La Quinta Stagione – N.K. Jemisin

Buon mercoledì!

Come state? Come sta avanzando o per meglio dire “terminando” questo febbraio, dato che siamo già al 22 e io mi sento ancora al 2 di gennaio?

Sono sparita ultimamente perché la vita mi sta risucchiando in una spirale infinita di stanchezza e problemi vari da cui spero di uscire a breve o quantomeno di riemergere per poco, quindi se vi chiedete il perché della mia scarsa presenza sappiate che è da ricondurre ad un periodo particolarmente fastidioso, spero comunque di tornare il prima possibile ad essere più attiva.

Sono anche in una sottospecie di blocco del lettore, un po’ per scarsità di tempo e un po’ perché boh… vai a capire come funziona il mio cervello.

Oggi comunque parliamo finalmente di un libro di cui vi devo parlare da mesi e mesi, ho rimandato questo momento il più possibile, non per un motivo preciso, ma solo perché ho amato molto questo testo (che è anche comparso nella top five delle letture del 2022, qui) ed è un testo di cui non è facile anche perché per me non è stato quel tipo di amore folle e duraturo per tutto il tempo della lettura, ma ho dovuto raccogliere un poco le idee e comprendere meglio la mia esperienza di lettura.

Il testo in questione è La Quinta Stagione di N.K. Jemisin, il primo volume della trilogia della Terra Spezzata.

La Quinta Stagione – N.K. Jemisin

Casa editrice: Mondadori

Pagine: 469

Genere: fantasy, fantasy epico, fantascienza, narrativa apocalittica

Prezzo di Copertina: € 15,00

Prezzo ebook: € 7,99

P. Pubblicazione (ITA): 2019

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Tu sei lei. Lei è te. Sei Essun. Ricordi? La donna cui è morto il figlio. Sei un’orogena che vive nell’insignificante cittadina di Tirimo da dieci anni. Solo tre persone sanno che cosa sei e due di loro le hai messe al mondo tu. Bene. Ne rimane una sola che sa, ora. Sono dieci anni che vivi la vita più ordinaria possibile. Sei arrivata a Tirimo da altrove, ma agli abitanti della città non importa da dove o perché. Era evidente che fossi istruita, così sei diventata un’insegnante del nido locale per i bambini dai dieci ai tredici anni. Non sei né la migliore né la peggiore insegnante: quando se ne vanno, i bambini si dimenticano di te, però imparano.

Trama

E iniziata la stagione della fine. Con un’enorme frattura che percorre l’Immoto, l’unico continente del pianeta, da parte a parte, una faglia che sputa tanta cenere da oscurare il cielo per anni. O secoli. Comincia con la morte, con un figlio assassinato e una figlia scomparsa. Comincia con il tradimento e con ferite a lungo sopite che tornano a pulsare. L’Immoto è da sempre abituato alle catastrofi, alle terribili Quinte Stagioni che ne sconquassano periodicamente le viscere provocando sismi e sconvolgimenti climatici.

Quelle Stagioni che gli orogeni sono in grado di prevedere, controllare, provocare. Per questo sono temuti e odiati più della lunga e fredda notte; per questo vengono perseguitati, nascosti, uccisi; o, se sono fortunati, sono presi fin da piccoli e messi sotto la tutela di un Custode, nel Fulcro, e costretti a usare il loro potere per il bene del mondo. E in questa terra spezzata che si trovano a vivere Damaya, Essun e Syenite, tre orogene legate da un unico destino.

Recensione

La quinta stagione è stato acclamato dalla critica, venendo candidato a diversi dei premi principali del settore e aggiudicandosene la maggior parte. Ha vinto il premio Hugo per il miglior romanzo al 74° Worldcon nel 2016, lo Sputnik Award ed è stato candidato inoltre al premio Nebula per il miglior romanzo e al World Fantasy Award.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Le atmosfere di questo primo volume della trilogia sono miste, da un clima apocalittico, ad uno stile distopico, ci sono un misto di scenari diversi attraverso i quali seguiamo i vari personaggi, le tre voci principali, Essun, Syenite e Damaya.

La storia è ambientata in questa terra chiamata Immoto, l’unico continente del pianeta, luogo in costante e violento mutamento. Tutto il mondo infatti è vittima di costanti cataclismi che danno vita a quella che viene appunto chiamata “La Quinta Stagione”, un periodo di durata variabile in cui tutto rischia l’estinzione.

Infatti questa famigerata “Quinta Stagione” da origine ad una serie di fenomeni più o meno distruttivi per la terra e gli esseri che ovviamente la popolano, eventi quali eruzioni vulcaniche, scosse sismiche, fenomeni atmosferici e altro tutti di una portata decisamente pesante, queste eruzioni vulcaniche ad esempio possono anche produrre quantità di ceneri tale da oscurare il sole per anni, e da tutto questo provengono stragi, epidemie, carestie e in generale una decimazione degli esseri umani.

Nel corso della storia si sono susseguite varie “Stagioni” e a causa di ciò il mondo è stato costretto a ricominciare molte volte da zero, o quasi da zero, ad esempio molto delle civiltà precedenti è andato distrutto, tranne alcune vestigia ancora presenti e visibili, come ad esempio questi giganti obelischi fluttuanti, che si spostano per i cieli e di cui nessuno conosce bene del tutto il funzionamento.

Questo per illustrarvi un poco il clima generale che si respira una volta che ci si immerge nella storia e in questo mondo, uno scenario che senza dubbio ci fa pensare anche al nostro mondo a cui viene trapiantato uno scenario apocalittico, quella di Jemisin è anche ad una critica rivolta ai problemi ambientali, ma anche alla discriminazione, alle classi sociali e in generale ad un mondo egoista che ha inaridito la Terra e la sua popolazione.

Le atmosfere in alcuni scenari sono senza dubbio pesanti, aride, manca umanità e stabilità in una terra in subbuglio.

Lo stile di Jemisin è decisamente godibile, è una autrice che sa scrivere senza dubbio, lo stile è accattivante, ma allo stesso tempo Jemisin sa scavare nei meandri della psiche umana e mette sotto i riflettori anche quei minimi gesti che ci fanno comprendere meglio un personaggio e un contesto. E’ uno stile che sa essere profondamente doloroso, come un coltello che scava nella carne, ma anche armonioso.

Il ritmo generale del testo non è sempre costante, c’è stato un punto, circa dopo la metà in cui ho faticato un poco, non saprei dire se per un breve distacco mio o per un rallentamento del ritmo che mi ha portato per alcuni istanti ad avvertire un certo peso durante la lettura, ma a parte questo punto mi sono goduta senza dubbio il testo.

La Distopia e le tre voci principali

Al centro dell’Immoto risiede la città di Yumenes, capitale di un vasto impero che è riuscito a sopravvivere per secoli alle Quinte Stagioni. Ci ritroviamo però all’interno di un impero basato su un severo regime assolutista, dittatoriale e intransigente, in cui l’individuo è completamente al servizio della comunità e vive per alimentare questa comunità servendola e rispettando le sue regole. All’interno di questa si sono create delle caste che dividono le persone basandosi sulla loro utilità.

L’impero ha anche numerose Com (comunità), che vanno dai piccoli villaggi a città, protette da mura e sempre pronte a chiudersi al mondo esterno per tentare di sopravvivere a un’eventuale Stagione. In questo mondo si segue fedelmente la Litodottrina, una vera e propria dottrina appunto, da seguire in caso di cataclisma che indica come ci si deve preparare e come ci si deve comportare in caso di Stagione.

In questo mondo ci sono sia esseri umani che orogeni, individui in grado di percepire i movimenti tellurici della crosta terrestre e hanno il potere di controllarli, capaci di prendere dall’ambiente l’energia sufficiente per controllare e placare determinati fenomeni, o all’opposto scatenarli. Gli orogeni potenti possono essere o un grande dono e un grande aiuto nella gestione di questi fenomeni o al contrario essere causa di enorme distruzione e devastazione perché possono letteralmente controllare il terreno.

Tra questi orogeni troviamo le protagoniste di questo libro, Essun, orogena che si finge una persona normale in un piccolo villaggio, il cui mondo piomba nella distruzione quando rincasando, trova il corpo esanime del proprio figlio ucciso dal padre, che ha intuito la natura orogena del figlio.

Non faccio spoiler perché questo accade davvero nelle prime pagine, da questo evento Essun inizia un lungo viaggio alla ricerca del compagno e assassino del figlio per vendicarsi, ma anche per ritrovare la figlia sparita, pensa rapita dal padre.

Damaya è una bambina che si è appena rivelata orogena e che viene salvata da un Guardiano (praticamente delle specie di controllori o carcerieri degli orogeni) che la porterà via dalla propria famiglia per portarla al Fulcro ed educarla come un orogena.

Syenite infine è un’orogena del Fulcro inviata in missione sotto la supervisione di Alabaster, un orogeno estremamente potente e dalla psiche piuttosto labile.

C’è un grande colpo di scena che ha a che fare con ognuna di queste voci, un “segreto” che si può iniziare ad intuire man mano che si avanza nel testo perché spuntano vari indizi, trovo comunque che questo incastro e questo tipo di struttura funzioni benissimo e sia gestita alla perfezione da Jemisin che con Essun infrange anche la quarta parete usando la seconda persona singolare.

In questo libro vengono trattati un’infinità di temi, che si legano ad ognuno di questi personaggi e ad altre figure che ruotano attorno a loro, potrei davvero compilare una lista infinita di tematiche che ritroviamo ne “La Quinta Stagione”, da quelle più evidenti come la morte e la distruzione a quelle che spuntano durante la lettura come il labile rapporto fra gli esseri umani in un mondo che vive costantemente sull’orlo della fine, e su come si affaccino gli esseri l’uno all’altro.

E’ un libro difficile da digerire, oscuro e pesante, con vari eventi traumatici per i personaggi che rimbalzano sul lettore, è uno di quei testi che vi da quella sensazione di aver vissuto mano nella mano con i personaggi durante tutti questi eventi negativi, di averli accompagnati e di aver quasi sentito il passaggio del tempo sulla vostra pelle.

Ci troviamo proiettati in tempi diversi, scenari diversi, un’alternanza di momenti traumatici a momenti quasi di pace in cui le persone si avvicinano e spunta quella scintilla di umanità che in questo mondo sembra quasi del tutto spenta.

Conclusioni

“La Quinta Stagione” è un testo massiccio, non tanto a livello di pagine, ma a livello di eventi, conoscenze e evoluzioni che viviamo assieme ai personaggi, ci ritroviamo con loro in questa specie di viaggio che si snoda in tempi diversi, ma sembra sempre proiettato ad un futuro incerto verso cui si avverte una speranza che però è molto flebile.

E’ un testo affascinante per la struttura, per i personaggi, per le tematiche, per il mondo che Jemisin ha creato e per il modo in cui riesce ad immergere e gestire tutto questo.

I personaggi sono veri, reali e non si fatica ad entrare in contatto con loro in modo profondo e sentito.

Devo darmi una mossa a leggere il secondo volume, perché inutile dirvi che il primo termina con quel classico finale tranciato che lascia parecchio in ballo.

Voto:

E voi? Avete mai letto “La Quinta Stagione”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

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Piranesi – Susanna Clarke

Buon martedì!

Come state? Come avete trascorso questi primi giorni di febbraio?

Oggi parliamo di un libro che ho citato anche nei top five dei libri più belli del 2022 per me, ovvero Piranesi di Susanna Clarke. Una parte di me era convinta di aver già pubblicato una recensione a riguardo, ma questa parte era in errore perché cercandola nei meandri del blog non c’è, quindi nulla, era una convinzione falsa e tendeziosa.

E’ stata una pubblicazione del 2021 che io ho recuperato subito, appena uscita, perché mi attraeva molto dalla trama e ho sempre sentito tessere le lodi di Susanna Clarke, di cui in libreria ho anche Jonathan Strange e il Signor Norrell, ma ho aspettato il 2022 per leggerlo quando ormai era già esploso il fenomeno “Piranesi”, dato che di questo libro si è parlato molto e sempre bene da quello che ricordo.

Ma io direi di iniziare a parlarne subito, è giunto il suo momento!

Piranesi – Susanna Clarke

Casa editrice: Fazi

Pagine: 267

Genere: fantasy, realismo magico

Prezzo di Copertina: € 16,50

Prezzo ebook: € 4,99

P. Pubblicazione (ITA): 2021

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Quando la Luna è sorta nel Terzo Salone Settentrionale sono andato nel Nono Vestibolo. ANNOTAZIONE PER IL PRIMO GIORNO DEL QUINTO MESE DELL’ANNO IN CUI L’ALBATROS E’ ARRIVATO NEI SALONI SUD-OCCIDENTALI. Quando la Luna è sorta nel Terzo Salone Settentrionale sono andato nel Nono Vestibolo per assistere alla congiunzione di tre Maree. E’ un evento che accade soltanto una volta ogni otto anni. Il Nono Vestibolo è un luogo straordinario per le tre grandi Scalinate che contiene. Lungo le sue Pareti corrono file di Statue di marmo, centinaia di Statue che si innalzano, un Livello dopo l’altro, fino a raggiungere vette lontanissime.

Trama

Piranesi vive nella Casa. Forse da sempre. Giorno dopo giorno ne esplora gli infiniti saloni, mentre nei suoi diari tiene traccia di tutte le meraviglie e i misteri che questo mondo labirintico custodisce. I corridoi abbandonati conducono in un vestibolo dopo l’altro, dove sono esposte migliaia di bellissime statue di marmo. Imponenti scalinate in rovina portano invece ai piani dove è troppo rischioso addentrarsi: fitte coltri di nubi nascondono allo sguardo il livello superiore, mentre delle maree imprevedibili che risalgono da chissà quali abissi sommergono i saloni inferiori.
Ogni martedì e venerdì Piranesi si incontra con l’Altro per raccontargli le sue ultime scoperte. Quest’uomo enigmatico è l’unica persona con cui parla, perché i pochi che sono stati nella Casa prima di lui sono ora soltanto scheletri che si confondono tra il marmo.
Improvvisamente appaiono dei messaggi misteriosi: qualcuno è arrivato nella Casa e sta cercando di mettersi in contatto proprio con Piranesi. Di chi si tratta? Lo studioso spera in un nuovo amico, mentre per l’Altro è solo una terribile minaccia. Piranesi legge e rilegge i suoi diari ma i ricordi non combaciano, il tempo sembra scorrere per conto proprio e l’Altro gli confonde solo le idee con le sue risposte sfuggenti. Piranesi adora la Casa, è la sua divinità protettrice e l’unica realtà di cui ha memoria. È disposto a tutto per proteggerla, ma il mondo che credeva di conoscere nasconde ancoratroppi segreti e sta diventando, suo malgrado, pericoloso.

Recensione

Il libro contiene numerosi riferimenti all’arte e alla letteratura. Il nome del protagonista è un omaggio a Giovanni Battista Piranesi, autore di una serie di incisioni immaginifiche dal titolo Carceri d’invenzione. L’aspetto della Casa è ispirato alle sue opere.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Io partirei parlando delle atmosfere presenti in Piranesi, che sono sicuramente uno degli aspetti più affascinanti ed unici del romanzo. Infatti ci troviamo in questa casa enorme, che sembra ricoprire la superficie intera del mondo, da come viene descritta da Piranesi, sembra che il mondo sia questa casa, anzi Casa con la maiuscola dato che per il nostro protagonista è come se fosse una vera e propria entità.

Questo ambiente enorme, senza fine, viene descritto in parte da Piranesi che con il passare del tempo ha costruito una specie di cartina dei luoghi e dei saloni che si trovano in questa casa. Ogni salone è diverso e ha delle sue caratteristiche precise, ma in molti di questi luoghi sono presenti statue di diverso tipo, alcune raffiguranti animali e altre esseri mitologici, altre ancora esseri umani ecc. ecc.

L’ambiente che Susanna Clarke riesce a rappresentare sembra bianco, asettico, con queste statue eteree che sembrano le uniche presenze fisse in questo luogo assieme a Piranesi, come se fossero esseri che in un certo modo tengono compagnia ad un individuo solo.

Anche se scopriamo presto che in realtà Piranesi non è solo del tutto in questo luogo, ma ci arriveremo.

Tornando alle atmosfere questo è un romanzo di una bellezza surreale, sotto questo aspetto, se amate molto ad esempio immergervi in quello stile estetico che ricorda quasi un museo per la struttura dei luoghi, amerete queste atmosfere, con questi enormi saloni, queste maree che arrivano e inondano ogni volta i saloni situati al primo piano, mentre in altri a volte c’è nebbia o pioggia, proprio come se questa casa fosse strutturata in piani talmente vasti ed enormi da avere al loro interno fenomeni atmosferici come appunto la pioggia o la nebbia.

Ci sono però luoghi in questa casa che Piranesi non conosce anche perché per viaggiare da un salone all’altro a volte ci vogliono ore o giorni.

Il ritmo generale del romanzo è un crescendo, all’inizio seguiamo un individuo che sembra rinchiuso in uno schema dentro cui vive in modo piuttosto rigido ed è talmente abituato a seguire questo schema da non farsi nemmeno domande o da non avere dubbi quando inizia ad essere chiaro il fatto che ci sono molti misteri che si nascondono nella casa e che Piranesi all’inizio sembra voler intenzionalmente ignorare.

Andando avanti però Piranesi si rende sempre più conto del fatto che non può continuare ad ignorare aspetti della sua vita e della casa che non tornano, punti oscuri su cui bisogna indagare, quindi il ritmo iniziare ad essere costante fino a questa esplosione finale, per poi distendersi di nuovo. Penso sia un testo che ci mette un poco ad ingranare anche per farci entrare del tutto prima nel mondo di Piranesi e per portarci vicino a questo personaggio che dal mio punto di vista all’inizio fa di tutto per non scostarsi dalla sua vita di tutti i giorni.

Lo stile di Susanna Clarke è godibilissimo, è uno stile che fa avvicinare il lettore al protagonista perché capiamo le sue paure, avvertiamo il suo timori, ne comprendiamo la psiche, insomma è uno stile che ci accompagna anche in questo viaggio alla scoperta di Piranesi oltre che alla scoperta della casa e dei vari misteri.

“Allora te lo dirò. E’ cominciato quando ero giovane, sai. Sono sempre stato molto più brillante dei miei pari. La mia prima grande intuizione è stata quando mi sono reso conto di quanto il genere umano avesse perso. Una volta, uomini e donne erano capaci di trasformarsi in aquile e volare su distanze immense. Erano in comunione spirituale con i fiumi e le montagne e da loro ricevevano saggezza. Percepivano l’orbita delle stelle all’interno delle loro menti. I miei contemporanei non lo capivano. Tutti erano ammaliati dall’idea del progresso e credevano che qualsiasi cosa nuova dovesse essere superiore a ciò che era vecchio. Come se il merito fosse una funzione della cronologia! Ma secondo me la saggezza degli antichi non poteva essere semplicemente svanita. Niente svanisce e basta.[…]”

Un Personaggio e una Casa Indimenticabili

Ho amato tanto il personaggio di Piranesi, che di certo all’inizio può infastidire per questo suo voler vivere a tutti i costi ignorando aspetti che sembrano impossibile da ignorare, ma l’ho trovato un essere innocente, profondamente fragile in questo suo guscio di ruotine che si è creato, un individuo che si aggrappa a ciò che sa per non impazzire perché intorno a lui è nulla è certo.

All’interno della Casa comunque vive anche un altro individuo chiamato da Piranesi appunto “L’Altro”, un uomo che lui incontra ogni martedì e venerdì e al lettore è chiaro fin da subito che quest’uomo di approfitta in un certo di Piranesi e che senza dubbio sa molto di più rispetto a ciò che gli racconta. Ad un certo punto del romanzo Piranesi trova dei messaggi sparsi in giro per la casa e all’inizio crede che sia la casa stessa a voler comunicare con lui, ma ben presto diventa chiaro il fatto che potrebbe esserci anche un altro individuo nella casa e potrebbe non avere delle buone intenzioni.

Anche qui come per la recensione de “Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle” mi trovo costretta a frenare i polpastrelli per evitare di fare spoiler, ma tutto ciò che ho scritto si trova anche nella trama quindi non ho superato il confine.

Sta di fatto che andando avanti nel testo iniziano a palesarsi una serie di elementi che piano piano ci porteranno alla scoperto di un mistero che in parte, in una minima parte, si può intuire soprattutto per l’aspetto legato all’ambiente, ma per me è stata solo una piccola intuizione perché è senza dubbio un romanzo con un grande colpo di scena.

E’ un testo che contiene molti riferimenti artistici, mitologici, letterari, è un testo con atmosfere potenti e un protagonista assolutamente umano.

Una parte di me vorrebbe avere la possibilità di cancellare dalla mente il ricordo di aver letto questo romanzo, per poterlo rileggere come se fosse la prima volta e poter visitare questi luoghi da zero.

Sicuramente la casa è anche un luogo che esprime una certa solitudine, soprattutto all’inizio quando incontriamo Piranesi, ma sembra quasi un ambiente al di là del tempo e dello spazio, fin da subito, un luogo in cui tutto è imprigionato in una bolla in mezzo a queste statue, a questi ambienti pieni di arte e ricoperti da un velo di silenzio dove in sottofondo si sente lo scorrere dell’acqua ai piani inferiori… stupendo.

Ci sono di certo vari aspetti che arrivano ad intersecarsi in questo testo, abbiamo una parte mystery che si va ad unire a quella fantasy, c’è il mistero di questo famoso “Altro”, il mistero di questo universo/Casa, quello legato alla vera identità di Piranesi e alla sua storia e infine quello riguardante vari scheletri che Piranesi ha trovato in vari in luoghi della casa e a cui porta cibo e acqua.

Alla fine si può arrivare a apprezzare di più certi aspetti del romanzo rispetto ad altri, ma secondo me tutti arrivano a unirsi per creare un quadro finale perfettamente costruito.

Conclusioni

E’ un testo che ho inserito al secondo posto fra i libri preferiti del 2022 e mi sento di dire che potrebbe tranquillamente rientrare in una lista dei libri migliori degli ultimi anni, è già mirabile il fatto che nonostante siano passati vari mesi dalla lettura io ricordi ancora alla perfezione le sensazioni che ho provato in questi luoghi.

E’ un romanzo che all’inizio, al primissimo approccio, può avere un ritmo un poco lento, ma una volta avviato vi rapisce e non vi lascia più.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Piranesi”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle – Stuart Turton

Buon venerdì e ben ritrovatə!

Partiamo oggi con la prima recensione del 2023, finalmente! E’ stato un inizio anno bello intenso e avrei voluto parlarvi già mesi fa di questo testo, che ho letto appunto nel 2022, ma l’importante è essere comunque qui con la nostra prima recensione dedicata ad un testo e poter finalmente parlare di questo acclamatissimo romanzo, sono felice di poter tornare a pieno ritmo.

E per voi, come sono state queste prime settimane del 2023?

Dunque, oggi parliamo de “Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle” di Stuart Turton, un romanzo di cui si è parlato parecchio, in tutti i luoghi e in tutti i laghi, e fiumi e torrenti, ovunque insomma.

La prima volta che ho affrontato questo testo mi sono ritrovata nel pieno fallimento e costretta al momentaneo abbandono, ma l’anno scorso mi sono convinta a riprenderlo in mano e dopo un poco di fatica iniziale sono riuscita a portarlo a termine.

Parliamone!

Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle – S. Turton

Casa editrice: Neri Pozza

Pagine: 523

Genere: mystery, thriller, narrativa

Prezzo di Copertina: € 18,00

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione: 2019

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Dimentico tutto tra un passo e l’altro. “Anna!” mi ritrovo a gridare, per poi chiudere la bocca di scatto, sorpreso. Ho il vuoto nel cervello. Non so chi sia Anna, né perché stia chiamando il suo nome. Non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare qui. Sono in un bosco, e mi proteggo gli occhi dalla pioggia sottile. Sento il cuore che batte all’impazzata. Puzzo di sudore e mi tremano le gambe. Devo aver corso, ma non ricordo perché. “Come ho…” mi interrompo nel vedere l’aspetto delle mie mani. Sono ossute e brutte. Le mani di un estraneo. Non le riconosco.

Trama

Blackheath House è una maestosa residenza di campagna cinta da migliaia di acri di foresta, una tenuta enorme che, nelle sue sale dagli stucchi sbrecciati dal tempo, è pronta ad accogliere gli invitati al ballo in maschera indetto da Lord Peter e Lady Helena Hardcastle. Gli ospiti sono membri dell’alta società, ufficiali, banchieri, medici ai quali è ben nota la tenuta degli Hardcastle. Diciannove anni prima erano tutti presenti al ricevimento in cui un tragico evento – la morte del giovane Thomas Hardcastle – ha segnato la storia della famiglia e della loro residenza, condannando entrambe a un inesorabile declino. Ora sono accorsi attratti dalla singolare circostanza di ritrovarsi di nuovo insieme, dalle sorprese promesse da Lord Peter per la serata, dai costumi bizzarri da indossare, dai fuochi d’artificio. Alle undici della sera, tuttavia, la morte torna a gettare i suoi dadi a Blackheath House. Nell’attimo in cui esplodono nell’aria i preannunciati fuochi d’artificio, Evelyn, la giovane e bella figlia di Lord Peter e Lady Helena, scivola lentamente nell’acqua del laghetto che orna il giardino antistante la casa. Morta, per un colpo di pistola al ventre. Un tragico decesso che non pone fine alle crudeli sorprese della festa. L’invito al ballo si rivela un gioco spietato, una trappola inaspettata per i convenuti a Blackheath House e per uno di loro in particolare: Aiden Bishop. Evelyn Hardcastle non morirà, infatti, una volta sola. Finché Aiden non risolverà il mistero della sua morte, la scena della caduta nell’acqua si ripeterà, incessantemente, giorno dopo giorno. E ogni volta si concluderà con il fatidico colpo di pistola. La sola via per porre fine a questo tragico gioco è identificare l’assassino. Ma, al sorgere di ogni nuovo giorno, Aiden si sveglia nel corpo di un ospite differente. E qualcuno è determinato a impedirgli di fuggire da Blackheath House…

Recensione

Se si esclude la componente fantastica, il romanzo ha caratteristiche christiane, con indizi precisi sparsi in (quasi) tutti i capitoli e un assassino da individuare; all’inizio è presente una dettagliata pianta della villa e dei terreni attorno ad essa; è inoltre presente l’elenco di tutti i personaggi. È strutturato in sessanta capitoli; quando l’identità del protagonista cambia, all’inizio del capitolo vi è appuntato il giorno in cui esso si svolge.

Stie, Ritmo e Atmosfere

Dunque, lo stile di Turton è piuttosto godibile a livello generale, certamente non è la caratteristica che spicca in questo testo e in alcuni segmenti l’ho trovato un poco prolisso, sopratutto nella parte iniziale del testo che penso sia quella più ostica proprio perché si può avere qualche difficoltà ad ingranare, e a tratti il ritmo sembra rallentare ed una conseguenza può essere appunto quella di perdere per un tot di pagine la concentrazione o l’interesse almeno per vari aspetti della vicenda.

In questo mystery c’è quell’aspetto legato alla parte iniziale in discesa/stallo rispetto al resto, nel senso che la partenza è intrigante ma man mano che si va avanti ci si immerge in un ritmo che rallenta un poco, però una volta ripreso il ritmo di certo torna l’interesse legato alla risoluzione finale e al mistero che è alla base del libro, ma in alcuni punti l’autore si prende il suo tempo, è un testo che procede con un ritmo tutto sommato lento, anche perché abbiamo molti personaggi e ci sono parecchi dettagli ed eventi da incastrare.

Le atmosfere del volume sono legate ad un senso più o meno costante di pericolo, fino alla fine il nostro protagonista che cambia ogni giorno corpo e identità è minacciato da fattori vari di ogni tipo, interni ed esterni, legati al corpo cui è legato in quel momento o alle persone che lo circondano e in tutto questo ha solo otto giorni di tempo per risolvere un mistero piuttosto intricato, senza contare il fatto che si gioca la libertà con altri individui.

Oltre al pericolo ci si sente costantemente intrappolati in una specie di ciclo infinito da cui non si sa come uscire, insomma queste atmosfere funzionano bene, ovviamente non sono sempre presenti, ma ci sono momenti in cui diventano parecchio intense, è un testo con uno sfondo claustrofobico.

I punti forti

Sicuramente uno dei punti di forza di questo romanzo è la struttura stessa e l’idea alla base di questa, il fatto che il nostro narratore salti ogni giorno da un corpo e un carattere all’altro, perché prende anche le caratteristiche caratteriali del personaggio di cui si “impossessa” e questo continuo salto sia effettivamente ben gestito dall’autore e non è un qualcosa di semplice anche perché i personaggi non sono pochi.

La struttura a primo acchito può sembrare parecchio intricata e complessa da imparare, perché il nostro narratore si risveglia il primo giorno in cui lo incontriamo nei panni di un certo Sebastian Bell, un dottore che sembra gestire traffici strani, questo Sebastian sembra non ricordare nulla di sé, del luogo in cui si trova e del perché si preoccupi di una certa Anna. Successivamente le cose inizieranno ad assumere contorni più definiti quando Bell incontrerà un certo individuo vestito da medico della peste, costui gli comunicherà le regole di questa specie di mistero/gioco in cui il narratore è uno dei tre individui che partecipano a questa sfida presenti in questo luogo, Blackheath House appunto, in cui è accaduto un fatto tragico ovvero un omicidio, quello di Evelyn Hardcastle.

Il narratore si ritroverà a vivere per otto giorni, in otto corpi diversi quello che di base è sempre lo stesso giorno, quello dell’omicidio. La vincita finale a questo gioco è la libertà del narratore che sembra appunto intrappolato in questo luogo in un loop senza fine.

Un altro aspetto interessante è il fatto che se una incarnazione per qualche motivo finisce fuori gioco, magari sviene, gli viene fatto del male o è momentaneamente non “disponibile” come corpo da abitare, la narrazione va comunque avanti e si passa all’incarnazione successiva, c’è questo continuo salto e a volte ad esempio al giorno sei viene ripresa l’incarnazione del giorno tre, perché magari quel personaggio era svenuto al giorno tre. So che può sembrare complessa come struttura, ma una volta che ci si prende la mano può scorrere più fluida.

Abbiamo quindi otto personaggi diversi per caratteristiche varie legate al fisico, alla personalità, alla posizione ecc. ecc. L’autore fa un gran bel lavoro sotto questo punto di vista perché riesce a dare ad ogni personaggio delle caratteristiche ben precise tenendo sempre quel qualcosa riconducibile al vero narratore che si nasconde sotto le spoglie del personaggio del giorno. Ognuno ha una sua voce e dei tratti distintivi precisi, ad esempio all’ottavo giorno incontriamo Gold che è un artista e nonostante arrivati a questo punto del libro il vero narratore sia in uno stato particolare, si riesce comunque a farsi una idea di Gold staccata dalla figura del narratore, come se avesse una sua personalità e non fosse solo un corpo e uno strumento che viene utilizzato.

Anche perché un’altra sfida del narratore è quella di rimanere fedele in un certo senso a i pochi ricordi che gli restano e non farsi trascinare dalle varie personalità di cui si impossessa.

Quindi la struttura e i personaggi sono di certo punti che vanno a favore dell’autore, sono a mio vedere ben riusciti.

I punti deboli

Ora, nei punti deboli vi dico subito che sarò molto generica purtroppo perché non volendo fare spoiler non posso dirvi quali sono gli aspetti precisi che non mi hanno convinta, perché sono punti molto specifici legati ad eventi importanti che si legano gli uni agli altri all’interno del testo e parlarne nel dettaglio vorrebbe dire spoilerare, quindi cercherò di prenderla alla larga.

Ci sono quei classici eventi in cui i personaggi si comportano in un modo che alla fine, conoscendo la risoluzione, scoprendo l’arcano mistero e guardando il quadro generale, non ha così senso.

Ad esempio c’è un personaggio che si muove in modo ravvicinato nei confronti di un altro personaggio che si nasconde sotto mentite spoglie, e questo non lo riconosce minimamente o comunque non nota nulla di diverso nonostante sia molto vicino a questo.

Oppure ancora, non si spiega perché guardando la spiegazione finale a queste specie di loop si tenta a favorire un personaggio rispetto ad un altro, quando entrambi sono persone pericolose.

Più generica di così non posso essere, me ne rendo conto.

Questo è un romanzo che da anche la possibilità alla fine di una libera interpretazione per quanto riguarda il genere, perché può cadere in un testo onirico/fantastico o in un distopico/fantascientifico, ci sono delle domande a cui non viene data nessuna risposta e certo questa è una scelta dell’autore per lasciare anche questa libera interpretazione, però io avrei gradito quanto meno qualche risposta in più.

Ho creduto per tutto il tempo ad un universo terreno, quindi pensavo fossimo in un luogo sulla Terra in cui (per un non ben specificato motivo) accade questo strano fatto del loop degli otto giorni fino alla risoluzione, ma in realtà il testo verso la fine (in un particolare dialogo che speravo fosse più esaustivo) apre un mondo anche ad altre possibilità non così legate alla realtà se vogliamo o ad un qualcosa di terreno e contemporaneo.

Il libro lascia il lettore con molte domande a cui si può provare a rispondere vagando con la fantasia, ma dopo 526 pagine, intrighi su intrighi, persone che sembrano essere realmente esistite (almeno nella realtà del romanzo), una vicenda che si pensa reale e su cui si attendono chiarimenti, io mi aspettavo qualche certezza in più, è forse troppo comodo alla fine sfregarsi le mani e dire: “Ok, adesso pensaci tu lettore e incastra le cose come vuoi”.

Conclusioni

E’ un testo che mi ha suscitato emozioni contrastanti perché se da una parte sono stata soddisfatta di essere finalmente riuscita a completare questa lettura, dall’altra parte mi sono ritrovata delusa per questo vuoto che ho avvertito nel finale e queste “scaglie” di eventi che alla fine non hanno senso nel quadro generale, anche se sono ben poca cosa rispetto a questa risoluzione traballante.

Ci sono stati dei momenti in cui ero decisamente dentro alla narrazione e verso la fine mi sono ritrovata a divorare il testo, leggendo le ultime 150 pagine alla velocità della luce, ma ci sono anche stati momenti tiepidi e deludenti.

Devo dire che la mia valutazione finale vaga tra le tre stelle e le tre stelle e mezzo.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

Lo Straniero – Albert Camus

Buon venerdì e buon quasi weekend!

Eccomi tornata dopo questi giorni di assenza, vi chiedo scusa per la sparizione, ma questo periodo è piuttosto trafficato e impegnativo.

Proprio per questo motivo purtroppo anche quest’anno la maratona natalizia salterà, ma in realtà cercherò comunque di essere il più attiva possibile a dicembre anche perché dobbiamo parlare di libri natalizi, liste di libri, propositi per l’anno prossimo, libri migliori e peggiori dell’anno, uhh ne abbiamo di cose di cui parlare a dicembre!

Purtroppo negli ultimi due anni gli ultimi mesi sono sempre iper frettolosi e pesanti, ma questo non cambia il fatto che per chiudere l’anno dobbiamo ancora parlare di tanti libri.

Oggi, parliamo di un testo di cui vi avrei dovuto parlare mesi fa, è stato infatti il libro del gruppo di lettura per il mese di maggio e per qualche arcano motivo io ero convinta di avervi già parlato del libro in questione, ma era una pura illusione.

“Lo Straniero” di Camus è il secondo testo che mi sono ritrovata a leggere dell’autore dopo la lettura de “La Peste”, è un testo tradotto in quaranta lingue, da cui Luchino Visconti ha tratto nel 1967 l’omonimo film con Marcello Mastroianni.

Unanimemente considerato dai critici uno dei romanzi capitali della letteratura universale, diede immediata notorietà all’autore.

Parliamone!

Lo Straniero – Albert Camus

Casa editrice: Bompiani

Pagine: 121

Genere: narrativa filosofica, narrativa esistenzialista

Prezzo di Copertina: € 13,00

Prezzo ebook: € 7,99

P. Pubblicazione: 1942

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Non significa niente. Forse è stato ieri. L’ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l’autobus alle due e arriverò nel pomeriggio. Così farò la veglia e potrò tornare domani sera. Ho chiesto due giorni di permesso al principale, e con una scusa così non poteva rifiutarmeli. Però sembrava seccato. Gli ho anche detto: “Non è colpa mia.” Non ha risposto.

Trama

Pubblicato nel 1942, “Lo straniero” è un classico della letteratura contemporanea: protagonista è Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo. Un giorno, dopo un litigio, inesplicabilmente Meursault uccide un arabo. Viene arrestato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto – il processo e la condanna a morte – senza cercare giustificazioni, difese o menzogne. Meursault è un eroe “assurdo”, e la sua lucida coscienza del reale gli permette di giungere attraverso una logica esasperata alla verità di essere e di sentire. Un romanzo tradotto in quaranta lingue, da cui Luchino Visconti ha tratto nel 1967 l’omonimo film con Marcello Mastroianni.

Recensione

L’opera affronta vari interrogativi: chi sia Meursault – estraneo a sé stesso – un volgare assassino, un folle o un ribelle; quale significato abbiano il suo gesto e il suo comportamento. Camus racconta la storia di un delitto assurdo e denuncia l’assurdità di vivere e dell’ingiustizia universale.

Sono tematiche tipiche dell’esistenzialismo, eppure Camus non si considerò mai un esistenzialista.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Lo stile di Camus in quest’opera è piuttosto diretto, asciutto dal punto di vista dei periodi, infatti le descrizioni o i pensieri del protagonista vengono sempre messi in scena in modo secco e magistrale perché anche in una frase brevissima siamo in grado già dalla prima riga di farci un’idea delle tematiche che affronterà l’autore e della psiche del protagonista.

Ad esempio: “Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so”, il modo in cui si apre il romanzo ci proietta in uno scenario già assurdo se vogliamo per il livello di cinismo e distacco emotivo dalla realtà che ha Meursault, uomo sempre impassibile di fronte alla vita e ai drammi, problemi e vicende a cui assiste.

La storia dell’uomo avanza in modo rapido, è un romanzo di 120 pagine in cui seguiamo il crollo della normalità nella vita di questo individuo che ad un certo punto commette un omicidio, tra l’altro la scena della violenza è una scena cardine della storia e rappresenta a pieno tutto il fulcro della personalità e della rappresentazione di Meursault, perché le ragioni per cui uccide quest’uomo e il modo in cui lo fa rappresentano in pieno la totale assenza di empatia, cinismo e indifferenza del nostro protagonista.

Le atmosfere ci riportano al senso di vuoto abissale nella psiche del protagonista, ma anche di ciò che lo circonda che lui vede attraverso uno strato all’apparenza normale, Meursault è all’apparenza un uomo normale, con una vita normale e capace di vivere in situazioni normali. Il problema giunge quando si cerca di andare oltre alla prima reazione o ad un sincero senso di empatia o interesse verso qualcuno che non sia lo stesso Meursault.

Quindi ci ritroviamo in mezzo a scene che danno la sensazione di essere vuote, in cui si avverte quasi freddo, come se fossimo in un asettico ambulatorio o in un obitorio, anche quando il protagonista è attorniato da altri personaggi c’è sempre questo senso di solitudine, isolamento, non appartenenza a ciò che lo circonda e a ciò che sta vivendo.

“All’apparenza Lo straniero sembra un libro estremamente semplice…”

Nel 1956, Carl Albert Viggiani analizzando l’opera ha scritto: “All’apparenza Lo straniero sembra un libro estremamente semplice ma scritto e pianificato molto attentamente. In realtà, è una creazione densa e ricca, piena di significati sconosciuti e qualità formali. Ci vorrebbe un libro almeno della lunghezza del romanzo per fare un’analisi completa del significato e della forma e le corrispondenze di significato e forma, ne Lo straniero.”

“Lo Straniero” è un libro all’apparenza semplice, a primo acchito ci ritroviamo davanti uno stile secco e pulito, un protagonista che ragiona in modo all’apparenza semplice e egoista, una vicenda che si incastra pezzo dopo pezzo con una conclusione definitiva.

Ma in realtà all’interno di questo libro e sotto questo velo di falsa semplicità c’è un cosmo di riflessioni che Camus sottopone al lettore rappresentando questo protagonista e i suoi movimenti.

“Mi sono sentito assalire dai ricordi di una vita che non mi apparteneva più, ma in cui avevo trovato le mie gioie più povere e più tenaci.”

Camus porta in scena una realtà senza dubbio triste e definitiva, non c’è redenzione per questo protagonista, questo muro di cinismo e mancanza di interesse, empatia e attenzione è ciò che muove il romanzo. Alcune scelte o azioni di Meursault non vengono mai spiegate, motivate in alcun modo e risultano ovviamente di difficile comprensione perché sorge spontaneo chiedersi come sia possibile fare quello che ha fatto il protagonista senza un motivo preciso, un movente.

Meursault intrattiene una relazione con Marie, donna per cui prova una forte attrazione, figura a cui pensa spesso in modo più che altro sessuale con un persistente desiderio di fondo, ma anche con lei si avverte questo muro come se l’uomo avesse delle pulsioni per lei senza mai andare oltre a livello sentimentale, c’è nella sua mente a tratti, ma torna sempre la vena egoistica intrinseca nella personalità di Meursault.

Nel romanzo lui incontra anche altri personaggi con vari problemi e drammi personali, si comporta con loro come un confidente, qualcuno di impassibile con cui parlare e su cui riversare tutti i problemi per sfogarsi, ma non conosce un limite, ad esempio lui uccide quest’uomo per cui poi finirà in prigione, perché collegato ad un amico/conoscente che per Mersault in realtà non ha un gran valore.

Sappiamo che l’uomo ucciderà questo individuo in modo piuttosto violento soprattutto per una sua indifferenza nei confronti della vita anche, sarà lui stesso a dire ad un certo punto: “Ma tutti sanno che la vita non vale la pena di essere vissuta.

Questa frase è sicuramente un perno importante nella psicologia del protagonista per comprendere la sua visione del mondo e ragionare sulla totale assenza di motivazione e interesse nei confronti di tutto ciò che lo circonda, e questa è la base della personalità di Meursault, in ogni situazione anche quando sembra all’apparenza un individuo interessato e complice di qualcuno.

Per Meursault il mondo stesso è indifferente nei confronti dell’umanità e di tutto il resto, viviamo in un mondo fatto di indifferenza e per lui nessuno può arrogarsi il diritto di giudicarlo per le sue azioni, come nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare un altro uomo.

Conclusioni

Io non sono una persona da “è obbligatorio leggere questi libri nella vita”, ma per certi testi faccio un’eccezione e “Lo Straniero” di Camus rientra in queste eccezioni, ed è sicuramente un libro alienante, assurdo di primo acchito quando ancora non si è del tutto compresa la psiche del protagonista, ma a mio avviso è un romanzo che merita di essere esplorato almeno una volta nella vita proprio per lei riflessioni a cui porta il lettore e gli interrogativi che possono nascere assistendo alla vicenda di un uomo indifferente che è convinto di vivere in un mondo totalmente indifferente e a cosa questo può portare a livello di azioni e reazioni.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Camus? Si, no? Fatemi sapere!

A presto!

La Fortuna – Valeria Parrella

Buon lunedì e buon inizio settimana!

Eccoci qui con il primo articolo di novembre, e come è capitato spesso nelle ultime settimane sono in iper ritardo, oggi parliamo di un libro che ho recentissimamente terminato, è tra le mie ultime letture, il che è strano dato che la mia operazione di recupero delle recensioni arretrate è ancora in atto, ma oggi ci tenevo a parlarvi di questo testo in particolare.

Parliamo di un libro uscito qualche mese fa, che ha ricevuto anche un degno successo e una degna pubblicità sui social, in alcuni programmi televisivi e affini, insomma è un testo che dal giorno dell’uscita si è vista spesso in giro e sto parlando de “La Fortuna” di Valeria Parrella.

Non so se è mai venuto fuori questo discorso, ma io mi ritengo una appassionata di Pompei, direi anche una facile al diventare ossessionata con Pompei in alcuni particolari periodi, questo accadeva in realtà soprattutto in passato quando mi è capitato di avvicinarmi per le prime volte a Pompei e alla sua storia, ad oggi invece guardo sempre con molto piacere e interesse trasmissioni, documentari, video vari sull’argomento e leggo sempre con moltissimo piacere libri su Pompei, ma la mia ossessione morbosa si è di certo distesa, per fortuna aggiungerei.

Ma diciamocelo, non si può rimanere indifferenti di fronte alla storia di Pompei e al suo immenso fascino, mai e poi mai!

Comunque, tornando al testo della Parrella, devo confessare che ai tempi dell’uscita del libro mi ero limitata a guardarlo senza particolare interesse, poi una volta scoperta la trama e il concept mi sono fiondata a recuperarlo perché questo romanzo è appunto ambientato a Pompei e ha come protagonista un ragazzo figlio della città.

Parliamone!

                                  

La Fortuna – Valeria Parrella

Casa editrice: Feltrinelli

Pagine: 137

Genere: romanzo storico, romanzo di formazione

Prezzo di Copertina:  € 16,00

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione: 2022

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Mi chiamo Lucio perché sono nato in una casa sotto quel monte, e della mia nascita mamma mi raccontava sempre la stessa cosa; che la casa in cui erano ospiti cominciò a ondeggiare tutta e si spensero le voce come se sulle fiamme avesse soffiato un dio. Lei era distesa a chiacchierare con un’amica, sarebbero dovuti già andar via, ma era febbraio, faceva freddo e davanti al braciere si stava bene. Mio padre aveva bevuto molto e parlava senza fermarsi, mia madre un poco lo guardava, un poco parlava anche lei, tutta avvolta nella lana, fin dove la pancia glielo permetteva. Sarei dovuto nascere a marzo, ma prima di me arrivò il terremoto.

Trama

Il prodigio viene dalla terra, e scuote aria e acqua. Dal cielo piovono pietre incandescenti e cenere, il mare è denso e la costa sembra viva, ogni mappa disegnata è stravolta, i punti di riferimento smarriti. Lucio ha solo diciassette anni e ha seguito l’ammiraglia di Plinio il Vecchio nel giorno dell’eruzione del Vesuvio, ma non può sospettare che il monte che conosce da sempre sia un vulcano. Per quel prodigio mancano le parole, non esiste memoria né storia a rassicurare. Nascosta dalla coltre rovente c’è Pompei, la città che ha visto nascere Lucio e i suoi sogni, dove ancora vivono sua madre, la balia, gli amici d’infanzia, dove ha imparato tutto ciò che gli serve, adesso, per far parte della flotta imperiale a dispetto del suo occhio cieco – anzi, proprio grazie a quello, che gli permette di vedere più degli altri, perché “un limite è un limite solo se uno lo sente come un limite, sennò non è niente”. E mentre Lucio tiene in mano, per quanto la Fortuna può concedere, il filo del suo destino, ecco che Pompei torna a lui presente e più che mai viva, nel momento in cui sembra persa per sempre, attraverso i giochi con le tessere dei mosaici, i pomeriggi trascorsi nei giardini o nelle palestre, le terme, il mercato, i tuffi in mare e le gite in campagna, le scorribande alla foce del fiume. La sua intera giovinezza gli corre incontro irrimediabilmente perduta, eppure – noi lo sappiamo – in qualche modo destinata a sopravvivere. Insieme a Lucio, una folla di personaggi, mercanti, banchieri, matrone, imperatori, schiavi, prostitute e divinità, si muove tra le pagine di un romanzo sorprendentemente attuale, in cui niente è già visto: piuttosto ciò che conoscevamo del mondo classico ci appare in un aspetto nuovo, moderno e intimo. Perché il desiderio è nascosto, si innalza dalla terra, è il cuore stesso della terra, e noi siamo terreni.

Recensione

Come dicevamo il libro è ambientato a Pompei (per la maggior parte) e segue le vicende di Lucio, un giovane che nasce e cresce a Pompei fino al trasferimento a Roma per motivi di studio. Lucio ritornerà poi nella sua città natale, Pompei appunto, proprio durante l’eruzione del Vesuvio e diventerà in quei giorni il comandante della flotta di Plinio, compito a cui lui ha aspirato per tutta la vita (nonostante sia solo diciottenne), tra distruzione e carestia Lucio cercherà di gestire al meglio la situazione in un clima di confusione e tragedia.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Lo stile di Valeria Parrella è uno dei punti che più mi hanno confusa in quest’opera, perché se da una parte il suo stile risulta a tratti poetico e aulico, dall’altra parte queste caratteristiche a lungo andare diventano un poco forzate e ripetitive.

Lucio è un personaggio che proviene da una famiglia più che benestante e fin da piccolo è stato affiancato da un valido maestro, è un ragazzo intelligente che può aspirare a rivestire cariche importanti anche per le conoscenze che ha l’onore di vantare per la famiglia da cui proviene, quindi insomma stiamo parlando di un individuo che si sa esprimere e ha direi anche una vena poetica spiccata dal modo in cui riesce ad esprimere a parole i suoi pensieri.

Quindi può essere in linea con il personaggio uno stile simile e lo è, ma ho trovato certe frasi forzatamente poetiche e d’effetto inserite sempre con maggior costanza nel corso del testo che a tratti diventano forzate come dicevamo.

Ci sono queste riflessioni sulla vita, sulla città e su se stesso che Lucio fa in cui inserisce sempre queste frasi forzatamente epiche.

Io non ho problemi con uno stile di questo tipo se non diventa troppo forzato come in questo caso, trovo che dopo un certo punto diventi infatti eccessivamente ripetitivo nel suo voler essere d’impatto ad ogni costo.

E’ un libro senza dubbio costellato di belle frasi, quelle che si possono sottolineare per poi rileggerle ogni tanto, vi faccio qualche esempio:

“Io quello più di tutto capivo: che c’è un nucleo duro di giovinezza sepolto dentro ogni adulto e ogni vecchio e che, forse, fa di noi quello che siamo e che saremo.”

“Lui indovinava gli artifici, sapeva che la verità non passa dalle parole ma dalla voce, che non vive di affermazioni ma di azioni.”

“[…]stavo imparando che una città non è fondata sulle pietre bensì sulle convenzioni, non alza le sue mura contro il barbaro ma per perpetuare se stessa.”

“Siamo strani: crediamo più a quello che abbiamo sempre veduto che a quello che stiamo vedendo […]”

“[…] io sono rimasto tre giorni e tre notti sospeso a metà strada, spettatore della lotta tra gli dei e gli uomini.”

Un altro problema per me del testo è il fatto che questo dovrebbe essere un romanzo di formazione, in cui seguiamo appunto un personaggio attraverso eventi formativi della sua vita, quindi seguiamo il suo processo di maturazione con conseguenti errori, traumi, esperienze importanti e secondo me un buon romanzo di formazione è un testo in cui alla fine tu lettore riesci a comprendere la personalità del personaggio in questione, puoi ovviamente non essere d’accordo con certe scelte o percorsi, ma almeno ne comprendi i tratti della personalità.

Qui questo non accade, alla fine della lettura io sento di non aver compreso la personalità di Lucio, alla fine sappiamo poche cose personali su di lui, esclusi alcuni ricordi che vengono ammassati l’uno sull’altro, sappiamo poco di lui come individuo ad esempio sappiamo che gli piace il mare, sappiamo che vuole molto bene alla madre e sappiamo che in un modo o nell’altro è riuscito ad imparare il mestiere di colui che lavora e vive in mare.

Trovo che la personalità non sia ben delineata, rimane un personaggio non del tutto chiaro e comprensibile, anche perché questo continuo ammassarsi di ricordi che vengono inseriti nel corso della narrazione e che dovrebbero in teoria aiutare il lettore a capire Lucio, non hanno l’effetto sperato, anzi si ha spesso l’impressione di saltare di palo in frasca, si salta da un ricordo all’altro continuamente, senza avere nemmeno il tempo di capire l’effetto impattante di quel ricordo su Lucio.

Quindi il ritmo complessivo dell’opera risulta piuttosto frenetico e frastagliato, un susseguirsi di immagini legate soprattutto all’infanzia di Lucio in cui non si riesce ad entrare del tutto.

Le atmosfere sono anche qui piuttosto frastagliate, si riesce in alcuni tratti ad entrare in una atmosfera tipica da romanzo che ha come focus Pompei e gli anni precedenti all’eruzione, si vivono alcune esperienze importanti di Lucio e si riesce in brevi istanti ad avvertire quel tipo di sentore tipico del vivere in un momento legato all’infanzia che tornerà anche nei ricordi della vita adulta, quel senso di nostalgia per un qualcosa che sembra irrilevante sul momento, ci sono atmosfere in parte riuscite.

Bella la base, meno il resto

Rimango dell’idea che la trama base del romanzo sia interessante, specialmente se amate appunto le storie ambientate a Pompei o la storia di Pompei, ci sono anche tra l’altro personaggi realmente esistiti dentro il libro ad esempio tra i più famosi Plinio il Vecchio e Rectina, una nobildonna romana, che appaiono nel corso del romanzo varie volte e fanno la conoscenza del nostro protagonista.

Ma anche se le basi sembrano buone l’evoluzione del testo lo è di meno, infatti nonostante sia un libro breve finisce per perdersi molto spesso, c’è un punto di partenza e un punto di fine, ma ci si arriva attraverso anche qui eventi sparpagliati, ammassati l’uno sull’altro, come dicevamo prima tramite una narrazione molto frastagliata che non fa mai entrare del tutto il lettore nella storia, sembra quasi che il testo sia stato tagliato ad un certo punto, quando si va oltre e si riesce ad entrare in una scena o nella mente di un personaggio, l’autrice salta da un un’altra parte.

I personaggi che ruotano attorno a Lucio sono piuttosto deboli, a volte incontriamo personaggi che vengono citati una sola volta e non vengono un granché tratteggiati che tornano dopo una sessantina di pagine e volenti o nolenti si finisce per non ricordare nulla di quel personaggio, proprio perché già alle origini non aveva una sua personalità.

Forse gli unici due personaggi che a mio avviso lasciano un certo tipo di impatto sono la madre di Lucio, di cui comunque non sappiamo molto, e Plinio, che è una specie di guida, maestro e secondo padre quasi per Lucio.

Il problema maggiore in questo romanzo rimane il personaggio principale, anche per quello che abbiamo detto prima sulla base di un buon romanzo di formazione, qui non si arriva mai del tutto a capire la psiche di Lucio che di sicuro è più vasta rispetto a quello a cui riusciamo ad aggrapparci durante la lettura.

Lucio si muove, fa delle scelte importanti, cerca di seguire una specie di direzione, ma non capiamo mai veramente qual è il suo vero obbiettivo o il perché di certi movimenti, c’è da dire anche che Lucio nonostante il ruolo che gli viene assegnato verso la fine del romanzo, come comandante della flotta di Plinio, è ancora un ragazzo molto giovane.

Una critica che ho sentito, smossa a questo romanzo, è quella riguardante la base storica, ovvero il fatto che la Parrella si sia poggiata troppo su eventi/tradizioni/modi di vivere documentati dell’epoca di Pompei per scrivere questo romanzo, che abbia voluto insomma fare sfoggio delle sue conoscenze sul tema.

A dire il vero l’aspetto riguardante la vera storia di Pompei credo sia uno di quelli più gradevoli del romanzo, assieme a certe atmosfere, in più credo siano ben inserite queste informazioni, non piovono mai dal cielo in scene poco coerenti con queste, se vengono inserite è perché sono legate a ciò che sta accadendo.

Conclusioni

Tirando le somme, questo è un romanzo con vari problemi, parecchi direi, dal protagonista, ai personaggi che gli ruotano attorno, dalla debolezza della trama, dalla vera natura del romanzo di formazione che a mio vedere qui non viene rispettata nel migliore dei modi perché risulta troppo debole, allo stile dell’autrice che a tratti sembra voler a tutti i costi esaltare queste frasi impostate e d’effetto.

Ci sono anche punti più positivi ad esempio le atmosfere, la base di partenza della trama, gli scorci della vita a Pompei e le citazioni a fatti e personaggi realmente esistiti.

Insomma, è un romanzo che ho voluto leggere da fan di Pompei, ma che alla fine mi ha lasciata con l’amaro in bocca anche perché con uno sviluppo maggiore e migliore avrebbe potuto essere un romanzo decisamente più gradevole e interessante, per far rivivere anche la meraviglia di Pompei e la storia di un giovane figlio di Pompei.

Se dovessi rileggerlo non lo farei, ma sono felice di essermi tolta la curiosità, senza dubbio.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Valeria Parrella? Siete appassionat* della storia di Pompei? Fatemi sapere!

A presto!

I Miei Luoghi Oscuri – James Ellroy

Buon venerdì e buon quasi weekend!

Oggi siamo qui con una recensione che in un certo senso aleggiava nell’aria dall’ultimo articolo uscito, quello sui libri perfetti per l’autunno (che trovate qui), perché abbiamo parlato del libro di oggi in quell’articolo, ma questo è un testo che necessita di una recensione singola a lui completamente dedicata.

Mi è già scappato qualche dettaglio sul libro di cui parleremo oggi, ma vi assicuro che c’è ancora tanto da dire, quindi direi di iniziare subito!

I Miei Luoghi Oscuri – James Ellroy

Casa editrice: Bompiani

Pagine: 488

Genere: true crime, autobiografico, biografico, narrativa contemporanea

Prezzo di Copertina: € 14,00

Prezzo ebook: € 6,99

P. Pubblicazione: 1996

Link all’acquisto: QUI

Incipit

La trovarono dei ragazzini. Militavano nella Babe Ruth League e stavano andando al campo per fare quattro tiri. Dietro di loro camminavano tre allenatori, adulti. Gli adulti notarono alcune perle sparse sull’asfalto. I ragazzini videro una sagoma nella striscia di vegetazione poco oltre il cordolo. Un piccolo fremito telepatico serpeggiò nel gruppo. Clyde Warner e Dick Ginnold richiamarono indietro i ragazzini – per impedir loro di vedere da vicino. Kendall Nungesser adocchiò una cabina telefonica sull’altro lato della Tyler, accanto al chiosco dei gelati, e vi si diresse di corsa.

Trama

La madre di James Ellroy venne assassinata in una tragica notte a El Monte quando lo scrittore aveva appena dieci anni. La trovarono dei ragazzini, riversa sulla schiena. Il coroner stabilì che era morta per asfissia dovuta a strangolamento mediante lacci. La polizia non scoprì mai chi fosse l’autore di quel brutale omicidio. Trentasei anni dopo Ellroy riapre l’indagine. Presa visione del fascicolo della polizia relativo a quel caso insoluto, lui stesso diventa investigatore per scoprire l’assassino. Con le fotografie del cadavere della madre davanti agli occhi fa della sua autobiografia un romanzo di una forza sorprendente. Costruire storie, prima immaginarie, poi autobiografiche ha permesso a questo grande scrittore di sopportare una realtà cruda e impietosa, di riscrivere le regole del noir, di salvare la figura di sua madre e se stesso dai successi più oscuri della propria coscienza.

Recensione

Questo testo tratta dell’omicidio della madre di James Ellroy, avvenuto quando lui aveva dieci anni a El Monte, una città della contea di Los Angeles. Jean, questo il nome della madre, venne ritrovata da dei ragazzini, riversa sulla schiena, uccisa per strangolamento.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Lo stile di Ellroy è soggetto a varie trasformazioni e modifiche nel corso del testo, infatti nella prima parte l’autore mantiene uno stile quasi da telecronista, descrive ciò che avvenne quella notte, quella fatidica del ritrovamento della madre, e ciò che avvenne anche nei giorni e nelle settimane successive, in generale come fu condotta l’indagine e quale strada scelsero di percorrere le forze dell’ordine.

In questa prima parte Ellroy descrive tutto in modo distaccato, come se andasse in ordine cronologico seguendo una specie di lista, quindi ha una penna e uno sguardo decisamente oggettivo e distante.

Nella seconda parte intitolata “Il Bambino nella Foto”, Ellroy parla di se stesso, qui lo stile cambia e diventa più personale e soggettivo. Parla della sua infanzia, del rapporto con il padre, degli eventi personali che seguirono quella tragica notte, in generale come si svolse la sua vita e come si sviluppò la sua infanzia e adolescenza dopo la morte della madre.

E’ la parte più autobiografica senza dubbio e quella che ci permette di vedere il processo di crescita di Ellroy e ci mostra anche come lui cercò, in un suo modo maldestro e scostante, di venire a patti con il trauma della morte della madre, che non affrontò mai veramente in quegli anni.

Nella terza parte invece conosciamo un personaggio che apparirà spesso nella quarta e ultima parte del libro, Bill Stoner, un sergente della sezione omicidi del dipartimento dello sceriffo. In questa parte conosciamo quest’uomo, la sua vita sia professionale che personale e apprenderemo informazioni varie su alcuni casi di cronaca nera su cui lavorò ai tempi Stoner, alcuni di questi lo tormentarono per anni.

Infine nella quarta e ultima parte del libro indaghiamo la vita di Jean o Geneva Hilliker, la madre appunto di Ellroy, conosceremo la sua infanzia e adolescenza in base anche a ciò che apprese nel corso degli anni l’autore e a ciò che gli permise di conoscere davvero sua madre per una bambina, ragazza e donna con una propria personalità e vita, prima di diventare la madre che lui ricordava in modo distante e sconnesso.

Il ritmo del testo non è costante, segue alti e bassi, anche il focus del libro cambia spesso, infatti in questo testo non si parla “solo” di Ellroy, dell’omicidio della madre e di alcuni personaggi e fatti che gravitano attorno a tutto questo, ma seguiamo anche molti altri casi di cronaca nera che vengono menzionati da Ellroy, ad esempio il caso della “Dalia Nera” che formò profondamente l’autore e lo avvicinò per sempre a questo mondo, o ad esempio anche il caso di O.J. Simpson, e in generale molti altri casi famosi e non.

Quindi ci sono queste lunghe divagazioni su altri casi di cronaca, fatti personali di Ellroy che hanno in un qualche modo contribuito al suo processo di crescita, rivelazioni e scoperte sui propri genitori, ideali che si spezzano, convinzioni che vengono modificate, insomma in questo testo accade tutto ciò che può accadere nella vita di un essere umano in cui ci sono momenti dove accadono fatti che sembrano spostare la nostra visuale su altro, per poi tornare alla base ed essere di nuovo distratti/e da altri eventi.

Ellroy è un pilastro del noir americano, quindi le atmosfere anche di questo testo, nonostante non sia uno dei suoi famosi romanzi ma più un testo autobiografico seguono qualche criterio tipico del noir, si intravede insomma il tratto distintivo della sua penna.

Quindi abbiamo atmosfere per la maggior parte cupe, ci ritroviamo ad affrontare il lato oscuro della società.

Sei pronta alla fuga. Hai dalla tua sia il tempo sia il temperamento. Il tempo aiuta i fuggiaschi. Le loro tracce scompaiono; non si riesce a capire dove si siano nascosti prima di svanire. Tu non vuoi che io sappia. La tua vita segreta era concepita per chiudere fuori determinati uomini. Fuggivi da uomini e verso uomini, e ti sei ridotta al nulla. Possedevi l’astuzia del fuggiasco e indossavi gli abiti del fuggiasco. La tua passione per la fuga ti ha uccisa. Non puoi fuggire da me. Troppo a lungo io sono fuggito da te. Ecco che pretendo un confronto di fuggiaschi. Ora tocca a noi.

La Vita Vera

Quando penso a questo libro e alla mia personale esperienza nella lettura di questo avverto immediatamente il peso di ciò che è contenuto in questo testo, perché qui c’è la vita vera di vari esseri umani certo, ma in particolare di quella dell’autore, James Ellroy.

Non saprei come descrivere al meglio quest’opera se non dicendo che leggendola si sentono gli anni di vita, i luoghi visitati da Ellroy e che lo hanno formato come individuo, quelle scoperte che si possono fare solo da adulti perché da bambini tendiamo a vedere in modo decisamente idealizzato i nostri genitori, ma visitiamo anche il lato malfamato e senza freni della società, vediamo per quanto poco si può arrivare ad uccidere qualcuno, ci rendiamo conto di quanto poco basta per cambiare la vita di una persona per sempre.

Tramite fatti di cronaca e pezzi di vita personale l’autore riesce in quasi 500 pagine a dare vita ad un libro-vita che va fino in fondo al rapporto anche tra Ellroy e la madre, una figura con cui lui intratteneva un rapporto di amore e odio, influenzato di certo dai discorsi tossici del padre che mirava solo ad ottenere l’affidamento e distruggere la ex moglie.

Il trauma subito dalla morte della madre e la consapevolezza di questo è arrivata con gli anni, l’autore si è reso conto ad un certo punto della sua esistenza di avere un trauma irrisolto che si è manifestato senza dubbio in varie forme sempre piuttosto negative.

E’ interessante notare come all’inizio del libro e nella seconda parte, quella riguardante personalmente l’autore, Ellroy abbia una immagine quasi astratta e lontana della madre, la vede come una donna a tratti rigida che viene però raccontata sempre in forme diverse dagli amici e dai conoscenti, forme che a volte non coincidono con i suoi ricordi.

Nell’ultima parte invece l’autore scava a fondo nella vita della madre e scopre i suoi segreti e finalmente riesce a vederla come una persona a sé, distaccandola dalle eccessive idealizzazioni, dai ricordi d’infanzia, dal suo omicidio e dalle foto che lui stesso ha dovuto revisionare del corpo di lei.

E qui torna il discorso di prima, ovvero che quando siamo bambini tendiamo ad idealizzare i nostri genitori che diventano quasi eroi o anti-eroi ai nostri occhi e finiamo per vederli solo come figure legate a noi per come le abbiamo sempre conosciute, senza pensare che prima di essere nostri genitori erano uomini o donne con un passato, un infanzia, un’adolescenza, un pre-genitorialità.

In questo libro Ellroy pensando ai genitori e a sé stesso riconosce colpe e ammette errori, ad esempio riconosce una parte di verità in ciò che gli diceva sempre la madre nei confronti del padre, verità che lui non voleva vedere dai suoi occhi di bambino da cui la figura del padre brillava come un diamante.

Parlando un poco del lato true crime del libro, come scritto prima si citano fatti di cronaca nera e ci si sofferma parecchio su alcuni di questi, a tratti Ellroy ha una narrazione frenetica, si citano nomi, luoghi, eventi, collegamenti e può risultare complesso riuscire a seguire la vicenda.

Per alcuni casi Ellroy fa emergere in parte la sua opinione a riguardo, non lo fa in modo diretto, ma alcune vicende terribili e crudeli le condanna con un occhio rigido e critico. Ad esempio nella quarta parte ci si focalizza su un caso poco conosciuto, quello che coinvolge un padre e un figlio (Robbie e Daddy Beckett, nomigliolo utilizzato da Ellroy) che si sono macchiati di vari crimini tra cui anche lo stupro e l’omicidio di una ragazza di nome Tracy Stewart. Per anni questi sono sfuggiti alla giustizia in un modo o nell’altro e nella parte finale del libro vediamo come si conclude il processo e come si chiude dopo anni e anni questo caso in cui i due si sono salvati e incolpati a vicenda innumerevoli volte.

Ellroy non si lascia andare nel corso dell’intera opera a manifestazioni intime o pareri troppo personali in modo diretto come dicevamo, capiamo fra le righe la sua opinione e il suo livello di comprensione nei confronti di vari episodi, personali e non, soprattutto nel dialogo immaginario che ha con la madre si lascia andare a brevi tratti a frasi intime, ma in generale rimane sempre alzata questa facciata piuttosto neutra o rigida, racconta fatti terribili cercando di non sprofondarci dentro a livello empatico.

Ma per il caso Stewart ho notato un maggiore coinvolgimento, a differenza di altri casi citati secondo me l’autore si è focalizzato maggiormente su questo anche per il livello intrinseco di crudeltà e assoluto annullamento di empatia e rispetto nei confronti della vita altrui, del totale narcisismo e della più completa noncuranza nei confronti delle persone vittime di questi individui.

E’ di certo uno dei casi più complessi da affrontare in questo libro.

Conclusioni

“I miei luoghi oscuri” è un libro autobiografico decisamente duro e doloroso a tratti da affrontare, un libro che ci mostra gli aspetti più traumatici, violenti e crudeli che si possono incontrare quando ci si muove nel mondo della cronaca nera e si cercano di analizzare alcune vicende.

Ma è anche un libro che ci mostra pagina dopo pagina un percorso lungo e faticoso compiuto da un figlio per riconoscere davvero la propria madre venuta a mancare per un omicidio violento senza ancora un colpevole.

E infine è anche un testo che ci mette davanti all’aspetto più duro e complesso della vita, l’affrontare traumi, dipendenze, luoghi oscuri appunto che si è costretti in un modo o nell’altro a visitare, è un libro a livello di contenuto immenso che dona il profondo senso di aver compiuto un viaggio lungo e tumultuoso alla fine, come se anche il lettore avesse immerso il corpo in quei luoghi oscuri. Meraviglioso.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Ellroy? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Città di Spettri – Victoria E. Schwab

Buon venerdì e buon quasi weekend!

Dunque, per la prima recensione di ottobre ho deciso di parlarvi di “Città di Spettri” di Victoria Schwab, un libro che ho recentemente concluso, perché vorrei (almeno questa è una idea e una specie di obbiettivo, vedremo se riuscirò a rispettarlo) indirizzare le recensioni di questo mese verso generi adatti al vibe del periodo, quindi thriller, mystery, noir e affini.

Ho già in mente qualche titolo adatto e di certo più avanti nel mese uscirà anche un articolo/lista di libri appartenenti al vibe di stavamo parlando sopra.

Ad alcuni testi di cui vi parlerò in questo articolo però vorrei dedicare anche una recensione singola a parte, come appunto “Citta di Spettri”.

Friggevo dalla voglia di leggere questo testo dai tempi dell’uscita e finalmente posso dire di averlo fatto, leggo raramente romanzi per ragazzi, ma questo per il modo in cui mi era stato descritto mi attraeva parecchio.

Direi di iniziare!

Città di Spettri – Victoria Schwab

Casa editrice: Mondadori

Pagine: 318

Genere: fantasy, urban fantasy, paranormale, gotico, ghost-story, young adult

Prezzo di Copertina: € 15,00

Prezzo ebook: € 8,99

P. Pubblicazione (ITA): 2021

Link all’acquisto: QUI

Incipit

La gente pensa che i fantasmi escano solo di notte, oppure a Halloween, quando sul mondo cala il buio e i muri si assottigliano. Ma la verità è che sono dappertutto. Tra gli scaffali del pane del supermercato, nel bel mezzo del giardino della nonna, seduti in prima fila sul tuo stesso autobus. Solo perché non riesci a vederli, non significa che non ci siano.

Trama

Da quando Cass è quasi annegata (sì, va bene, è veramente annegata, ma non le piace ripensarci), è in grado di attraversare il Velo che separa i vivi dai morti… e accedere al mondo degli spiriti. Persino il suo migliore amico è un fantasma. Insomma, la faccenda è già piuttosto strana. Ma sta per farsi ancora più strana. Quando i suoi genitori vengono ingaggiati per girare un programma televisivo dedicato alle città infestate, tutta la famiglia si trasferisce a Edimburgo, in Scozia. Dove cimiteri, castelli e vicoli sotterranei pullulano di fantasmi irrequieti. E quando Cass incontra un’altra ragazza che condivide il suo stesso “dono”, si accorge di avere ancora molto da imparare sul Velo, e su se stessa. Da Victoria Schwab, un racconto spaventoso ed elettrizzante, pieno d’azione, che parla di infestazioni, passato, mistero, e del legame tra i veri amici (anche se quell’amico è un fantasma…).

Recensione

Città di Spettri” è il primo volume di una trilogia, seguito da “Tunnel di Ossa” e “Ponte di Anime“, definita la trilogia di Cassidy Blake, protagonista dei volumi.

È nota per il suo romanzo Vicious pubblicato nel 2013, la serie Shades of Magic, lo standalone La vita invisibile di Addie LaRue e i suoi libri di narrativa per bambini e young adult.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Lo stile è scorrevole, è un libro che senza dubbio si legge molto velocemente, un po’ per l’impaginazione, un po’ per il formato pocket è un po’ proprio per lo stile dell’autrice che è uno stile tipico anche da romanzo per ragazzi, quindi ad esempio le descrizioni sono ridotte all’osso, il ritmo è piuttosto scattante, le vicende si susseguono una dopo l’altra e abbiamo appunto a che fare con la nostra Cassidy che ha 12 anni, quindi ci ritroviamo ad affrontare alcune prime esperienze con lei e a vivere situazioni tipiche di quell’età con lei.

Il ritmo come dicevamo è piuttosto veloce, la protagonista si butta da un luogo all’altro, da un ragionamento all’altro, da una situazione all’altra.

Infine parlando della scrittura di questo volume direi che le atmosfere sono a tratti effettivamente gotiche e virano verso un qualcosa di grottesco e cupo, ma non direi che queste atmosfere sono persistenti all’interno del romanzo, ci ritroviamo a volte in luoghi oscuri e tetri perché Cassidy si trova ad Edimburgo con i genitori proprio per visitare luoghi simili per la caccia ai fantasmi/lavoro televisivo dei suoi, ma ci sono anche parecchi momenti in cui le atmosfere sono rilassate e non si avverte quel senso di macabra oscurità, direi che il lato più gotico spunta nel finale.

Di certo appartiene alla fetta di romanzi per ragazzi che virano sulle atmosfere macabre, ma non è quel macabro opprimente direi che è ben misurato.

Una lettura piacevole

Se dovessi descrivere brevemente questo libro direi che è un testo piacevole da leggere per chi ha voglia di una storia leggera e a brevi tratti cupa, adatta al periodo.

Niente di più, niente di meno, è un testo che su di me non ha lasciato un grande segno, non mi sono affezionata più di tanto ai personaggi, anzi credo rimangano abbastanza superficiali, si cerca di far emergere qualcosa della loro personalità, ma secondo me leggendo solo questo primo volume non si riesce del tutto ad entrare in sintonia con loro.

Il world building è semplice, la storia di base non ha tratti particolarmente originali, parliamo di una ragazzina che riesce appunto a vedere i fantasmi entrando in questo Velo che lei descrive come se fosse una specie di tenda che può tirare e passare dall’altra parte e il mondo reale sembra prendere le sembianze del passato, più precisamente del ricordo, una specie di bolla del tempo, del fantasma in questione e di come era quel luogo ai tempi.

Cassidy ha un migliore amico che la segue sempre, anzi quasi sempre, che si chiama Jacob ed è un fantasma, legato a lei da un evento traumatico che viene accennato, ci viene raccontata l’essenza di questo evento traumatico, ma non si scende troppo nei dettagli.

In questo primo volume ci sono vari punti che ovviamente, proprio per il fatto di essere un primo volume, non vengono chiariti, sappiamo ancora poco del dono di Cassidy, di come funziona il Velo, della reale natura/intenzioni di Jacob e in generale direi anche del reale legame tra i personaggi, che capiamo sì, ma sembra essere solo accennato.

Direi che questo primo capitolo serve più che altro a presentare i personaggi e a farci entrare nel mondo di Cassidy che si ritrova all’improvviso con un dono immenso che non sa come utilizzare, anche se ad un certo punto della storia arriverà una ragazzina molto simile a Cassidy, con il suo stesso dono, che la aiuterà a comprendere meglio il Velo.

Ho trovato interessante l’idea del Velo che ovviamente torna in tutto il volume, di solito nelle ghost stories troviamo i classici fantasmi che creano scompiglio nel mondo reale con le loro apparizioni, il loro spostare oggetti senza chiedere, il loro continuo rumoreggiare anche a notte fonda, qui invece Cassidy riesce ad avvertire le presenze, ma prima di entrare effettivamente in contatto con loro sembra dover attraversare questo Velo.

E’ una specie di sottosopra al passato.

Conclusioni

Tirando le somme direi che questa è stata una lettura molto scorrevole e senza impegno, i personaggi sono stereotipati e poco approfonditi, l’idea base come dicevo non è così originale, se non per alcuni aspetti e in toto è un testo nella media, ma è comunque una lettura che rientra a pieno titolo in quelle adatte al vibe autunnale e se volete una ghost story con una protagonista simpatica con un migliore amico fantasma, perché non scegliere “Città di Spettri”?

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di questa autrice? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Dracula – Bram Stoker

Buon venerdì e buon quasi weekend!

Come andiamo in questo ultimo giorno di settembre? Ebbene sì, l’atteso settembre è già volato!

Per entrare già nel mood tipico di ottobre oggi parliamo di un classico del genere horror/gotico, ovvero il famosissimo e iconico Dracula di Bram Stoker, libro che sono felice di poter finalmente depennare dalla lista di classici da recuperare.

Sarà arduo parlare di un testo così popolare e amato, un testo già iper-analizzato e commentato, ma ci proverò, parlando un pochino della mia esperienza di lettura, iniziamo!

Dracula – Bram Stoker

Casa editrice: Mondadori

Pagine: 569

Genere: horror, gotico, romanzo epistolare

Prezzo di Copertina: € 10,50

Prezzo ebook: € 0,99

P. Pubblicazione: 1897

Link all’acquisto: QUI

Incipit

DIARIO DI JONATHAN HARKER
(stenografato)

3 maggio, Bistrita.

Lasciata Monaco alle 20.35 del l maggio, giunto a Vienna il mattino dopo presto; saremmo dovuti arrivare alle 6.46, ma il treno aveva un’ora di ritardo. Stando al poco che ho potuto vederne dal treno e percorrendone brevemente le strade, Budapest mi sembra una bellissima città. Non ho osato allontanarmi troppo dalla stazione, poiché, giunti in ritardo, saremmo però ripartiti quanto più possibile in orario. Ne ho ricavato l’impressione che, abbandonato l’Occidente, stessimo entrando nell’Oriente, e infatti anche il più occidentale degli splendidi ponti sul Danubio, che qui è maestosamente ampio e profondo, ci richiamava alle tradizioni della dominazione turca.

Trama

Mi stava vicino, lo vedevo da sopra la spalla, ma nello specchio non si rifletteva! In Transilvania per concludere la vendita di una casa londinese al Conte Dracula, discendente di un’antichissima casata locale, il giovane agente immobiliare Jonathan Harker scopre che il suo cliente è una creatura di mistero e orrore… Dracula, archetipo delle infinite storie di vampiri narrate dalla letteratura e dal cinema, mette in scena l’eterna lotta tra il Bene e il Male, ma anche tra la ragione e l’istinto, tra le pulsioni più inconfessabili e il perbenismo non solo vittoriano. Una storia scaturita dall’inconscio ed entrata in tutti i nostri incubi.

Recensione

Dracula è ispirato alla figura di Vlad III, principe di Valacchia, un nobile e dittatore rumeno, voivoda di Valacchia e membro della Casa dei Drăculești, un ramo collaterale della Casa di Basarab.

Stoker compie un’approfondita ricerca storica e folcloristica per creare un personaggio che doveva incarnare tutti gli stereotipi negativi dello “straniero”, stravolge l’origine etnica del Dracula valacco e ne fa un esponente di quel “Nordicum” barbarico, dominato da popolazioni, celtiche, turche, unne, ugro-finniche, iraniche, germaniche e slave, che tanto aveva impaurito nei secoli i popoli dell’Europa mediterranea.

La storia, nasce da un incubo che Stoker ebbe dopo una scorpacciata di gamberi fatta in compagnia dello storico e amico ungherese Ármin Vámbéry, che lo guidò e lo aiutò durante la stesura.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Dunque, lo stile di Stoker mi ha buttata nelle tipiche atmosfere da romanzo classico gotico, l’autore si prende i suoi tempi dal punto di vista della narrazione, è un romanzo che a tratti rallenta, credo che dal punto di vista dell’entrare nella vicenda la parte più ostica sia la seconda, infatti dopo aver conosciuto Jonathan Harker e aver letto dei suoi drammi nel castello di Dracula, veniamo gettati a Londra e spinti a fare la conoscenza di una pletora di altri personaggi tra cui ovviamente Mina, fidanzata di Jonathan che lui cita spesso nella prima parte.

La prima parte è quella senza dubbio più trascinante, che favorisce l’avanzamento nella lettura perché le atmosfere in cui ci ritroviamo, il mistero dietro alla figura del Conte, le disavventure del povero Jonathan, il luogo oscuro e intrigante che troviamo non possono non richiamare subito l’attenzione del lettore.

Come dicevamo il ritmo a tratti rallenta specialmente quando ci sono scene in cui accadono fatti misteriosi o in cui i personaggi si interrogano su eventi inspiegabili, ci perdiamo nelle loro riflessioni quando tentano di mettere assieme i pezzi di un puzzle in cui forze non umane sono in gioco.

E’ un romanzo tipicamente gotico, ritroviamo ambienti cupi, castelli isolati e diroccati in cui tutto sembra minaccioso, luoghi che conservano sempre un lato tenebroso molto spiccato, ci si immagina sempre questa oscurità o semi-oscurità che pervade la maggior parte delle scene.

“A noi nobili della Transilvania non piace pensare che le nostre ossa riposino fra quelle dei comuni mortali. Non cerco allegrezza né letizia, né la luminosa voluttà del sole o delle acque chiare che tanto piacciono ai giovani e agli spensierati. Non sono più giovane, e il mio cuore dopo gravosi anni di lutto per i miei morti non è incline all’allegria. Inoltre, le mura del mio castello sono diroccate; molto sono le ombre e il vento soffia freddo fra le merlature e i battenti. Amo la semi-oscurità e le ombre e restare solo con i miei pensieri quando è possibile.”

Van Helsing vs Vlad Dracula

Prima di leggere il libro nel corso degli anni mi è capitato di parlare con lettori di Dracula o di leggere recensioni sul testo in cui varie persone non hanno apprezzato il linguaggio di Van Helsing, dato che i dialoghi di Helsing sono parecchi nel romanzo hanno trovato questo suo stile nella parlata da straniero (infatti è un olandese che sbarca in Inghilterra) ostico da seguire dopo un tot di pagine, infatti Stoker caratterizza il personaggio di Helsing con una parlata sghemba priva molte volte di articoli, che può diventare complessa da seguire.

A me non ha dato particolarmente fastidio la parlata di Van Helsing, a tratti ho ascoltato il testo anche in audiolibro (qui) e forse questo mi ha aiutata ad avere impressa nella mente la voce del professor Van Helsing e ad avere confidenza con il suo modo di esprimersi.

Ho amato follemente il personaggio di Van Helsing, che tirando le somme è diventato il mio personaggio preferito dell’intera vicenda, è l’antagonista appunto del Conte e gioca con lui un’abile partita.

Parlando di Dracula, l’immenso Dracula, da cui prende il nome il romanzo, la presenza che terrorizza tutti gli altri personaggi, l’essere che fa precipitare la vita di molti nel caos e nella disperazione, mi sono stupita nel notare che il Conte appare fisicamente e comunica con gli altri raramente nel corso del romanzo.

Lo vediamo all’inizio con Jonathan ed è lì che lo conosciamo maggiormente perché si lascia andare anche a lunghi dialoghi in cui emerge la sua visione del mondo, il suo livello di cultura, le sue origini, ma emerge anche il lato inquietante e preoccupante per Jonathan legato a lui e al castello in cui si trova ospite.

Lo rivediamo poi in brevi sprazzi in cui sappiamo che la presenza misteriosa è lui, ma non ha un vero dialogo con gli altri personaggi se non verso la fine del romanzo, quindi è quel tipico personaggio sempre presente anche se non è effettivamente presente.

L’attenzione degli altri è comunque sempre su di lui e anche per il lettore il pensiero vola sempre al Conte, anche quando ci sono altri personaggi “in scena”.

Devo dire anche che prima della lettura sapevo dei riferimenti alla figura di Vlad III, sapevo che Stoker si era ispirato a lui, ma non mi aspettavo riferimenti espliciti all’interno del romanzo, mentre in realtà ci sono momenti in cui si accenna alla storia reale di Vlad III, certo, l’excursus non dura molto, ma non mi aspettavo comunque i diretti riferimenti storici.

Comunque a parte Van Helsing e il Conte Dracula, troviamo appunto anche Jonathan Harker, colui che incontra per primo il Conte nel suo inquietante castello in Romania, Mina Murray futura Harker, fidanzata di Jonathan che lo attende in Inghilterra, Lucy Westenra amica fidata di Mina che si trova a dover scegliere fra tre gagliardi pretendenti, il dottor Seward, il texano Morris e Arthur Holmwood con cui si fidanzerà.

Ci sono anche altri personaggi che faranno la loro comparsa all’interno del testo, ma i principali sono senza dubbio quelli nominati sopra e devo dire che ognuno di questi si rivela interessante e ben caratterizzato, infatti uno degli aspetti che ho più apprezzato di questo testo è anche l’intimità che si riesce a raggiungere con i personaggi perché li incontriamo tutti in momenti molto delicati, attimi di estrema preoccupazione per il proprio destino e quello altrui, quindi si aprono a confessioni e drammi, andiamo negli abissi delle loro ansie tramite i loro diari/telegrammi/note.

Io non sono una fan dei romanzi epistolari e questo fatto mi ha anche tenuta lontana da Dracula per un buon tot di anni, ma vi posso dire che in questo caso ho apprezzato questa caratteristica perché funziona benissimo all’interno del volume e l’autore in primis è in grado di far scorrere bene la comunicazione fra i personaggi.

Devo ammettere di aver adorato anche il personaggio di Mina, quello di una donna forte, temeraria e intelligente, che ama profondamente il suo Jonathan e cerca in ogni modo di sostenerlo e proteggerlo, è una donna su cui grava un enorme peso ad un certo punto del testo, ma lei riesce sempre comunque ad andare avanti con determinazione.

Bambina mia, la vostra franchezza e il vostro coraggio hanno fatto di me un amico, perché un amico è più raro di un innamorato, e comunque meno egoista.

Dracula è un classico che ci si gusta, specialmente in una stagione come quella attuale, al massimo buttandosi in una storia di sangue, amori, personaggi che si ritrovano a combattere un male arrivato da lontano, morte, vita dopo la morte, vampiri e inseguimenti.

Gli unici aspetti che mi hanno convinta un poco di meno rispetto al resto della vicenda sono appunto il fatto di aver faticato leggermente nella parte centrale e il finale, che ho avvertito come precipitoso e un poco velocizzato rispetto al tono generale della vicenda.

Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa in più sulle donne che Jonathan incontra al castello di Dracula, le spose di Dracula, figure tra l’altro diventate iconiche, perché sono state riprese anche in altri romanzi, vari autori si sono ispirati a queste figure, però nel romanzo di Stoker non viene detto molto su di loro.

Conclusioni

Si tende di solito a bollare Dracula come un libro sui vampiri dai tratti gotici e basta, ed è vero, è un classico gotico con i vampiri, ma è anche molto di più, è la storia di personaggi mitici e coraggiosi che combattono contro una forza oscura ed è anche la storia di questa forza antica e oscura (senza dubbio non priva di fascino) che sbarca in Inghilterra lasciando il suo castello e la sua terra per gettare lo scompiglio e non solo.

Stoker ha avuto la grande maestria di scrivere scene molto potenti, difficili da cancellare o dimenticare, sono tante le scene iconiche di questo testo, tante quelle entrante nell’immaginario collettivo, scene pregne di un’atmosfera gotica pura, ad esempio la maggior parte delle scene della prima parte con Jonathan intrappolato in questo castello, ma anche le scene finali di un inseguimento al cardiopalma, o ancora la famosa scena di Dracula e Lucy o Dracula e Mina, non entro troppo nei particolari per evitare di fare spoiler perché anche se è un classico magari alcun* di voi non l’hanno ancora letto, come la me di qualche mese fa, quindi anche se è immensamente famoso anche rivelazioni possono essere in un certo modo ancora spoiler.

Comunque, c’è tutto in questo libro, dal sangue all’amore alla morte e ovviamente ai vampiri come dicevamo, c’è un motivo per cui è un classico amatissimo e citatissimo, eccome!

Voto:

E voi? Avete mai letto “Dracula”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

Le Ricette della Signora Tokue – Durian Sukegawa

Buon venerdì, buon quasi weekend e ben ritrovat*!

Oggi partiamo a bomba, subito, così, d’emblée, siamo qui con una nuova recensione, finalmente parliamo di questo testo che è stato il libro di qualche mese fa sul gruppo di lettura tra l’altro, ovvero “Le Ricette della Signora Tokue” di Durian Sukegawa.

Un testo da cui è stato anche tratto un film nel 2015, e un testo che ha ricevuto anche un buon successo, che dire, parliamone!

Le Ricette della Signora Tokue – Durian Sukegawa

Casa editrice: Einaudi

Pagine: 173

Genere: narrativa contemporanea

Prezzo di Copertina: € 12,00

Prezzo ebook: € 7,99

P. Pubblicazione: 2013

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Doraharu vendeva dorayaki. Sentaro passava tutto il giorno alla piastra di cottura. La bottega era al fondo di un vicolo dietro la ferrovia, in una via commerciale chiamata Sakuradori, via dei Ciliegi. Più che i ciliegi piantati qua e là, ciò che saltava maggiormente all’occhio nella via erano le numerose saracinesche abbassate. Ma l’andirivieni pareva aumentare lievemente in quella stagione, forse perché gli alberi in fiore bastavano a richiamare i passanti.

Trama

Sentarō è un uomo di mezza età, ombroso e solitario. Pasticciere senza vocazione, è costretto a lavorare da Doraharu, una piccola bottega di dolciumi nei sobborghi di Tōkyō, per ripagare un debito contratto anni prima con il proprietario. Da mattina a sera Sentarō confeziona dorayaki – dolci tipici giapponesi a base di pandispagna e an, una confettura di fagioli azuki – e li serve a una clientela modesta ma fedele, composta principalmente da studentesse chiassose che si ritrovano lì dopo la scuola. Da loro si discosta Wakana, un’adolescente introversa, vittima di un contesto familiare complicato. Il pasticciere infelice lavora solo il minimo indispensabile: appena può abbassa la saracinesca e affoga i suoi dispiaceri nel sakè, contando i giorni che lo separano dal momento in cui salderà il suo debito e riacquisterà la libertà. Finché all’improvviso tutto cambia: sotto il ciliegio in fiore davanti a Doraharu compare un’anziana signora dai capelli bianchi e dalle mani nodose e deformi. La settantaseienne Tokue si offre come aiuto pasticciera a fronte di una paga ridicola. Inizialmente riluttante, Sentarō si convince ad assumerla dopo aver assaggiato la sua confettura an. Sublime. Niente a che vedere con il preparato industriale che ha sempre utilizzato. Nel giro di poco tempo, le vendite raddoppiano e Doraharu vive la stagione più gloriosa che Sentarō ricordi. Ma qual è la ricetta segreta della signora Tokue? Con amorevole perseveranza, l’anziana signora insegna a Sentarō i lenti e minuziosi passaggi grazie ai quali si compie la magia: «Si tratta di osservare bene l’aspetto degli azuki. Di aprirsi a ciò che hanno da dirci. Significa, per esempio, immaginare i giorni di pioggia e i giorni di sole che hanno vissuto. Ascoltare la storia del loro viaggio, dei venti che li hanno portati fino a noi». Come madeleine proustiane, i dolcetti giapponesi diventano un pretesto per i viaggi interiori di Sentarō e Tokue, fra i quali si instaura un legame profondo che lascia emergere segreti ben più nascosti e ferite insanabili. Con l’autunno, però, un’ombra cala sulla piccola bottega sotto al ciliegio: quando il segreto di Tokue viene alla luce, la clientela del negozio si dirada e la donna, costretta a misurarsi di nuovo con il pregiudizio e l’ostracismo sociale che l’ha perseguitata per tutta la vita, impartirà a Sentarō e Wakana la lezione pù preziosa di tutte. “Le ricette della signora Tokue” è una favola moderna sull’amicizia, la libertà e la resilienza. Un’ode alla vita di palpabile sensualità che ci insegna a trovare la grazia nell’inaspettato e la felicità nelle piccole cose.

Recensione

Io personalmente non ho mai visto il film, ma so che ha delle recensioni tutto sommato positive, lo potete trovare su Prime Video.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Lo stile di Sukegawa è assolutamente scorrevole e godibile, anche il ritmo è costante e a mio vedere ben equilibrato perché l’autore si prende in alcune scene un momento in più per analizzare certi pensieri, dubbi, o piccole paure dei personaggi che a primo acchito possono sembrare irrilevanti, ma invece aiutano il lettore a comprendere la personalità di questi.

E’ un testo piuttosto breve, che si legge tra l’altro velocemente perché Sukegawa ha il dono di riuscire ad attirare il lettore e tenerlo inchiodato alle pagine, diciamo che anche i personaggi sono individui con cui secondo me è facile entrare subito in contatto, empatizzare ed interessarsi sinceramente alle loro vite/vicende.

Pensando all’atmosfera la mia mente torna sempre agli alberi di ciliegio che sono una costante in questo libro e donano ad ogni scena un tocco di delicatezza, tutto il libro è pervaso da un senso di delicatezza direi, anche quando ci sono rivelazioni dolorose o scene amare, c’è sempre questo sentore di gentilezza e eleganza, questo aspetto c’è anche da dire che può essere, a mio modesto parere, ricondotto allo stile di vari autori giapponesi, ma in generale asiatici che hanno il dono di scrivere con uno stile armonico e delicato, creano scene in cui i colori, i profumi, anche il tono di voce dei personaggi sembra sempre raffinato o intimo.

“Perché io credo che qualsiasi siano i nostri sogni, prima o poi troveremo per forza ciò che cerchiamo, grazie alla voce che ci guida. La vita di un essere umano non è mai uniforme: ci sono momenti in cui il colore cambia di colpo. Io mi trovo nella fase finale della mia esistenza. E’ per questo che so certe cose.”

I personaggi sono il punto forte

In questo libro il vero fulcro sono i personaggi, le loro vite, i loro obbiettivi, il modo in cui hanno vissuto e stanno vivendo la loro vita.

Troviamo Sentarō, un uomo che lavora in una bottega che cucina dorayaki, ma lo spirito e la voglia con cui quest’uomo si reca ogni mattina al lavoro e si mette alla piastra è pari a zero, lavora in questo luogo perché deve ripagare un debito alla proprietaria della bottega e nonostante non ami particolarmente i dolci è obbligato a rimanere lì.

Tokue invece è una signora anziana che si offre di lavorare nella bottega di Sentarō in cambio di una paga decisamente modesta e all’inizio l’uomo è titubante, ma dopo poco si convince e assume Tokue che in poco tempo innalza la fama della bottega per la bontà raggiunta da questi nuovi dorayaki preparati da lei, rispetto a quelli precedenti di Sentarō, preparati diciamo non al meglio…

Infine il terzo personaggio più importante della vicenda è questa ragazza di nome Wakana, che instaura un adorabile rapporto con Tokue e successivamente anche con Sentarō.

Penso sia affascinante vedere come questi tre personaggi, all’apparenza lontani e diversi l’uno dall’altro riescano ad instaurare un legame profondo e reale, il modo in cui l’autore riesce a costruire i pezzi del loro rapporto è ottimo e si riesce ad avvertire il sincero affetto che è alla base di questo legame.

Tokue è una donna all’inizio piuttosto misteriosa, è una signora dolce e gentile, severa con Sentarō a tratti, ma si avverte chiaramente un’ombra su di lei, c’è qualcosa che ha paura di rivelare, ma è un qualcosa che alla fine verrà a galla e avrà un impatto sul resto della vicenda.

Questo qualcosa penso che assieme al legame tra i personaggi sia quasi il secondo fulcro della vicenda, perché apre questo vaso di Pandora su un fatto storico realmente accaduto purtroppo, non solo in Giappone, ma anche in altre zone del mondo, però senza dubbio in Giappone ebbe delle gravi conseguenze che perdurarono fino al 1996 per quanto riguarda le persone vittime di questo fatto.

Come noterete ci giro attorno perché non voglio fare spoiler, ma al tempo stesso desidero parlare di questo aspetto del personaggio di Tokue perché non riguarda solo lei e come dicevo è una tematica che non si trova spesso nei libri di narrativa ed è un secondo fulcro del libro.

Questo libro ci porta ad interrogarci anche sui pregiudizi, sul perché è così difficile scrostarsi di dosso un qualcosa che ci è accaduto per cui gli altri ci vedono in un determinato modo, sui diversi modi che hanno le persone di affrontare una disgrazia come quella accaduta a Tokue e sul come si può accettare tutto questo arrivati/e all’età di Tokue.

Tokue e Sentarō sembrano completarsi a vicenda, perché mentre Tokue si sente sola e ha voglia di vivere arrivata alla sua età, Sentarō si sente completamente bloccato nella sua vita e il suo desiderio di agire e rincorrere ciò che desidera si è spento, quindi Tokue alla fine del loro viaggio riesce a lasciare una impronta enorme su Sentarō che si ritrova quasi ripulito e vuoto, come se dovesse iniziare da capo, mentre Tokue, beh è arrivata ad una fase di accettazione e perdono che solo qualcuno con una grande saggezza e un grande trascorso di dolore può raggiungere.

“A quel punto Sentarō si sentì soffocare. Sì, colui che le sussurrava senza sosta: “Avresti fatto meglio a non nascere”… Colui che aveva condotto i giochi… era Dio. “Soffrirai per tutta la vita”, aveva sentenziato. Quando Tokue aveva capito tutto ciò, come aveva percepito la propria esistenza? Che idea si era fatta della vita? Una ragazzina di quattordici anni che piangeva soffocando i singhiozzi. Incapace di avvicinarsi oltre, Sentarō si voltò e tornò indietro sul sentiero nel bosco.”

Conclusioni

E’ complicato parlare di questo libro perché è un testo che “si sente” molto durante la lettura, ma successivamente è complesso riuscire a descriverlo in modo oggettivo, posso solo dire che questa è la storia di una grande amicizia, di due persone che si accompagnano a vicenda in una nuova fase della vita e si insegnano a vicenda qualcosa di importante, ma è anche una storia da cui traspare un grande dolore e un livello di sofferenza e isolamento tali difficili da comprendere per tante persone che possono finire con il limitarsi solo ad escludere a priori senza provare a capire, o immedesimarsi un minimo.

“Le ricette della Signora Tokue” è un libro dolce e amaro, morbido e ruvido, una storia di comprensione e accettazione.

E’ un libro che vi farà piangere? Può essere, io di sicuro le mie lacrime le ho versate.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Le Ricette della Signora Tokue”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Il Segreto di Medusa – Hannah Lynn

Buon venerdì e buon quasi weekend!

Come state? Come procede questo settembre?

Oggi, riprendiamo del tutto dopo le ferie estive con un libro che ha avuto un degno successo appena uscito, diciamo che ha attirato subito l’attenzione, ma di recente non l’ho più visto così tanto in giro, anche se mantiene un livello medio di popolarità anche ora assieme agli altri testi dell’autrice.

Sto parlando de “Il Segreto di Medusa” di Hannah Lynn, libro uscito qualche tempo fa che tratta appunto del mito di Medusa. Io sono affascinata dai retelling di miti vari, ma alla fine quei pochi che per ora ho letto mi hanno sempre lasciata con l’amaro in bocca, mi esalto all’idea di leggerli perché certi miti (come quello di Medusa appunto) mi hanno sempre appassionata molto, ma c’è sempre qualcosa che va storto, quindi il mio hype per i retelling si è assopito negli anni, ma quando ho deciso di leggere questo libro l’ho fatto con convinzione.

Ho detto “cavolo, finalmente un libro che parla di Medusa”, ecco, per questo l’ho voluto leggere, perché sono affezionata al personaggio di Medusa senza sapere un granché dell’autrice o della trama del libro e beh… non dico nulla per ora, ne parleremo man mano nella recensione, ma dico solo che anche in questo caso le mie aspettative sono state prese a schiaffi.

Ma parliamone!

Il Segreto di Medusa – Hannah Lynn

Casa editrice: Newton Compton

Pagine: 244

Genere: narrativa, mitologia

Prezzo di Copertina: € 9,90

Prezzo ebook: € 4,99

P. di Pubblicazione: 2021

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Le tre sagome restarono in piedi sulla soglia, guardando la nube di polvere sollevarsi nell’aria. Il silenzio che le circondava era teso. Era un silenzio appesantito dalla riflessione; da una domanda taciuta di cui tutti conoscevano la risposta, ma che nessuno avrebbe pronunciato ad alta voce per primo. Il verde primaverile era stato soppiantato dal calore estivo. Le ombre alte dei cipressi si allungavano sulla terra asciutta e polverosa e l’odore di frutti troppo maturi addolciva l’aria. Il terreno era punteggiato da bacche avvizzite, un sontuoso banchetto per gli insetti che scorrazzavano sulle rocce e fra il terriccio.

Trama

Radiosa, innocente, la più pura tra le sacerdotesse di Atena. La bellezza di Medusa va ben oltre quella dei semplici mortali. Per questo, quando lo sguardo colmo di lussuria del dio Poseidone cade su di lei, l’unico luogo in cui spera di trovare rifugio è il sacro tempio della protettrice dei greci. Ma nessuno può sfuggire a un dio. E la divina Atena, signora delle arti e della guerra, non avrà pietà per colei che ha profanato la sua casa. Poco importa che Medusa, violata nel corpo e nello spirito contro la propria volontà, implori il suo perdono. Da questo momento il male che le è stato inflitto diventerà la sua corazza e abbraccerà l’oscurità, in esilio, perché chiunque altro le ha voltato le spalle. Si trasformerà nel mostro che gli altri hanno deciso che doveva essere. Nel frattempo, un giovane di nome Perseo si appresta a partire con la missione di uccidere Medusa. La storia dell’eroe Perseo e del mostro Medusa è stata raccontata molte volte. Questa è un’altra storia. In un tempo in cui gli dèi camminano tra i mortali, il confine tra la gloria e l’infamia è estremamente labile. Ma ogni mito ha bisogno di eroi e di mostri.

Recensione

Ci sono varie versioni del mito di Medusa, ma Hannah Lynn prende spunto soprattutto da quelle più classiche e conosciute di Ovidio, Apollodoro, Esiodo, in cui Medusa prima di diventare Gorgone era una donna bellissima, sacerdotessa del tempio di Atena che in seguito, per aver giaciuto o essere stata stuprata da Poseidone decise di trasformarla in un mostro.

Secondo altre versioni Atena è sempre stata contraria a Medusa perché aveva osato competere con lei in bellezza.

Hannah Lynn a mio avviso non aggiunge molto al mito classico, perché il romanzo prosegue esattamente in questo modo, Medusa si reca al tempio di Atena per diventare sacerdotessa perché non vuole essere costretta a sposare da ragazzina un uomo molto più grande di lei e qui un giorno finisce per essere violentata da Poseidone e punita a vita da Atena.

Questa è la prima parte del romanzo, parleremo più avanti del testo in generale, ma questo discorso dell’aver aggiunto poco al mito classico vale per tutto il testo, perché Hannah Lynn appiccica assieme alcuni miti tutti legati però fra loro e li ripropone sotto forma di romanzo.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Lo stile di Hannah Lynn è piacevole, scorre bene nella lettura, la maggior parte del testo è composto da periodi brevi, frasi incisive e molte volte pregne di una certa drammaticità o epicità, considerando anche il fatto che la storia in generale si presta ad un tono drammatico.

L’autrice secondo me ha uno stile tipico da romanzo accattivante, che ti spinge ad andare avanti nelle pagine e riesce a volte a costruire immagini degne di un immaginario da mitologia greca, anche perché quando si ha a che fare con i miti, gli dei e le creature maledette in un tipico immaginario greco risulta complicato non usare uno stile epico, anche qui la storia si presta ad uno stile simile.

Il ritmo è piuttosto scorrevole, ci sono passaggi che a mio avviso meritano un maggiore approfondimento, ma vengono trattati con la loro dose di attenzione e si passa avanti, questo è uno dei tratti per me meno apprezzabili del testo, ovvero il fatto che quando l’autrice arriva a toccare un argomento o un momento importante nella vicenda, che merita di essere trattato, lei prima di andare oltre e approfondire, chiude il discorso e salta ad altro.

Ogni volta che si toccano tematiche interessanti o si inizia a scavare nella psiche di un personaggio, l’autrice taglia, quindi rimane tutto in superficie.

Diciamo anche che nel mito di Medusa ci sono tanti personaggi che meritano di essere analizzati, ovviamente troviamo anche Perseo, Danae madre di Perseo, troviamo le sorelle di Medusa, Steno e Euriale (anche loro gorgoni come Medusa), troviamo alcuni dei, insomma sono tanti i personaggi che si muovono nel mito e in queste pagine scritte da Hannah Lynn.

Capiamo le motivazioni che spingono i personaggi e i loro desideri e obbiettivi, ma secondo me non si arriva mai a sentirli o a vederli davvero, a tratti sembrano una caricatura appunto del mito classico, sembra che l’autrice abbia capito questi personaggi, ma nel ritrarli poi non sia del tutto riuscita a donare loro una personalità completa.

“Gli dèi non scontano mai le loro malefatte, Perseo. I mortali sì. Gli dèi, come i ricchi umani, decidono a viva forza per quelli le cui voci non sono abbastanza forti da difendersi. Le donne. I deboli. I rifiutati. E nessuno grida per coloro che ne avrebbero più bisogno. E perché mai? Alzando la voce per qualcun altro, rischi di perdere tu stesso qualcosa. E nessuno vede oltre il proprio riflesso nello specchio.”

Infine l’atmosfera rimane quella tipica da mito tragico, ci muoviamo attraverso luoghi, tempi, personaggi e situazioni diverse che si ricollegano sempre però al personaggio di Medusa e al suo tragico destino.

Il nocciolo di Medusa e la chance persa

Trovo che questo sia un romanzo godibile se viene preso con le giuste precauzioni e se non si considera il fatto che tutta la gigante quantità di tematiche presenti nel mito e nel personaggio di Medusa non vengono quasi per nulla approfondite.

Se lo consideriamo un romanzo ispirato al mito, senza pretese, che semplicemente vuole raccontare il mito in forma romanzata e fermarsi lì, risulta appunto godibile, se ci si ferma qui.

Ma se consideriamo l’enorme vaso di Pandora che è il mito di Medusa e il personaggio di Medusa con la moltitudine di sfaccettature e tematiche, non si può che rimanere in parte delusə da questo retelling, che a mio vedere non so nemmeno se considerare a pieno un retelling perché questo dovrebbe essere una rivisitazione del mito mantenendo comunque caratteristiche/personaggi comuni alla versione classica, mentre qui l’autrice prende vari miti, li unisce assieme, aggiungendo magari dialoghi o scene sistemate appositamente per incollare assieme frammenti di un mito, ma non cambia o aggiunge molto alla versione classica.

Il personaggio di Medusa è pieno di significato e con essa il suo mito, dalla creazione del mostro all’assassinio da parte di Perseo, le versioni appunto sono molteplici, ma quella più accreditata è quella utilizzata anche da Hannah Lynn in questo romanzo, e troviamo tematiche come la violenza fisica/sessuale e psicologica, la trasformazione da essere innocente e buono a mostro, l’essere ripudiatə dai propri cari, dalla propria fede, la distruzione di sé stessi in seguito ad un evento che è accaduto contro la propria volontà, l’essere condannati a vivere come un mostro, l’ingiustizia, la bellezza che diventa mostruosità, ma anche da parte di Perseo la vittoria di una personale battaglia contro il mostro, contro la paura e contro sé stessi.

In questo romanzo ad esempio non viene mai data una motivazione al gesto di Atena che trasforma Medusa in un mostro, la ragione che fornisce la dea riguarda la fornicazione all’interno del tempio, ma questa non si ferma ad ascoltare Medusa che cerca in tutti i modi di spiegare quello che è accaduto. Questo riguarda anche il mito classico quando si parla del momento in cui la dea fa la sua scelta, a volte viene affermato che questa era in lotta con Medusa per il fattore bellezza, altre che Atena ha sempre odiato Medusa, sta di fatto che dalla dea della saggezza ci si aspetterebbe qualcosa in più, ma dobbiamo anche pensare che quello che è accaduto a Medusa è servito per arrivare alla lotta con Perseo e a tutto quello che l’assassinio del mostro simboleggia nel mito.

Questo è quello che intendo quando dico che in questo romanzo i personaggi si muovono in un determinato modo perché ovviamente seguono il mito a cui sono ispirati, ma non si va mai oltre, non ci cerca di capire il perché delle loro azioni, è come se l’autrice li avesse spinti a muoversi così senza farci mai andare oltre, senza andare al vero fondo delle loro motivazioni.

E’ tutto molto rigido sotto questo punto di vista, deve essere così quindi i personaggi sono così.

Questo per me è stato il vero problema del libro, perché da un mito simile si possono estrapolare migliaia e più analisi e significati, ma anche riflessioni che potevano trasparire in qualche frangente dai personaggi, invece tutto viene ridotto ad una storia di ingiustizia, e lo è, ciò che è accaduto a Medusa è ingiusto ed è la prima parola che può venire in mente pensando al mito, ma c’è anche molto altro.

Come dicevamo la prima parte del testo riprende esattamente il mito, dopo la trasformazione in mostro, nel libro, Medusa torna nella casa di famiglia dove incontra le sorelle e i genitori, per una serie di eventi anche le sorelle diventano gorgoni e assieme vanno a vivere su questa isola dove anni e anni dopo arriverà Perseo per uccidere Medusa. Nel frattempo la storia passa a Danae, figlia di Re Acrisio, intrappolata in una torre dal padre terrorizzato da una profezia dell’Oracolo di Delfi in cui si preannuncia la sua morte per mano del nipote. Lì Danae rimane incinta di Zeus e da alla luce Perseo, ma il Re Acrisio, che non volle ucciderli subito, decise di intrappolarli entrambi in una cassa inchiodata che fece gettare in mare. I due sopravvissero e Perseo crebbe fino a diventare adulto e da lì si inoltrò nell’impresa di uccidere Medusa.

Il romanzo termina con la morte di Medusa e un dialogo, che a mio vedere poteva essere più esteso, fra lei e Perseo che torna a casa con la testa di Medusa di cui aveva promesso di raccontare la vera storia.

Conclusioni

Tutto sommato per me “Il Segreto di Medusa” è un romanzo godibile per lo stile, le immagini che evoca e per il fatto che si focalizza appunto sul personaggio di Medusa che amo molto, ma per altri aspetti è un romanzo carente, che poteva dare di più.

Se non siete particolarmente suscettibili o legatə alla versione classica del mito, o se magari volete leggere un romanzo scorrevole su questo che dia un quadro generale della vicenda, questo libro potrebbe essere piacevole da leggere.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Il Segreto di Medusa”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!