Chatman, Massachusetts.

Si divertiva molto all’hotel, era un esperienza gratificante che le portava soddisfazione, ma purtroppo si affaticò molto e si riammalò con la sinusite e dovette tornare a casa e rinunciare al lavoro, per poi pentirsene.

Inizio il suo terzo anno allo Smith decidendo di specializzarsi in letteratura inglese, ma doveva scegliere anche una materia scientifica, per due semestri secondo le regole dell’istituto, e scelse fisica. Tuttavia questa scelta non fu per nulla soddisfacente, anzi, lo studio di questa la faceva cadere in uno stato di profondo sconforto e inadeguatezza.

Nel novembre del ’52 infatti comunica il suo stato sia nel suo diario personale che in varie lettere alla madre: “Dio, non sono mai stata tanto vicina al suicidio come adesso […]. Il mio mondo cade a pezzi, si sbriciola “il centro non regge più”. Non c’è forza unificatrice, sola la nuda paura, l’istinto di autoconservazione. Ho paura Non ho consistenza, sono vuota. Dietro gli occhi sento una caverna pietrificata, inerte, un abisso infernale, un nulla che scimmiotta.11

Mi dispiace doverlo ammettere, ma sono in uno stato di tensione emotiva e mentale, ed è una settimana che sono in questo stato di tensione e mi sento letteralmente nauseata… manifestazione psichica di uno stato mentale di grande frustrazione. […] Per cavarmi d’impiccio ho preso in seria considerazione di suicidarmi, è come se mi stessi rotolando nei miei stessi escrementi.12

Poche persone erano a conoscenza della reale situazione, e nemmeno queste forse si rendevano davvero conto dello stato psicologico di Sylvia. La ripresa appare improvvisa e inaspettata, infatti passati questi momenti la ragazza si risolleva e supera questo stato, questo cambiamento non è del tutto normale, ma per le persone accanto a lei era comune vederla con umore altalenante.

Nei mesi seguenti, sbarcando nel 1953, Sylvia riflette ulteriormente sul suo rapporto con Dick Norton e arriva alla conclusione che i due saranno per sempre condannati a competere fra loro e realizza di non amarlo più e di non essere più attratta da lui.

Sylvia con Myron Lotz

Nel suo diario, data 10/01/1953, annuncia di aver incontrato un nuovo ragazzo, c’è un nuovo uomo nella sua vita e il suo nome è Myron Lotz.

Era uno studente di medicina a Yale e giocava a football in seconda categoria, possedeva molte delle qualità che Sylvia cercava in un ragazzo, la famosa poesia “Mad Girl’s Love Song” è ispirata a lui.

La coppia ebbe un inizio passionale e veloce, ma nel corso di poco l’amore sfumò in amicizia e rimasero in buoni rapporti.

Nel giugno di quell’anno viene selezionata con diciannove studentesse tra duemila candidate per trascorrere un mese nella redazione della rivista “Mademoiselle” di New York.

Sylvia al suo primo giorno alla rivista “Mademoiselle”

Trascorre un periodo di serate mondane e interessanti incontri letterari, le si aprono le porte di una New York alla moda.

Le note sui diari riguardanti a quei periodi, o meglio quelle pubblicate, sono scarse, Sylvia sembra sentirsi intrappolata in un ambiente impregnato di persone altezzose e menefreghiste nei confronti dei problemi altrui e si sente portata all’esasperazione, questo ambiente artificioso, ricercato la fa sentire a tratti insicura e ad altri fin troppo eccitata.

Da questa esperienza trarrà ispirazione per “La Campana di Vetro” e per gli eventi che vivrà la sua Esther.

Dopo questa esperienza, tornata a Wellesley per il resto dell’estate, subirà un brutto colpo ovvero verrà respinta al corso di scrittura di Frank O’Connor per cui aveva fatto domanda. Il livello di estrema delusione e sconforto provato da questo era ampliato anche da uno stato di depressione pregresso, infatti l’esperienza di New York non aveva giovato al suo stato mentale.

Passerà l’estate a casa con piani vari inerenti allo studio e alla scrittura, ma sprofonderà sempre di più in un vortice di manie suicide e depressione, dai diari dei giorni precedenti (fino a dove ci è possibile leggere) traspare dalle sue parole un profondo senso autocritico, non perde occasione per accentuare i suoi difetti ed evidenziare le mancanze.

Ti prego pensa – svegliati. Credi in qualche forza benefica al di fuori del tuo io limitato. Signore, signore, signore: dove sei? Ti voglio, ho bisogno di te: di credere in te e nell’amore e nell’umanità. Non devi nasconderti in questo modo. Devi pensare.13

La sua famiglia interpella uno psichiatra e inizia ad essere sottoposta a trattamenti di elettroshock, non sarà la prima né l’ultima volta, questo trattamento sarà per lei un esperienza traumatica che rievocherà ne “La Campana di Vetro”.

Il fatto della sparizione e del ritrovamento venne riportato nei quotidiani locali

Il 24 agosto tenta il suicidio, scende in cantina e ingerisce una cinquantina di pillole di sonnifero, si nasconde dietro una catasta di legno e rimane lì per ben due giorni, tanto che il fatto venne riportati sui quotidiani dell’epoca.

Fu il fratello Warren a ritrovarla in uno stato disperato, era agonizzante, ma ancora viva grazie all’aver vomitato gran parte delle pillole ingerite.

Fu ricoverata presso il McLean Hospital, Belmont, e affidata alla psichiatra Beuscher, la ripresa si basò su trattamenti di elettroshock e insulina, ma fu di fondamentale importanza il rapporto con la terapeuta.

Sylvia fu dimessa dall’ospedale nel dicembre del 1953.

Sylvia Plath, 1954

Il doppio, Richard Sasson e Cambridge (1954 – 1955)

Sylvia tornò allo Smith nella primavera del 1954, si era fatta bionda, si sentiva più spavalda ed era famosa in tutto il campus. Le piaceva vedersi con una personalità nuova con il cambio del colore dei capelli, l’essere bionda voleva dire essere più audace, determinata e allegra, nei diari alla madre cita questo cambio di personalità basato sull’aspetto, l’essere castana infatti al contrario per lei voleva dire essere la “classica” brava ragazza e studentessa modello.

Sylvia recupera i corsi del terzo anno e sceglie il tema della tesi di laurea, ovvero la figura del doppio nei romanzi di Dostoevskij.

La tematica del riflesso, del doppio, ricomparirà di frequente nelle sue opere come un pensiero costante, sono un esempio le figure opposte e speculari de “Due Sorelle di Persefone” (1956)14:

Due fanciulle: in casa
l’una siede, l’altra fuori.
Per tutto il giorno tra loro
un duetto d’ombra e luce.

Nella sua buia stanza rivestita di legno
la prima elabora problemi
su una macchina matematica.
Aridi ticchettii battono il tempo

mentre calcola ogni somma.
In questa sterile impresa
il suo sguardo sbieco assume furbizia di topo,
la sua magra figura un pallore di radice.

Bronzea come la terra l’altra, distesa,
ascolta i ticchettii gonfiarsi d’oro
come polline nell’aria luminosa. Cullata
accanto a un letto di papaveri,

vede il rosso ventaglio di seta
dei loro petali di sangue
ardere e aprirsi alla lama del sole.
Su quel verde altare

liberamente diventa sposa del sole,
s’ingravida di seme.
Accosciata sull’erba, nell’orgoglio del travaglio,
partorisce un re. Inacidita

e gialla come un limone
l’altra, vergine agra fino allo stremo,
va verso la tomba con la carne devastata,
posseduta dai vermi, ma non donna.

In questa poesia una fanciulla è simbolo di natura, è piena di vita, diventa sposa del sole e partorisce un re, mentre l’altra è gialla come un limone, secca e vergine. Rappresenta due figure binarie, diverse, ma simili, che vanno incontro allo stesso destino.

Nell’aprile del ’54 incontrò Richard Sasson, uno studente di Yale un inglese cresciuto in Francia che studia storia e filosofia, diverso dai suoi precedenti fidanzati e dal suo ideale di ragazzo, Sasson infatti era un ragazzo raffinato, intelligente, imparentato con i Sasson della letteratura. Riusciva a starle dietro a livello intellettuale e non solo, in molte biografie, articoli e saggi, Sasson assume un ruolo spettrale, è una figura sullo sfondo che sembra non aver assunto una gran importanza nella vita della poetessa, ma come vedremo anche più avanti, Sasson è stato il ragazzo che ha catapultato Sylvia verso Ted e l’ha fatta anche precipitare in uno stato d’animo di estrema mancanza e dolore amoroso.

Torneremo a parlare di Richard più avanti, ma la relazione con lui fu molto importante per Sylvia.

Passò l’estate del 1954 alla Harvard Summer School studiando tedesco e vivendo con alcuni amici dello Smith.

Il suo ultimo anno allo Smith la proiettò all’apice del successo, vinse premi, guadagnò vendendo poesie, e soprattutto vinse una borsa di studio Fullbright per studiare al Newnham College a Cambridge.

Dopo la consegna dei diplomi, Sylvia torna nell’estate del ’55 a Wellesley dalla famiglia a causa di un intervento della madre, decise di non lavorare appunto per seguirla al meglio delle sue possibilità.

In questo periodo il rapporto con Sasson inizia ad incrinarsi, lui sembra volersi allontanare da lei.

In una lettera dell’11 dicembre a Richard scrisse: “Forse quando sentiamo che vogliamo tutto è perché siamo pericolosamente vicini a non volere niente. Il non volere niente ha due estremi opposti: o uno è del tutto realizzato e ricco e ha una tale quantità di mondi interiori che quello esteriore non gli serve per provare gioia, perché la gioia emana dal centro del suo essere; oppure uno è morto e marcito dentro e questo mondo non ha niente da dargli. Al momento mi sento come se stessi silenziosamente costruendo un ponte delicato e intricato, nel buio della notte, da una tomba all’altra mentre il gigante dorme. Aiutami a costruire questo ponte oh tanto squisito.15

A metà settembre s’imbarca per l’Inghilterra, prima di Natale traversa la Manica per incontrare Richard a Parigi, ora studente alla Sorbona, ma la loro intesa sembra essersi spezzata lasciando una Sylvia particolarmente demoralizzata, sola nel suo viaggio di ritorno verso Cambridge.

C’era anche un altro uomo in questo periodo, ma fu solo un amore estivo che bruciò in fretta, il ragazzo in questione era Peter Davidson, lui stesso poeta e redattore a New York, che fu una figura ad ogni modo persistente nella vita di Sylvia, perché anche dopo la rottura i due rimasero amici e in comunicazione.

NOTE

1: S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019
2: Linda W. Martin, Sylvia Plath, Castelvecchi 2013
3: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
4: S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019
5: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
6: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
7: S. Plath, Quanto Lontano Siamo Giunti, Guanda 2015
8: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
9: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
10: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
11: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
12: S. Plath, Quanto Lontano Siamo Giunti, Guanda 2015
13: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
14: S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019
15: S. Plath, Diari, Adelphi 1998

Video/Link Interessanti

Mad Girl’s Love Song – S. Plath

Daddy – S. Plath

Documentario in lingua su S. Plath

La prima parte si ferma qui, ma la seconda uscirà il prima possibile e in quella parleremo della relazione e del fatidico incontro con Ted Hughes, della vita con lui, dell’evoluzione della sua arte, della rottura e di decine di altri eventi che hanno segnato la vita di questa immensa poetessa. Parleremo anche dell’atto finale, ovvero il suicidio e ciò che è accaduto dopo.

Fatemi sapere se questa prima parte vi è piaciuta, se questa rubrica vi aggrada e preparatevi per la seconda parte che sta per arrivare!

A presto!

Pillole Letterarie #17

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October 7, 1956 / 7 ottobre 1956

“Dearest love Teddy […] I brought, from my walk yesterday, a purple thistle and a dandelion cluster home with me, and drew them both in great and loving detail; I also did a rather bad drawing of a teapot and some chestnuts, but will improve with practice; it gives me such a sense of peace to draw; more than prayer, walks, anything. I can lose myself completely in the line, lose myself in it; shall I tell you my latest ambition? It is to make a sheaf of detailed stylized small drawings of plants, mail-boxes, little scenes, and send them to the New Yorker which is full of these black-and-white things – if I could establish a style, which would be a kind of child-like simplifyng of each object into design, peasantish decorative motifs, perhaps I could become one of the little people who draws a rose here, a snowflake there, to stick in the middle of a story to break the continuous mat of print; they print everything from wastebaskets to city-street scenes.”

“Carissimo amato Teddy […] ho portato, dalla mia passeggiata di ieri, un cardo viola e un ammasso di tarassaco a casa con me, e li ho disegnati entrambi con grande amore per i dettagli; ho anche fatto un brutto disegno di una teiera e di alcune castagne, ma migliorerò con la pratica; mi da un tale senso di pace disegnare, più della preghiera, delle camminate, di tutto. Posso perdermi completamente nella linea, perdere me stessa in questa; dovrei dirti la mia ultima ambizione? E’ realizzare un fascio di piccoli disegni stilizzati e dettagliati, di piante, cassette postali, piccole scene e inviarle al New Yorker che è pieno di queste cose in bianco e nero – se potessi stabilire uno stile, sarebbe un tipo di semplificazione infantile degli oggetti nel design, motivi decorativi contadini, forse potrei diventare una di quelle piccole persone che disegna una rosa lì, un fiocco di neve là, da inserire nel mezzo delle storie per interrompere il flusso di stampa, stampano di tutto dai cestini alle scene di strane cittadine”

“Dearest darling Teddy […] MY HUSBAND IS GOING TO READ OVER THE BBC! With appropriate whoopdedos. I AM SO PROUD. I think it will make applying for a teaching job infinitely easier; SO: don’t tell them definitely your going to Spain when, but WAIT, cast about for future readings even if you must stay here a month – this is more important to your career (and, probably, finances) than Spain ever thought of being. Ask shyly about your own poems, whatever day you are giving the reading, write ahead and let me come. I refuse to sit here while you are recording Yeats.”

“Teddy tesoro carissimo […] MIO MARITO STA PER LEGGERE SULLA BBC! Con le urla appropriate. SONO COSI’ FIERA. Penso che renderà infinitamente più facile la candidatura per un incarico di insegnante; QUINDI: non dirgli che andrai in Spagna quando, ma ASPETTA, buttati per altre future letture anche se devi stare qui un mese – questo è più importante per la tua carriera (e probabilmente per le finanze) di quanto la Spagna possa essere. Chiedi timidamente per le tue poesia, qualunque sia il giorno in cui leggerai, scrivimi e lasciamo venire. Mi rifiuto di stare seduta qui mentre registri Yeats.”

 

#piccolistralciletterari#

La Campana di Vetro – Sylvia Plath

Buon… mercoledì giusto, oggi è mercoledì!

Già sono distratta di mio con gli orari e i giorni figurarci quando si sente ancora la Pasqua e la Pasquetta nell’aria e anche nei fianchi dopo i pranzi più che sostanziosi.

Voi come avete trascorso questi due giorni di festa? Vi siete divertiti? Vi siate già rattristati perché è tutto finito?

Comunque oggi parliamo di quello che è stato il libro del gdl LiberTiAmo per il mese di marzo, ovvero “La Campana di Vetro” di Sylvia Plath.

Abbiamo molto di cui parlare quindi iniziamo immediatamente!

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La Campana di Vetro – Sylvia Plath

Editore: Mondadori

Pagine: 244

Prezzo di Copertina (Ed. Cartacea): € 12,00

Prezzo ebook: € 6,99

Anno della Prima Pubblicazione: 1963

Link all’Acquisto: QUI *

Trama

Brillante studentessa di provincia vincitrice del soggiorno offerto da una rivista di moda, a New York Esther si sente «come un cavallo da corsa in un mondo senza piste». Intorno a lei, l’America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta: una vera e propria campana di vetro che nel proteggerla le toglie a poco a poco l’aria. L’alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell’elettroshock. Fortemente autobiografico, La campana di vetro narra con agghiacciante semplicità le insipienze, le crudeltà incoscienti, gli assurdi tabù che spezzano un’adolescenza presa nell’ingranaggio stritolante della normalità che ignora la poesia.

“Era come se la cosa che volevo uccidere non fosse in quella pelle e nella sottile vena azzurra che sentivo pulsare forte sotto il mio dito, ma altrove, in un luogo più profondo, più segreto, e molto più difficile da raggiungere.”

Recensione

Inizio prima di tutto con il dire che questo è un libro difficile da digerire e di cui è delicato parlare e forse altrettanto difficile.

Come scritto anche nell’annuncio ad inizio marzo per questo titolo, avevo tentato un’approccio con questo diversi anni fa ma senza successo dato che dopo alcuni capitoli avevo deciso di rimandare la lettura ad un momento migliore.

Finalmente l’ho letto e sono felice di averlo fatto in questo momento perchè probabilmente qualche anno fa non lo avrei apprezzato nella sua interezza.

Prima di iniziare con la recensione del romanzo vera e propria voglio spendere due parole nei confronti della visione che si ha in generale di questo romanzo.

Di solito si tende ad essere intimoriti dalla Plath per i temi che tratta, per la sua vita e per la spietatezza con cui certe volte attraverso i suoi occhi la realtà di quegli anni arriva al lettore.

Diciamocelo con sincerità, quando si pensa alla Plath si pensa a fatti drammatici, c’è questa idea sbagliata nell’aria per cui se qualcosa è scritto dalla Plath è certamente drammatico all’ennesima potenza ma dopo aver letto questo romanzo posso dirvi che non è così.

Certo, “La Campana di Vetro” è difficile da sopportare e in alcuni passaggi ho sentito un’accenno di stretta allo stomaco per la modesta atrocità con cui alcuni fatti sono descritti, scrivo “modesta” perché di primo acchito questi fatti non mi hanno turbata ma di fatto dopo aver terminato di leggere il paragrafo, fermandomi a pensare rimanevo come spiazzata e triste di fronte ad alcune situazioni descritte nel libro.

La vicenda è una discesa nell’oblio e nell’ombra per Esther/Syvlia che qui narra prendendo di Esther fatti autobiografici, dall’acerbo inizio in cui sembra che tutto sia già programmato e sicuro quindi incontriamo una giovane donna indirizzata verso un’obiettivo a cui si aggrappa, per poi scivolare piano piano in un futuro incerto e avvertirà il terreno venirle a mancare sotto i piedi fino a trascinarla in mesi e anni di cure mediche a causa della depressione che “come una campana di vetro”: mi premeva intorno come bambagia e io non avevo la forza di muovermi.

Dato che le vicende di Esther sono anche quelle di Sylvia, forse con qualche riserva ma rara, viene spontaneo cercare di ricostruire un’immagine di Sylvia Plath che probabilmente dopo tentativi e tentativi di suicidio (come quelli di Esther) nel febbraio del 1963 si fa schiacciare dalla campana di vetro e si suicida.

Nonostante i temi delicati e strazianti a tratti di questo libro, lo stile della Plath non è mai troppo drammatico o eccessivamente insistente su temi e situazioni drammatiche, direi più che per tutto il romanzo aleggia un velo di malinconia che non viene mai portata all’esagerazione da una scrittura volutamente drammatica anzi, la Plath ha una stile regolare, piacevole, che si ferma ad analizzare temi profondi senza bisogno di paragrafi su paragrafi di parole.

Ci sono diversi simboli affascinanti in questo titolo, come l’utilizzo della specchio in cui Esther/Sylvia non si riconosce, nella perdizione della propria identità, il desiderio della giovane di uccidere se stessa tramite un flacone di pasticche per morire e rinascere diversamente.

Uno dei temi su cui si fondano i dubbi di Esther e il suo voler rinnegare questo genere di società sono i classici doveri imposti appunto dalla società americana e non solo degli anni 50/60 in cui una donna (se era una brava donna) avrebbe dovuto sposarsi con un buon partito, avere figli amati da accudire e crescere con impegno e costanza e non avere particolari aspirazioni come quella della carriera.

Esther/Sylvia si sente schiacciata da questa mentalità che soffoca e riduce la figura femminile a ruoli predestinati quasi obbligatori, l’altro lato della medaglia è lo sguardo e il giudizio truce della gente che si limita a puntare il dito fingendo di spargere insegnamenti giusti e adatti ad una ragazza dell’età di Esther senza mettere in discussione il fattore libertà.

Oltre però al sentirsi schiacciata da questi ruoli obsoleti e decisi a tavolino Esther/Sylvia si sente persa perché davanti a lei si aprono troppe porte, troppi desideri, troppe scelte e ognuna potrebbe rappresentare la felicità ma non si possono percorrere tutte.

Questa opera di Zen Pencils rappresenta alla perfezione questa indecisione.

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Fonte: http://highexistence.com/sylvia-plaths-illustrated-advice-on-battle-we-all-face-between-aspiration-and-accomplishment/

Insomma, mentre Esther guarda con un briciolo di invidia il successo e la sicurezza altrui si ritrova giorno dopo giorno ad interrogarsi sui suoi obbiettivi finendo in un manicomio dopo vari tentati suicidi.

La scala da cui precipita la protagonista e le vicende che si susseguono e spingono Esther giù da questa scala servono a farsi un’idea precisa del come e del perché la ragazza è arrivata a questo punto.

La realtà della vita è descritta con estrema chiarezza, sotto questo aspetto nulla è romanzato.

Vorrei spendere anche due parole sull’elettroshock, che in quegli anni veniva utilizzato nella convinzione che fosse un oggetto realmente utile alla cura di pazienti che soffrivano di vari disturbi mentali, ancora oggi in casi molto rari si utilizza ma è diverso da quello adoperato negli anni in cui è ambientato il romanzo.

L’elettroshock subìto da Sylvia (e non solo)  appare, e lo era effettivamente, al lettore come una tortura atroce, uno dei passi che io ho trovato più drammatici dell’intero romanzo, un’attrezzo che oltre a danneggiare il cervello portava i pazienti a peggiorare sul piano clinico.

Insomma, capisco chi ha difficoltà a leggere questo romanzo, sia per l’atmosfera che si respira che per i temi trattati e la discesa della protagonista verso un qualcosa che non ha volto come la depressione ma che ti toglie quasi tutto di te e sopratutto che non puoi dire mai di aver tolto dalla tua vita, una volta incontrato questo alone persiste e si guarisce ma il ricordo e un briciolo di questo rimane in agguato.

Questo libro mi ha sorpresa, sotto ogni aspetto, la grazia e l’acume della Plath assieme sono il prodotto di una mente attenta ai dettagli e straripante di immagini ricordi, lo stile di questa è piacevole è vero, ma il libro è difficile da digerire.

“Poi capii qual’era il problema. Mi mancavano le esperienze. Come facevo a scrivere della vita se non avevo mai avuto una storia d’amore, nè un figlio, nè avevo mai visto morire qualcuno?”

Voto:

Progetto senza titolo

E’ stato un libro che mi ha scavato dentro, alcuni passaggi rimangono indimenticabili per me e approfondirò certamente Sylvia Plath come scrittrice e come poetessa.

E voi? Avete letto La Campana di Vetro? Fatemi sapere!

A prestissimo!

Elisa

CitaTime

 Per la persona che è sotto la campana di vetro, vuota, e che è bloccata là dentro come un bambino morto, il mondo è in sé un brutto sogno. 
Che progetti hai, dopo la laurea?” Avevo sempre pensato che i miei progetti fossero ottenere una borsa di perfezionamento, in AmerIca oppure in Europa, e poi di fare la carriera universitaria e scrivere libri di poesie e lavorare in qualche casa editrice o rivista. Normalmente questi progetti li avevo sulla punta della lingua. “Non lo so ” sentii che dicevo. Fu uno shock, sentirmi rispondere così, perché nell’istante stesso in cui pronunciai quelle parole capii che erano la verità. Avevano il suono della verità, e io la riconobbi, nella maniera in cui si riconosce una persona che da anni si aggira davanti a casa, ma rimanendo nell’ombra, e poi improvvisamnate si fa avanti e si presenta come il tuo vero padre; e tu vedi che ti somiglia moltissimo e allora capisci che ha detto la verità, e che quello che per tutta la vita hai creduto tuo padre è un impostore.
Il silenzio mi fece sentire depressa. Non era il silenzio del silenzio. Era il mio silenzio. Sapevo benissimo che le automobili facevano rumore, e che il fiume faceva rumore, ma io non sentivo niente. La città era appesa alla mia finestra, piatta come un manifesto, liccicante e ammiccante, ma per quanto mi riguardava avrebbe potuto non esserci affatto.
Sylvia Plath