Buon pomeriggio, buon martedì e buon quasi inizio settimana!
Come state? Come procede il mese di maggio?
Finalmente, dopo mesi di promesse eccoci qui con il famigerato primo episodio della rubrica #poetprofile, rubrica in cui parleremo in ogni appuntamento di un poeta/poetessa, parlando della vita di questi, delle poesie più significative e rappresentative, avanzando pian piano anche nella scoperta della vita appunto del poeta/poetessa in questione.
Per la lunghezza piuttosto eccessiva per un unico articolo ho dovuto dividere il tutto in due parti, la seconda uscirà nei prossimi giorni, il mio piano iniziale era di unire tutto, ma purtroppo anche per la comodità nella lettura ho diviso.
La prima poetessa ad inaugurare questa rubrica (che apre anche una vera e propria sezione del blog dedicata alla poesia) è Sylvia Plath.
Non seguirò un ordine particolare nella scelta dei poeti di cui parlare, con tutta probabilità alterneremo una donna ad un uomo e così via, infatti il prossimo poeta di cui parleremo sarà un uomo, ma concentriamoci sulla poetessa di oggi.
C’è anche un’altra ragione riguardante la mia scelta per questo primo appuntamento, ho scelto la Plath perché personalmente è una delle mie poetesse e autrici preferite e la storia della sua vita e della sua evoluzione artistica è affascinante sotto ogni aspetto.
Quindi, che dire, iniziamo! Spero che questa nuova rubrica possa piacervi, che tra l’altro si potrebbe estendere anche agli autori di romanzi, parlando in un articolo di tutti i testi scr-, non corriamo troppo, ve la butto lì… Iniziamo!

Infanzia, Otto Plath e Warren (1932-1940)
Sylvia Plath nasce il 27 ottobre del 1932 al Robinson Memorial Hospital di Jamaica Plain, un sobborgo di Boston da padre tedesco, Otto Emil Plath e madre austriaca, Aurelia Schober.
Otto Plath era un entomologo, biologo darwiniano e professore di tedesco all’Università di Boston, si trasferì in America, nello specifico a New York, a sedici anni e aveva una predisposizione naturale per le lingue. Parlava inglese con uno spiccato accento americano, ma conosceva anche il tedesco, il francese e il polacco. Queste conoscenze gli permisero di arrivare ad insegnare tedesco e l’alto tedesco a livello universitario.
Otto in gioventù dopo aver vissuto a New York a casa dello zio, si trasferì a Watertown nel Wisconsin, dove frequentò il college a condizione che studiasse per diventare un ministro luterano. Otto si specializzò in lingue classiche, ma per colpa dei suoi studi riguardanti Darwin e gli altri pensatori scientifici del XIX secolo si rese conto di non poter più diventare un ministro luterano e fu cacciato dalla famiglia.

Da quel momento la vita di Otto iniziò a ruotare interamente intorno allo studio, riuscì ad imporsi in campi accademici su lingue che non erano le sue grazie alla sua enorme forza di volontà. Conobbe Aurelia Schober all’Università di Boston, dove lavorava, e di lei apprezzava soprattutto la mente e la sua estrema determinazione.
Aurelia aveva ventun anni in meno di Otto e lasciò l’insegnamento del tedesco e dell’inglese per lavorare come segretaria del marito, una volta sposati. Aurelia era una donna intelligente, era un’avida lettrice, discendeva anche lei da una famiglia di origine tedesca e si decise a sposare Otto dopo un anno di corte serrata e dopo un viaggio fino a Las Vegas per il divorzio necessario dal precedente matrimonio di lei.
Nelle opere di Sylvia sarà la figura paterna ad emergere per la maggior parte, una figura romanzata ed edulcorata, secondo Aurelia il padre amorevole e affettuoso visibile nelle opere giovanili è legato invece alla visione del nonno, il padre di Aurelia, “Grampy” Schober.
Sylvia nacque dieci mesi dopo il matrimonio, mentre Warren Joseph Plath nacque due anni e mezzo dopo la nascita della sorella.
I coniugi insegnarono ai figli fin dai primi anni di vita l’importanza della lettura, dello studio e delle lingue. Otto passava la maggior parte del tempo in casa leggendo e studiando, quando non era a casa era al campus e da ciò che traspare in casa si respirava un’aria accademica, dato che la madre non solo preparava i manoscritti del marito ma, con il tempo passò a scrivere lei stessa un ampio numero di questi manoscritti.
Durante l’infanzia e data la gelosia che si viene a creare fra fratelli, citando anche la differenza di età, Sylvia divenne sempre più desiderosa di attenzioni, divenne a tratti aggressiva, sentendo il peso di queste mancate attenzioni che venivano invece dedicate al fratello Warren.
Warren era un bambino dalla salute cagionevole e necessitava di maggiori cure, la madre dedicava molto del suo tempo per la salute del piccolo, affidando spesso Sylvia ai nonni.
Nel 1936 i Plath si trasferiscono da Jamaica Plain a Winthrop, nella baia di Boston. Qui il mare diventa una presenza importante per Sylvia, è un periodo costellato da gite in barca, passeggiate in riva al mare, tempo speso assieme alla famiglia. L’acqua e il mare torneranno spesso come immagini nelle poesie future di Sylvia, di solito sono elementi associati alla pace e alla tranquillità, ma anche purezza e amarezza.
Qui finiva la terra: le estreme dita,
nocchiute e reumatiche, rattrappite sul nulla.
Ammonitori neri dirupi,
e il mare che esplode senza fondo,
o alcunché d’altro al di là, bianco di visi d’annegati.
Adesso è soltanto tetro, un ammasso di rocce –
soldati sbandati di vecchie, confuse guerre.
Il mare gli cannoneggia gli orecchi, ma loro non mollano.
Altre rocce nascondono i loro rancori sott’acqua.
Finisterre (29 settembre 1961)1
Sylvia era una bambina molto meticolosa, le piaceva sistemare i bottoni, i sassolini, i mattoncini e altri tipi di oggetti, pratica comune a vari bambini, ma che ho trovato affascinante conoscere nel corso delle ricerche e letture fatte per questo articolo.
Quando Sylvia (nel 1940) aveva otto anni, il padre, Otto, venne a mancare a causa di complicazioni date dalla cura della malattia che aveva, soffriva di diabete mellito, che fu all’inizio scambiato per un tumore al polmone. Queste complicazioni portarono all’amputazione di una gamba a causa del diabete con conseguente morte per embolia. La morte del padre ebbe un grande impatto su Sylvia, un impatto evidente anche dopo anni.
In una lettera inedita di Aurelia del 1988 sembra emergere il vero clima legato alla situazione in casa Plath, Aurelia descrive l’invalidità del marito e la grande lontananza tra lui e i figli. Cercando di tracciare una visione di Otto dagli occhi di Sylvia, seguendo le sue opere, emerge nei suoi primi scritti un occhio dolce e forse troppo idealizzato nei confronti del padre deceduto, mentre anni dopo, con la crescita e una visione più chiara, la scrittrice fa emergere un quadro infantile più amaro.
Otto viveva in un clima di isolamento, scriveva Aurelia: “mio marito non abbracciava né baciava mai i bambini, temendo di avere qualcosa di brutto che tale vicinanza avrebbe potuto trasmettere… non usciva mai per una passeggiata con loro, non si concedeva mai un gioco e neppure osava sfiorarli. Non chiacchieravano neppure – [solo] una rapida carezza sulla testa, al momento di andare a letto.2“
La madre decise di non far assistere i figli al funerale di Otto, Sylvia visitò per la prima volta la tomba del padre solo nel 1959 e descrisse in questo modo l’esperienza: “Sono andata sulla tomba di mio padre, una visita deprimente. […] Nel terzo campo, su uno spiazzo erboso uniforme che guardava da un rettilineo giallastro spoglio su file di edifici di legno, ho trovato la piatta tomba di “Otto E. Plath: 1885-1940”, proprio accanto al sentiero dove era facile calpestarla. Mi sono sentita ingannata. Ero tentata di tirarlo fuori. Per provare che era vissuto e morto sul serio. […] Me ne sono andata subito. Ma è giusto avere il posto in mente.3“

Trasferimenti e Primi Successi (1941-1946)
In questi anni, dopo la morte del padre, Sylvia frequenta la Junior School di Winthrop e nel 1941 inaugura la sua serie di riconoscimenti letterari. A soli otto anni infatti una sua poesia viene pubblicata sul “Boston Herald”.
Sylvia era piuttosto popolare fra i suoi coetanei, la madre la persuase all’età di 12 anni a sottoporsi al test per il quoziente intellettivo (IQ) ed ebbe un punteggio di 160. Punteggio decisamente alto, secondo alcuni metri di giudizio oltre i 140 si è ritenuti “geni” quindi Sylvia venne considerata una delle menti più acute e brillanti della sua età.
A dieci anni, due anni dopo la morte del padre, Sylvia potrebbe aver tentato per la prima volta il suicidio. Non è chiaro se fu un atto voluto o un incidente, provò a tagliarsi la gola. Il fatto viene citato nella biografia di Andrew Wilson, “Mad Girl’s Love Song” che ha avuto accesso a lettere prima inaccessibili di Aurelia ai figli di Sylvia. Inoltre nella poesia “Daddy” Sylvia cita i dieci anni come età in cui il padre venne meno, ma questo non corrisponde alla realtà, quindi il riferimento ai dieci anni può riguardare o un fatto importante legato a quell’età e al padre o distaccandosi dal lato autobiografico potrebbe riguardare unicamente un’esperienza della voce narrante della poesia. Anche nei diari citerà, non in modo chiaro, un incidente di tipo violento attorno a quell’età.
Tu stai alla lavagna, papà,
Nella foto che ho di te,
Biforcuto nel mento anziché
Nel piede, ma diavolo sempre,
Sempre uomo nero che
Con un morso il cuore mi fende.
Avevo dieci anni che seppellirono te.
A venti cercai di morire
E tornare, tornare a te.
Anche le ossa mi potevano servire.
Daddy (12 ottobre 1962)4
In quegli anni Aurelia riceve dalla sua vecchia università l’incarico di organizzare e gestire un corso di segretariato medico e ospedaliero, perciò con tutta la famiglia si trasferisce a Wellesley, vicino a Boston.
Sylvia non è entusiasta del trasferimento, è costretta ad abbandonare l’oceano e le sue amate spiagge a cui tornerà spesso con la memoria.

Dal 1944 al 1947 Sylvia frequenta la Alice L. Phillips Junior High School, dove si distingue in arte e inglese. Il tema dell’arte tornerà spesso anche in futuro, infatti oltre a quella che era la sua passione per la scrittura si aggiunge quella per il disegno e per la musica dato che prende lezioni di pianoforte, balletto e suona la viola nell’orchestra della scuola.
Ciò inizierà ad influenzare anche le sue poesie che si impregneranno di un certo senso musicale.

Wilbury Crockett, i ragazzi e la società (1947-1949)
Sylvia dopo essersi distinta alla Junior High School, si iscrive alla Gamaliel Bradford High School dove viene notata da Wilbury Crockett.
Crockett era un professore di letteratura americana, europea e classica, fu il suo insegnante di inglese per tre anni, ma i due rimasero in ottimi rapporti per tutti gli anni seguenti, fu lui infatti ad aiutarla nel recuperare del tutto la capacità di leggere e scrivere dopo il suo tentativo di suicidio a vent’anni.
I racconti giunti a noi da quegli anni sono pervasi da un profondo senso di perdita e tristezza, le protagoniste sono figure senza un futuro, senza piani precisi, intrappolate in alcuni casi in una profonda depressione, come nel caso di “Heat“.
“Non c’era via di scampo. La calura era ovunque. Si insinuava negli appartamenti e negli uffici con l’aria condizionata. Poggiava sulla città come una coperta palpabile…”
Nel ’49 scrive un brano che introduce per la prima volta Miss Minton, un personaggio femminile che fa la sua comparsa anche in “Domenica dai Minton” che nel 1952 le è valso un premio.
In questi anni la Plath, con la crescita, inizia a pensare ai ragazzi, e alla società e qui iniziano le prime domande e dubbi sul rapporto con l’altro sesso, il matrimonio e il ruolo della moglie nella società.
Queste tematiche, che ci si trova ad affrontare ad un certo punto nello sviluppo, diventano decisamente presenti nei suoi diari e nei suoi pensieri, anche negli anni successivi infatti Sylvia sembra essere tormentata dalla sua visione del futuro e della carriera professionale in contrapposizione alla visione della donna nell’America degli anni ’50, una donna casalinga, devota al marito, remissiva e disposta a mettere da parte i suoi piani professionali per la casa e la famiglia.
Come scrisse a più riprese sui suoi diari: “Voglio essere assolutamente sicura che il matrimonio non sia né una clamorosa presa in giro, né un rifugio effimero” (27/04/1953) – “C’è un tempo per ogni cosa; e tu devi stare attenta a questa tua predilezione per le mele verdi. Possono essere dolci o aspre, novelle o precoci, ma sarebbe ora che imparassi ad aspettare la stagione del raccolto. Prenditela calma, per favore. Lui non deve essere lo strumento della tua estasi. Non ancora, comunque.” (12/01/1953) – “Secondo me l’unione che funziona valorizza le potenzialità di entrambi gli individui.” (05/1952) – “Il mio struggente interesse per gli uomini e la loro vita viene spesso scambiato per smania di seduzione o invito all’intimità.” (1951) – “Desidero le cose che alla fine mi distruggeranno… Mi chiedo se l’arte scissa dalla vita vita normale, convenzionale, abbia altrettanta potenza dell’arte fusa con la vita: in altre parole, il matrimonio potrebbe fiaccare la mia energia creativa e distruggere il mio desiderio di espressione scritta e pittorica […]” (1950) – “Se solo riuscissi a trovarlo… l’uomo intelligente ma dotato anche di fisico prestante, magnetico. Se io posso offrire tutto questo, perché non dovrei pretendere altrettanto da un uomo?” (1950)5

Lo Smith College, il tentativo di suicidio e Mademoiselle (1950-1953)
Grazie all’essersi distinta alla Gamiel Bradford e a ben tre borse di studio, Sylvia potrà frequentare lo Smith College di Northampton in Massachusetts, un prestigioso college privato femminile.

Anche oggi lo Smith è considerato uno dei college migliori, nel 2013 la rivista U.S. News & World Report lo collocava fra i college più prestigiosi a indirizzo artistico, ha visto la luce per la prima volta nel 1875, oggi ha circa 2600 allieve nel campus e altre 250 presso altre sedi, ciò lo rende il college femminile più grande del Paese.
Nell’estate del 1950, prima di entrare al college, opportunità che infondeva un gran senso di entusiasmo e felicità in Sylvia, lavora per poco in un’azienda agricola, la “Lookout Farm“, esperienza che apre la raccolta dei diari6 e introduce una ragazza vogliosa di vivere e fare esperienze di vario genere. Descrive anche un episodio accaduto in questa azienda in cui viene baciata senza consenso da un ragazzo. Episodio questo che la lascia sconvolta anche per il modo in cui viene guardata e trattata dagli altri dopo l’evento, che si ferma appunto ad un bacio, ma da ciò che Sylvia fa intendere il giovane non si è spinto oltre perché l’ha vista piangere e non gradire l’assalto.
Nel settembre di quell’anno si aprono le porte dello Smith, in cui è iscritta alla facoltà di Inglese e vive a Haven House.
Una volta allontanatasi da casa, Sylvia, fa di tutto per tenersi in contatto con la madre e le due si scrivono regolarmente, queste lettere/telegrammi dallo Smith aprono la raccolta delle lettere alla madre7 che mostrano una Sylvia che sgobba tutto il giorno al costo di mantenere buoni voti e dimostrare di meritare la sua posizione.
Queste lettere, come sostengono vari studiosi della vita della scrittrice e come è intuibile durante la lettura, presentano una certa falsità di fondo. Sylvia si sforza di apparire sempre felice e positiva in queste lettere, racconta ogni esperienza con toni entusiasti e anche dopo lo Smith manterrà questo tono, adottato per varie ragioni si pensa, sia per mostrare alla madre una facciata di positività a volte inesistente sia per non aggravare la madre di un ulteriore peso, dato che Aurelia fece sempre di tutto per mantenere economicamente e non solo i figli, era una donna sola e con il peso di vari lavori sulle spalle.
Questa falsità che a tratti può sembrare solo un modo per alleggerire i fatti raccontati, nasconde in realtà molto altro. Anni dopo, nel 1958, tornando in cura dalla psicologa che la ebbe in cura per anni (Ruth Barnhouse Beuscher), iniziò ad interrogarsi fino in fondo sulla natura del rapporto con la madre e arrivò a queste conclusioni: “E’ come se R.B. dicendo “ti autorizzo a odiare tua madre”, avesse anche detto “ti autorizzo a essere felice”.” – “Ho giocato, scherzato, accolto mamma con affetto. Certo la odio, ma non solo. Le… voglio anche bene.” – “Perché ho paura di fallire prima ancora di incominciare. Vecchio bisogno di dare a mamma delle soddisfazioni, per avere una ricompensa d’amore.”- “Una registrazione quasi fedele dei sentimenti e delle ragioni del mio suicidio: lo spostamento nei confronti di me stessa dell’impulso omicida verso mia madre.”8
Aurelia sembra tra l’altro, nel corso degli anni, non arrivare mai a patti con i tentativi di suicidio della figlia, che vede come un’onta. Non riconosce mai alcuni suoi eventuali comportamenti sbagliati.
Ad ogni modo, Sylvia entra allo Smith, e nel 1950 la rivista “Seventeen” pubblica il suo racconto “And Summer Will not Come Again“, ispirato ad un amore adolescenziale e un concorso del ’51 indetto dalla stessa rivista la premierà con il terzo posto per il racconto “Den of Lions“.
Nel ’50 inizia la sua corrispondenza con Eddie Cohen, uno studente di letteratura di Chicago con cui sente di riuscire ad intendersi nelle sue fragilità.
In una lettera la giovane, scrive: “Prima di donare il mio corpo, devo donare i miei pensieri, la mia mente, i miei sogni. E tu non volevi nessuna di queste cose.” […] “Sei un sogno: spero di non incontrarti mai.”9
Risale al 1951 il suo incontro con Dick Norton, figlio di un’amica di sua madre e studente di Yale, vive con lui la sua relazione più importante dei primi anni del college, da lui nasce l’ispirazione per il personaggio di Buddy Willard de “La Campana di Vetro“.
Nel settembre del ’51 in riferimento a Dick scrive: “Vedo nel ragazzo che, per necessità (mancanza di altri contatti), è diventato l’unica risposta a un bisogno, il germe di tutto ciò che temo e che vorrei evitare. Vedo l’altrettanto cieca necessità di prendermi subito il meglio che c’è, per paura che il futuro non mi dia un’altra occasione. […] Non amo; non amo nessuno all’infuori di me stessa.”10
Nel corso dell’estate alla fine del suo primo anno allo Smith, lavora come baby-sitter, da quella esperienza nacque la poesia “The Babysitters“. Durante le sue riflessioni estive sulla scrittura dichiara di volersi avvicinare di più ad Amy Lowell, ma di adorare la trasparenza lirica e la purezza di Elinor Wylie, E.E. Cummings e aspira ad emulare T.S. Eliot, Archibald Mac Leish e Conrad Aiken.
Durante il suo secondo anno si ritrova più volte a mirare all’equilibrio, sia nella sua vita scolastica che in quella sentimentale, inizia a pensare ad un futuro con Dick e immagina lui come futuro marito/padre, ma allo stesso tempo non è sicura di lui per la sua vita amorosa futura. In particolare sa che si ritroverà sempre a lottare con lui per il “predominio”, sa che ci sarà sempre un senso di competitività e non è del tutto convinta. Dick inoltre rappresentava il ragazzo modello tipico degli anni ’50, uno studente ottimo, futuro medico, figlio amato molto affezionato alla famiglia e alla madre (amica di Aurelia).
Sylvia inoltre soffriva di sinusite e questi continui attacchi, che sopraggiungevano di tanto in tanto, la gettavano in uno stato di profondo sconforto, questo stato si aggravava nei momenti in cui già soffriva a livello personale.
Durante il secondo anno fu nominata anche segretaria del Comitato d’onore ed era corrispondente dello “Springfield Daily News” e puntava per l’anno seguente (il ’53) ad entrare nella redazione dello “Smith Review“.
Il suo secondo anno di studi si conclude con ottimi risultati scolastici e durante l’estate, prima dell’inizio del suo terzo anno, lavora presso il Belmont Hotel di West Harwich a Wellesley e a Chatman, Massachusetts.
Si divertiva molto all’hotel, era un esperienza gratificante che le portava soddisfazione, ma purtroppo si affaticò molto e si riammalò con la sinusite e dovette tornare a casa e rinunciare al lavoro, per poi pentirsene.
Inizio il suo terzo anno allo Smith decidendo di specializzarsi in letteratura inglese, ma doveva scegliere anche una materia scientifica, per due semestri secondo le regole dell’istituto, e scelse fisica. Tuttavia questa scelta non fu per nulla soddisfacente, anzi, lo studio di questa la faceva cadere in uno stato di profondo sconforto e inadeguatezza.
Nel novembre del ’52 infatti comunica il suo stato sia nel suo diario personale che in varie lettere alla madre: “Dio, non sono mai stata tanto vicina al suicidio come adesso […]. Il mio mondo cade a pezzi, si sbriciola “il centro non regge più”. Non c’è forza unificatrice, sola la nuda paura, l’istinto di autoconservazione. Ho paura Non ho consistenza, sono vuota. Dietro gli occhi sento una caverna pietrificata, inerte, un abisso infernale, un nulla che scimmiotta.“11
“Mi dispiace doverlo ammettere, ma sono in uno stato di tensione emotiva e mentale, ed è una settimana che sono in questo stato di tensione e mi sento letteralmente nauseata… manifestazione psichica di uno stato mentale di grande frustrazione. […] Per cavarmi d’impiccio ho preso in seria considerazione di suicidarmi, è come se mi stessi rotolando nei miei stessi escrementi.“12
Poche persone erano a conoscenza della reale situazione, e nemmeno queste forse si rendevano davvero conto dello stato psicologico di Sylvia. La ripresa appare improvvisa e inaspettata, infatti passati questi momenti la ragazza si risolleva e supera questo stato, questo cambiamento non è del tutto normale, ma per le persone accanto a lei era comune vederla con umore altalenante.
Nei mesi seguenti, sbarcando nel 1953, Sylvia riflette ulteriormente sul suo rapporto con Dick Norton e arriva alla conclusione che i due saranno per sempre condannati a competere fra loro e realizza di non amarlo più e di non essere più attratta da lui.

Nel suo diario, data 10/01/1953, annuncia di aver incontrato un nuovo ragazzo, c’è un nuovo uomo nella sua vita e il suo nome è Myron Lotz.
Era uno studente di medicina a Yale e giocava a football in seconda categoria, possedeva molte delle qualità che Sylvia cercava in un ragazzo, la famosa poesia “Mad Girl’s Love Song” è ispirata a lui.
La coppia ebbe un inizio passionale e veloce, ma nel corso di poco l’amore sfumò in amicizia e rimasero in buoni rapporti.
Nel giugno di quell’anno viene selezionata con diciannove studentesse tra duemila candidate per trascorrere un mese nella redazione della rivista “Mademoiselle” di New York.

Trascorre un periodo di serate mondane e interessanti incontri letterari, le si aprono le porte di una New York alla moda.
Le note sui diari riguardanti a quei periodi, o meglio quelle pubblicate, sono scarse, Sylvia sembra sentirsi intrappolata in un ambiente impregnato di persone altezzose e menefreghiste nei confronti dei problemi altrui e si sente portata all’esasperazione, questo ambiente artificioso, ricercato la fa sentire a tratti insicura e ad altri fin troppo eccitata.
Da questa esperienza trarrà ispirazione per “La Campana di Vetro” e per gli eventi che vivrà la sua Esther.
Dopo questa esperienza, tornata a Wellesley per il resto dell’estate, subirà un brutto colpo ovvero verrà respinta al corso di scrittura di Frank O’Connor per cui aveva fatto domanda. Il livello di estrema delusione e sconforto provato da questo era ampliato anche da uno stato di depressione pregresso, infatti l’esperienza di New York non aveva giovato al suo stato mentale.
Passerà l’estate a casa con piani vari inerenti allo studio e alla scrittura, ma sprofonderà sempre di più in un vortice di manie suicide e depressione, dai diari dei giorni precedenti (fino a dove ci è possibile leggere) traspare dalle sue parole un profondo senso autocritico, non perde occasione per accentuare i suoi difetti ed evidenziare le mancanze.
“Ti prego pensa – svegliati. Credi in qualche forza benefica al di fuori del tuo io limitato. Signore, signore, signore: dove sei? Ti voglio, ho bisogno di te: di credere in te e nell’amore e nell’umanità. Non devi nasconderti in questo modo. Devi pensare.“13
La sua famiglia interpella uno psichiatra e inizia ad essere sottoposta a trattamenti di elettroshock, non sarà la prima né l’ultima volta, questo trattamento sarà per lei un esperienza traumatica che rievocherà ne “La Campana di Vetro”.

Il 24 agosto tenta il suicidio, scende in cantina e ingerisce una cinquantina di pillole di sonnifero, si nasconde dietro una catasta di legno e rimane lì per ben due giorni, tanto che il fatto venne riportati sui quotidiani dell’epoca.
Fu il fratello Warren a ritrovarla in uno stato disperato, era agonizzante, ma ancora viva grazie all’aver vomitato gran parte delle pillole ingerite.
Fu ricoverata presso il McLean Hospital, Belmont, e affidata alla psichiatra Beuscher, la ripresa si basò su trattamenti di elettroshock e insulina, ma fu di fondamentale importanza il rapporto con la terapeuta.
Sylvia fu dimessa dall’ospedale nel dicembre del 1953.

Il doppio, Richard Sasson e Cambridge (1954 – 1955)
Sylvia tornò allo Smith nella primavera del 1954, si era fatta bionda, si sentiva più spavalda ed era famosa in tutto il campus. Le piaceva vedersi con una personalità nuova con il cambio del colore dei capelli, l’essere bionda voleva dire essere più audace, determinata e allegra, nei diari alla madre cita questo cambio di personalità basato sull’aspetto, l’essere castana infatti al contrario per lei voleva dire essere la “classica” brava ragazza e studentessa modello.
Sylvia recupera i corsi del terzo anno e sceglie il tema della tesi di laurea, ovvero la figura del doppio nei romanzi di Dostoevskij.
La tematica del riflesso, del doppio, ricomparirà di frequente nelle sue opere come un pensiero costante, sono un esempio le figure opposte e speculari de “Due Sorelle di Persefone” (1956)14:
Due fanciulle: in casa
l’una siede, l’altra fuori.
Per tutto il giorno tra loro
un duetto d’ombra e luce.
Nella sua buia stanza rivestita di legno
la prima elabora problemi
su una macchina matematica.
Aridi ticchettii battono il tempo
mentre calcola ogni somma.
In questa sterile impresa
il suo sguardo sbieco assume furbizia di topo,
la sua magra figura un pallore di radice.
Bronzea come la terra l’altra, distesa,
ascolta i ticchettii gonfiarsi d’oro
come polline nell’aria luminosa. Cullata
accanto a un letto di papaveri,
vede il rosso ventaglio di seta
dei loro petali di sangue
ardere e aprirsi alla lama del sole.
Su quel verde altare
liberamente diventa sposa del sole,
s’ingravida di seme.
Accosciata sull’erba, nell’orgoglio del travaglio,
partorisce un re. Inacidita
e gialla come un limone
l’altra, vergine agra fino allo stremo,
va verso la tomba con la carne devastata,
posseduta dai vermi, ma non donna.
In questa poesia una fanciulla è simbolo di natura, è piena di vita, diventa sposa del sole e partorisce un re, mentre l’altra è gialla come un limone, secca e vergine. Rappresenta due figure binarie, diverse, ma simili, che vanno incontro allo stesso destino.

Nell’aprile del ’54 incontrò Richard Sasson, uno studente di Yale un inglese cresciuto in Francia che studia storia e filosofia, diverso dai suoi precedenti fidanzati e dal suo ideale di ragazzo, Sasson infatti era un ragazzo raffinato, intelligente, imparentato con i Sasson della letteratura. Riusciva a starle dietro a livello intellettuale e non solo, in molte biografie, articoli e saggi, Sasson assume un ruolo spettrale, è una figura sullo sfondo che sembra non aver assunto una gran importanza nella vita della poetessa, ma come vedremo anche più avanti, Sasson è stato il ragazzo che ha catapultato Sylvia verso Ted e l’ha fatta anche precipitare in uno stato d’animo di estrema mancanza e dolore amoroso.
Torneremo a parlare di Richard più avanti, ma la relazione con lui fu molto importante per Sylvia.
Passò l’estate del 1954 alla Harvard Summer School studiando tedesco e vivendo con alcuni amici dello Smith.
Il suo ultimo anno allo Smith la proiettò all’apice del successo, vinse premi, guadagnò vendendo poesie, e soprattutto vinse una borsa di studio Fullbright per studiare al Newnham College a Cambridge.
Dopo la consegna dei diplomi, Sylvia torna nell’estate del ’55 a Wellesley dalla famiglia a causa di un intervento della madre, decise di non lavorare appunto per seguirla al meglio delle sue possibilità.
In questo periodo il rapporto con Sasson inizia ad incrinarsi, lui sembra volersi allontanare da lei.
In una lettera dell’11 dicembre a Richard scrisse: “Forse quando sentiamo che vogliamo tutto è perché siamo pericolosamente vicini a non volere niente. Il non volere niente ha due estremi opposti: o uno è del tutto realizzato e ricco e ha una tale quantità di mondi interiori che quello esteriore non gli serve per provare gioia, perché la gioia emana dal centro del suo essere; oppure uno è morto e marcito dentro e questo mondo non ha niente da dargli. Al momento mi sento come se stessi silenziosamente costruendo un ponte delicato e intricato, nel buio della notte, da una tomba all’altra mentre il gigante dorme. Aiutami a costruire questo ponte oh tanto squisito.” 15
A metà settembre s’imbarca per l’Inghilterra, prima di Natale traversa la Manica per incontrare Richard a Parigi, ora studente alla Sorbona, ma la loro intesa sembra essersi spezzata lasciando una Sylvia particolarmente demoralizzata, sola nel suo viaggio di ritorno verso Cambridge.
C’era anche un altro uomo in questo periodo, ma fu solo un amore estivo che bruciò in fretta, il ragazzo in questione era Peter Davidson, lui stesso poeta e redattore a New York, che fu una figura ad ogni modo persistente nella vita di Sylvia, perché anche dopo la rottura i due rimasero amici e in comunicazione.
NOTE
1: S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019
2: Linda W. Martin, Sylvia Plath, Castelvecchi 2013
3: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
4: S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019
5: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
6: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
7: S. Plath, Quanto Lontano Siamo Giunti, Guanda 2015
8: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
9: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
10: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
11: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
12: S. Plath, Quanto Lontano Siamo Giunti, Guanda 2015
13: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
14: S. Plath, Tutte le Poesie, Mondadori 2019
15: S. Plath, Diari, Adelphi 1998
Video/Link Interessanti
Mad Girl’s Love Song – S. Plath
Daddy – S. Plath
Documentario in lingua su S. Plath
La prima parte si ferma qui, ma la seconda uscirà il prima possibile e in quella parleremo della relazione e del fatidico incontro con Ted Hughes, della vita con lui, dell’evoluzione della sua arte, della rottura e di decine di altri eventi che hanno segnato la vita di questa immensa poetessa. Parleremo anche dell’atto finale, ovvero il suicidio e ciò che è accaduto dopo.
Fatemi sapere se questa prima parte vi è piaciuta, se questa rubrica vi aggrada e preparatevi per la seconda parte che sta per arrivare!
A presto!
