Come state? Come state trascorrendo questo settembre?
Spero bene comunque, nonostante il clima imprevedibile e le mille peripezie.
Eccomi qui con una recensione finalmente dopo mesi di vuoto, avevo già accennato un ritorno e come scritto nello scorso articolo sono stati mesi complessi a livello di gestione tra lavoro, vacanze strane e il resto, quindi sbuco solo ora.
Ad ogni modo sto cercando di trovare un sistema di organizzazione giusto ed equilibrato che mi aiuti a riprendere anche al meglio qui sul blog o anche su Instagram (altra terra desolata dalla quale sono sparita) e piano piano ci sto riuscendo nell’impresa, a piccoli passi.
Comunque, oggi riprendiamo a parlare di libri e in particolare del libro che è stato in lettura per tutto il mese di giugno sul gruppo (come trovate come sempre su Goodreads, proprio qui, esatto qui), ovvero “Il Capitano Alatriste” di Arturo Pérez-Reverte.
Il Capitano Alatriste – Arturo Pérez-Reverte
Casa editrice: Rizzoli
Pagine: 207
Genere: narrativa, narrativa storica, avventura
Prezzo di Copertina: € 12,00
Prezzo ebook: € 7,99
P. Pubblicazione: 2015
Link all’acquisto: QUI
Incipit
Non sarà forse stato l’uomo più onesto e neanche il più caritatevole della terra, ma era un uomo valoroso. Si chiamava Diego Alatriste y Tenorio e aveva combattuto come soldato nei vecchi battaglioni di fanteria durante le guerre delle Fiandre. Quando lo conobbi tirava a campare a Madrid, dove lo si poteva assoldare al prezzo di quattro maravedì per lavori di poco lustro, soprattutto come spadaccino per conto di chi non aveva l’abilità o il fegato necessari per risolvere da sé i propri contenziosi.
Trama
Diego Alatriste ha combattuto le guerre delle Fiandre e ora tira a campare come spadaccino al soldo nell’elegante e corrotta Madrid del Diciassettesimo secolo. I suoi nemici sono letali e numerosi, come l’inquisitore Bocanegra e l’assassino Malatesta. Un personaggio freddo e solitario, dal carattere rude e sbrigativo, lunghi silenzi affogati nel vino, una disperazione profonda, così come un cuore impavido e fiero. Le sue avventure trascinano il lettore tra gli intrighi della corte di Spagna, tra i viottoli bui dove scintillano spade sguainate e sogni di grandezza.
Recensione
Dunque, avevo sentito parlare di Arturo P. Reverte, ma non avevo ancora mai letto nulla di suo, l’autore è famoso per testi quali “Il Codice dello Scorpione”, “Il Club Dumas” e “L’Italiano”.
Il Capitano Alatriste è stato pubblicato nel 1996 ed è il primo volume di una serie composta da ben sette volumi, pubblicati negli anni da case editrici quali Salani e Tropea. Di certo questo primo volume è il più famoso, ma si trovano ancora buona parte degli altri sei magari con qualche ricerca in più.
Stile, Ritmo e Amotsfera
Allora, devo dire che lo stile di Reverte è godibile, piacevole alla lettura e crea scenari e atmosfere interessanti a tratti, ma in buona parte del testo l’ho trovato esageratamente prolisso soprattutto quando si parla di pensieri, opinioni e idee di altri personaggi esterni ad Alatriste.
La storia è narrata da questo uomo che ai tempi delle vicende trattate era un bambino ed era il pupillo di Diego Alatriste, divenuto pupillo in seguito alla morte del proprio padre che era amico di Diego e ai tempi della morte chiese a Diego di prendersi cura di lui o comunque di prenderlo sotto la sua ala.
Ebbene, ho trovato questo narratore a tratti esagerato nel perdersi in divagazioni non solo su Diego, ma anche sugli altri personaggi presenti nel libro e se da una parte queste divagazioni sono piacevoli ed interessanti a livello storico, altre sono forse esagerate.
Consideriamo sempre il fatto che è il primo libro di una serie quindi è normale che a tratti possa essere più prolisso, ma certe informazioni potevano anche essere inserite nel volume seguente anche per attirare il lettore nell’andare avanti con la serie.
Il ritmo generale del testo è costellato da alti e bassi, ci sono capitoli in cui sembra prendere il volo ed accelerare e altri in cui magari l’azione sembra bloccata da dialoghi o scene a mio vedere eccessivamente tirate per le lunghe, non l’ho trovato personalmente soddisfacente come testo a livello di ritmo della vicenda narrata, sembra quasi che proprio nei momenti in cui necessita di azione e ritmo l’autore preferisca invece buttarsi su riflessioni varie.
Ripeto è un testo scritto comunque in modo godibile nel senso che per me nonostante questi aspetti che a volte stancano la lettura, lo stile di Reverte resta comunque scorrevole di per sé.
Le atmosfere generali sono quelle storiche di una Madrid del Settecento, forse l’autore avrebbe potuto spendere più inchiostro nel provare a far immergere il lettore in queste atmosfere che sì, sono presenti, ma a volte ci si dimentica del tempo in cui ci si trova, avrei preferito con descrizione storica in più rispetto a dialoghi o riflessioni prolisse sul carattere dei personaggi.
Questo testo può piacere secondo me a chi apprezza i romanzi storici, in alcune brevissime scene mi ha dato delle vibes stile “I Tre Moschettieri”, ma è comunque molto diverso per vari aspetti e non dona quell’immersione storica a mio vedere.
… beh è stata un’esperienza
Questa lettura per me è stata nella media, a settimane di distanza come nell’immediato non mi ha lasciato particolari ricordi o emozioni degne di nota.
Sapete quanto leggete un libro e quello non è né un libro “odiato” o altamente problematico/criticabile nel senso di stile, vicende narrate, temi e tutto ciò che compone una storia, ma non è nemmeno un libro che vi è alla fine avete gradito, semplicemente finisce in quel limbo rappresentato dai libri considerati nella media, poi tra questi magari ci sono quelli non elettrizzanti ma che comunque vi hanno lasciato qualcosa e altri che invece non vi hanno lasciato nulla, avete letto quel libro, chiuso l’ultima pagina, lo avete riposto in libreria (o dato via in un qualche modo) e si è auto-cancellato dalla vostra memoria.
Ecco per me “Il Capitano Alatriste” è caduto dritto dritto in quel limbo, non è un libro scritto male o con una trama becera, con problemi vari riguardanti le tematiche o i personaggi, o tutti i vari problemi criticabili che un testo può avere, ma al tempo stesso per me non ha punti che lo fanno risaltare.
I personaggi sono interessanti, si perde troppo tempo volendo creare quasi subito una tela già finita per le caratteristiche di questi volendo inquadrare subito tutti i loro aspetti, però come prima opera mette in campo dei personaggi comunque apprezzabili sotto certi punti di vista, per cui il lettore può di certo provare curiosità.
La trama base ruota attorno ad un lavoro di Diego che ora, dopo la guerra, lavora su commissione diciamo come assassino o regolatore di conti nella maggior parte dei casi, ad esempio lui in caso di lotte fra amanti ha il ruolo di intimidire il rivale amoroso ecc.
Durante uno di questi lavori, svolto con un compagno che successivamente diverrà suo rivale, deve uccidere due giovani e diciamo che (senza voler fare troppi spoiler) questo lavoro diventerà più complicato del previsto anche per quando riguarda la sopravvivenza di Diego.
La trama non è malamente costruita, il problema è che tutto si risolve a pizza e fichi, una vicenda all’apparenza intricata si risolve velocemente con decisamente meno danni del previsto, durante la lettura è stato tutto così veloce che quasi non me ne sono accorta.
Il finale invece è il tipico finale di un primo libro, aperto a nuovi orizzonti.
Conclusioni
Insomma, è stata una lettura tutto sommato gradevole, ma come dicevo nella media, non ho trovato particolari aspetti di questo libro degni di nota o apprezzabili oltre al normale o almeno degni di essere citati come pregi, ma come dicevo non è nemmeno un testo spiacevole.
La vicenda centrale ha una sua risoluzione, ma questo libro sembra il primo capitolo di un libro con trenta e più capitoli, un primo approccio ad una vicenda più ampia.
Per me il voto generale è di tre stelline su cinque, perché di base è un buon testo a livello di personaggi e stile, a livello tecnico funziona, a livello di risoluzione, coinvolgimento e impatto sul lettore su di me non ha funzionato.
Voto:
E voi? Avete mai letto qualcosa di Reverte? Sì? No? Fatemi sapere!
Oggi torniamo a parlare, per via del libro attorno al quale ruota la recensione di oggi, di una poetessa e autrice di cui abbiamo già parlato su questi schermi, una figura amata dalla sottoscritta che torna ogni tot di tempo a farci visita qui, ovvero Sylvia Plath! Esatto, proprio lei.
Ne abbiamo parlato qualche mese fa con il famoso duo di articoli-biografia che potete trovare qui o nella sezione #PoetProfile.
Non ho mai pubblicato recensioni di testi letti per la preparazione di questi articoli o testi comunque inerenti a Sylvia Plath, ma Euforia non è una biografia, né un saggio, bensì un romanzo che mira a narrare la storia dell’ultimo anno di vita della Plath.
E’ stato un testo candidato al Premio Strega Europeo del 2022 e in generale ha avuto un successo direi medio, nel senso che è sbucato da qualche parte e se ne è parlato, ma di certo non è stato un testo che è esploso o è diventato “virale”.
Era la mia vita, il testo. Erano il mio corpo, la mia pelle, i miei polsi di un bianco luminoso a portarmi in bicicletta per il Devon. Quando incontravo qualcuno che conoscevo rabbrividivo, era come se i miei nervi e le mie vene formassero una rete sotto intorno al mio corpo, e il cuore era la mia bocca, era il cuore a parlare, lasciando uscire un “Salve!” se incrociavo la vicina (la moglie del direttore di banca) alla quale piaceva studiarmi per capire se ero normale. Il cuore batteva al centro di me stessa. La mia bocca. La mia bocca rossa. Ero io l’argomento, il motivo stesso, e allora come potevo allungarmi fuori di me e creare proprio quel motivo? Come potevo collocarmi lontano dal fulcro del motivo?
Trama
“Euforia” racconta l’ultimo anno di Sylvia Plath regalandoci l’indimenticabile ritratto di una mente brillante impegnata in una battaglia con il mondo, con le persone che ama e con se stessa. Quando il romanzo si apre, Sylvia, incinta del secondo figlio, è entusiasta all’idea della nuova avventura in cui lei e Ted Hughes si sono imbarcati insieme: ristrutturare una vecchia canonica lontano dalla grande città, crescere una famiglia in un regno tutto per loro. Prima dell’arrivo dei bambini Ted era il suo compagno in ogni cosa: da intellettuali vivevano intensamente la vita e ne prendevano ciò che volevano. Ma ora Ted scompare sempre più spesso nel suo studio per scrivere mentre Sylvia si ritrova abbandonata, un animale assediato dai suoi piccoli. Il suo desiderio è scrivere, amare, vivere, lasciare un segno nel mondo. Ma dove sarà la sua immortalità? Nei bambini che nutre con il suo corpo o nelle parole che appunta sulla pagina nei pochi momenti rubati? Quando Ted la abbandona definitivamente per andare dalla sua amante a Londra, Sylvia si scopre al contempo intossicata dal suo stesso potere e annientata dalla perdita. In questo stato di euforia, si sente sul punto di raggiungere il massimo dei suoi poteri creativi come scrittrice. Ha deciso di morire, ma l’arte a cui darà vita nelle sue ultime settimane infiammerà il suo nome.
Recensione
Dunque, come dicevo su questo blog abbiamo parlato ampiamente di Sylvia Plath e devo anche ammettere che io in primis sono probabilmente un poco rigida quando leggo romanzi basati sulla vita dell’autrice/rielaborazioni o esperimenti letterari di vario tipo che hanno comunque a che fare con la Plath, anche perché sono una grande estimatrice e ad oggi ho letto molti testi realmente scritti dalla Plath quindi realmente autobiografici (mi riferisco ai diari e alla sua corrispondenza) o scritti comunque da saggisti, biografi, persone vicine all’autrice nei suoi anni di vita.
Faccio questo discorso un poco delicato perché quando si parla della vita della Plath la prima cosa che può venire in mente è il fatto che l’autrice abbia vissuto una vita tragica per vari aspetti che sono sicuramente trapelati quando abbiamo parlato di lei nei due famosi articoli, quindi trovo che a volte si carichi molto questo aspetto (parlo sempre di testi ovviamente romanzati o reinterpretazioni), non voglio dire che Sylvia non abbia vissuto una esistenza tragica sotto molti aspetti, l’ha vissuta, ma secondo me quando si leggono testi romanzati su di lei è un attimo crollare nell’esagerazione o in un testo che comunque si focalizza solo su questo.
In questo testo l’autrice narra dell’ultimo anno di vita di Sylvia che è stato di certo costellato da delusioni, traumi e il ritorno anche della depressione, e il finale suicidio, ma leggendo questo libro di certo molto doloroso perché sentiamo la Sylvia Plath della Cullhed in un continuo stato di turbamento, rabbia, frustrazione e in generale direi inquietudine a tratti mi sono sentita un poco bombardata da questa voce reinterpretata dall’autrice di una grande poetessa come la Plath.
Parleremo meglio di questo aspetto nel corso della recensione, so che a molte persone questa caratteristica non ha dato particolare fastidio e va benissimo così, questa ovviamente è una mia opinione personale, però a tratti ho avvertito il voler cavalcare eccessivamente la parentesi legata all’instabilità anche psichica di Sylvia. Lei parla in prima persona in questo romanzo ed è un testo confessionale in cui si lascia andare a molti dubbi, insicurezze e ragionamenti sulla sua vita e su ciò che inizia ad incrinarsi piano fino ad esplodere.
Faccio questo discorso iniziale perché qui alla fine parliamo di questo, ovvero di un romanzo scritto modificando alcuni eventi essendo appunto un romanzo, in cui non sempre l’autrice è fedele, diciamo che aggiunge a volte una sua versione dei fatti e in questo non c’è nulla di male facendo parte del genere, ma come dicevo queste aggiunte sembrano sempre spingere sugli stessi punti, comunque ci arriveremo.
Stile, Ritmo e Atmosfere
L’autrice secondo me si butta in un esperimento, ovvero dare la voce a Sylvia cercando di entrare nella mente di questa e scrivere/esprimersi come si esprimerebbe (secondo l’autrice) Sylvia Plath, esperimento che una buona parte degli autori che scrivono biografie romanzate o simili tentano, ecco, la voce che emerge qui per alcuni tratti del romanzo può assomigliare a quella di Sylvia, non tanto in ciò che dice, ma per quanto riguarda la sfera mentale, quindi i pensieri che trapelano da questa Sylvia e il suo modo di vedere la realtà.
Ovviamente la Cullhed interpreta, come faccio anche io basandomi su ciò che ho letto della Plath e su una mia idea della sua personalità parlando di lei, comunque in altri tratti la voce di questa Sylvia mi è sembrata eccessiva come se l’autrice fosse entrata troppo dentro ad una sua idea della personalità di Sylvia.
E’ un discorso un poco complesso da fare, ma come dicevo è stata una lettura altalenante per me a livello sia di gradimento che di immersione nella voce di questa Plath.
Lo stile comunque dell’autrice è godibile, diretto direi perché Sylvia si esprime e pensa in modo diretto, anche a livello sessuale, ma la vera Plath era comunque una donna che rifletteva sulla sessualità, nei diari furono anche censurate varie pagine in cui parlava di sesso o fantasticava su questo.
Ci sono degli spunti interessanti nella scrittura della Cullhed, immagini suggestive ed evocative, sensazioni e modi di esprimere queste degni di nota.
Il ritmo generale del romanzo è medio, nel senso che essendo una biografia romanzata si prende i suoi tempi a tratti per arrivare ad eventi che segnarono irrimediabilmente la vita di Sylvia e il suo ultimo anno, quindi a tratti il libro diventa una spirale psichica autodistruttiva in cui la Plath pensa in modo ossessivo ad eventi o analizza sue paure che diventano un macigno e piano piano si va avanti con gli eventi.
Le atmosfere generali invece sono pesanti, ci sono anche momenti più rilassati e tranquilli in cui sembra di trovarsi con Sylvia in una giornata pacifica nel Devon però sono davvero parti minime, il romanzo si focalizza più che altro su l’ossessività dei pensieri di Sylvia che si ritrova in una realtà pesante da vivere e questo senso come dicevo, di pesantezza traspare parecchio dalle pagine, non saprei dire se è voluto dall’autrice oppure no.
“Ero straniera in quel paese, non avevano accolto molto bene le mie poesie, ma chi se ne importa, peggio per loro, avevo pensato, ho comunque la mia America.”
Un tassello in più?
Ero esaltata per la lettura di questo romanzo, anche perché ogni volta che esce un libro sulla Plath io in genere lo recupero sempre e questo sembrava davvero interessante. Tra l’altro da ciò che traspare finora da questa recensione sembra che io non abbia gradito questo romanzo, ma non è così, mi è piaciuto per certe caratteristiche e si vede che l’autrice ha fatto di tutto per entrare al suo meglio nella psiche di Sylvia e di immedesimarsi in lei e nella sua realtà, voglio credere anche per omaggiarla in primis.
Tra l’altro il fatto di aver omesso l’ultimo breve periodo di vita e il suicidio secondo me è stato un gesto di rispetto della Cullhed nei confronti di Sylvia, il non aver descritto il suo ultimo atto e in generale le ultime dure settimane della sua vita sono state scelte precise a mio vedere.
Il libro è questo quindi, un’altra versione secondo un’altra autrice di una parte della vita della poetessa, cosa aggiunge “Euforia” rispetto agli altri romanzi su di lei? Beh di sicuro va un poco di più nei dettagli e nei pensieri di questa Sylvia e aggiunge pezzetti qua e là inventati dall’autrice basandosi sempre comunque su fatti reali, diciamo che ci sono delle aggiunte ma non è nulla di deturpante.
Per il resto non aggiunge molto altro, è un romanzo che io consiglierei a chi magari sa già qualcosa sulla vita della poetessa, ma so che si sono molte persone che hanno letto questo romanzo senza conoscere bene la Plath e lo hanno gradito molto, quindi è adatto a tutti, ovvio se conoscete già la sua vita saprete distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è e ciò che sembra una esagerazione romanzata da ciò che probabilmente si avvicina di più alla realtà e a ciò che è stato.
Non è un compito facile scrivere un romanzo sulla Plath perché si rischia di parlare sempre degli stessi argomenti perché di libri sulla Plath ne sono usciti a bizzeffe e dobbiamo accettare il fatto che non sappiamo e non sapremo mai nella realtà cosa è accaduto davvero in alcuni momenti precisi della vita della poetessa, possiamo romanzare e ipotizzare, ma alcuni eventi restano e resteranno un mistero.
Quindi apprezzo il tentativo della Cullhed che di certo si salva, è un romanzo nella media secondo me, che fa riflettere anche su vari temi della vita che ha dovuto affrontare Sylvia, ma come lei molt* altr*, e affronta anche temi tabù oserei dire che non si vedono di solito in testi su di lei o in media in altri testi. Si fa leva soprattutto sulla sfera mentale che filtra tutto ciò che vive Sylvia in un modo a tratti ossessivo e man mano che si va avanti nel romanzo e si arriva ai suoi ultimi mesi, anche molto problematico e parecchio dispersivo.
Conclusioni
Tutto sommato a parte l’esagerazione di alcuni punti e il fatto che a lungo andare diventa un romanzo ripetitivo in cui l’autrice ha aggiunto eventi che danno un tocco di esagerazione in più su quella già presente, è un testo godibile che va nel profondo di una psiche che affronta eventi traumatici e crolli nella sua vita fino ad esplodere.
Il modo in cui viviamo assieme a Sylvia questi mesi di continuo stress e certezze che crollano è devastante, ma allo stesso tempo interessante per come l’autrice riesce a dipingere questo crescendo di crisi.
Tutto sommato è un romanzo che sono felice di aver letto.
Voto
E voi? Avete mai letto “Euforia”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!
Come state? Ci troviamo qui in un nuovo fine settimana per parlare del libro del giorno!
Oggi parliamo di “Teddy” di Jason Rekulak, un thriller paranormale che ha fatto molto parlare di se negli scorsi mesi, è un’uscita del settembre 2022 e devo dire che ora si vede decisamente meno in giro rispetto al botto delle settimane successive alla pubblicazione, ma ogni tanto viene ancora citato.
E’ un testo che di certo ha diviso e divide ancora i lettori, c’è chi lo ha amato alla follia e chi lo ha detestato ritenendolo a tratti privo di senso, con risoluzioni e sviluppi di trama discutibili.
Beh, dopo questa premessa direi che è il momento di darvi la mia opinione, parliamone!
Qualche anno fa ero praticamente al verde, e così mi offrii volontaria per un progetto di ricerca della University of Pennsylvania. Seguendo le indicazioni arrivai all’ospedale del campus, a West Philly, ed entrai in un grande auditorium pieno di donne, tutte tra i diciotto e i trentacinque anni. Non c’erano abbastanza posti e io arrivai tra le ultime, così dovetti sedermi, tremante, sul pavimento. C’erano caffè e ciambelle al cioccolato gratuiti, e un grosso televisore che trasmetteva The Price is Right, ma tutte quante guardavano il telefono. Sembrava di essere in coda per qualche ufficio, però ci pagavano un tanto all’ora e quindi avremmo aspettato volentieri anche tutto il giorno.
Trama
Teddy è un dolce bambino di cinque anni, intelligente e curioso, che ama disegnare qualsiasi cosa: gli alberi, gli animali, i genitori e, occasionalmente, anche la sua amica immaginaria, Anya, che dorme sotto il suo letto e gioca con lui quando è da solo. Ma ora a occuparsi di lui per tutta l’estate c’è Mallory, la nuova babysitter. I due si sono piaciuti fin dal primo incontro, tanto che il signor Maxwell non ha potuto opporsi all’assunzione della ragazza, che nonostante la giovane età ha dei difficili trascorsi con la droga. All’apparenza tutto è perfetto: i Maxwell sono gentili e comprensivi, la loro casa sembra uscita direttamente dalla copertina di una rivista e le giornate sono scandite da una routine serena, che comprende giochi, pisolini e bagni in piscina. Fino a quando i disegni di Teddy cominciano a cambiare, diventano sempre più strani, cupi, quasi macabri e rivelano un tratto decisamente troppo complesso per un bambino di quell’età. Che cosa sta succedendo? Per Teddy è colpa di Anya, è lei a dirgli cosa rappresentare e a guidare la sua mano. Qualcosa non va e, anche se può sembrare una follia, solo Mallory può scoprire la verità prima che sia troppo tardi. Un thriller che sconfina nel paranormale e che, grazie alla forza espressiva delle illustrazioni, vi sorprenderà, pagina dopo pagina, in un inquietante crescendo, fino all’imprevedibile colpo di scena finale.
Recensione
L’autore prima di dedicarsi alla scrittura, è stato, fino al 2018, l’editore di Quirk Books. Il suo romanzo d’esordio, I favolosi anni di Billy Marvin (Rizzoli, 2018) è stato tradotto in 12 lingue e nominato per un Edgar Award. Teddy è il suo secondo romanzo che presto diventerà una serie per Netflix.
Stile, Ritmo e Atmosfere
Allora, parliamo di un romanzo medio, nel senso che è un testo di 416 pagine, considerando anche il fatto che alcune non sono di testo bensì di illustrazioni prese dal blocco da disegno di Teddy appunto, questo bambino a cui la nostra Mallory deve fare da babysitter. Quindi per essere un testo medio scorre molto velocemente, anche perché lo stile di Rekulak è davvero scorrevole e fluido da leggere, di certo questo a mio avviso è uno dei tratti migliori del libro perché scorre che è una meraviglia ed è uno di quei casi in cui si dice sempre: “un altro capitolo, poi un altro e un altro ancora” e così facendo si legge metà testo in una serata.
Il libro è anche ambientato in tempi relativamente recenti quindi ci sono anche brevi accenni a fatti o tecnologie contemporanee insomma, senza contare il fatto che Mallory è una protagonista che ha a che fare con una serie di problematiche legate al suo passato, tra cui la sua precedente dipendenza da droghe e antidolorifici, la sua ancora in corso elaborazione del lutto e problematiche varie legate alla famiglia. Ciò per dire che sono vari i temi affrontati in queste pagine da Rekulak, senza contare quelle degli altri personaggi.
Quindi, lo stile funziona bene per un thriller, non spicca per caratteristiche particolari, funziona come veicolo di suspence per far arrivare il lettore alla fine.
Il ritmo direi che è constante, è un crescendo che porta fino alla risoluzione finale dell’enigma base del testo quindi il fatto che ad un certo punto durante il lavoro di Mallory come babysitter la ragazza inizi ad avere a che fare con strani disegni fatti da Teddy che non sembrano provenire dalla sua mano, ma da una mano decisamente più abile e grottesca perché il tenore di certi disegni è piuttosto macabro.
Le atmosfere generali devo dire che funzionano bene in alcuni punti soprattutto, ci sono frammenti di questo libro in cui si riesce a percepire il classico brivido sulla schiena, proprio per un insieme di fattori, il mistero, le presenze misteriose, il luogo in cui trova Mallory ecc. ecc.
Ciò che funziona e ciò che non funziona
Questo è un libro che mi ha fatto provare una serie di sensazioni e pensieri contrastanti a fine lettura, una parte di me ha sinceramente gradito la scorrevolezza e l’intrattenimento trovati in questo volume, un’altra parte si è chiesta più volte il perché di certe svolte di trama o plot twist o inserimenti vari di scene discutibili.
Devo dire anche che nonostante sia un testo veloce da leggere, ad un certo punto ho avvertito un senso di sazietà, sapete come quando avete mangiato tanto a tavola al pranzo di Natale e il prossimo boccone potrebbe farvi esplodere, ma lo mangiate comunque anche per far piacere a vostra madre che ha cucinato per ore? Ecco, c’è tanto in questo volume a livello di eventi, temi, svolte di trama varie da essere troppo a una certa.
Alcune persone, ho notato leggendo varie recensioni su Goodreads, hanno avuto dei problemi con alcune tematiche inserite nel libro o lasciate trapelare da alcuni personaggi, in particolare quella riguardante l’essere transgender, un’altra riguardante l’ateismo, un’altra il razzismo.
In realtà ci sono varie tematiche, oltre anche a quelle che ho citato, che non vengono esposte palesemente dall’autore, ma vengono fatte trapelare in modo subdolo in scene che vengono buttate lì come veicolo di avanzamento della trama, ma non vengono mai giustificate oppure viene data a queste una risoluzione davvero dozzinale e di poco conto.
Nel volume si parla di questa tematica (l’essere transgender), o meglio si accenna davvero brevemente, non si esplora più di tanto, ma è un tema che risulterà importante in funzione dello svolgimento della trama, ebbene a parte il trascinarla dentro la trama senza un senso logico, ma più come giustificazione di un evento appunto della trama, non sta molto in piedi a livello logico. Non posso scendere troppo nei particolari per non fare spoiler, ma vi dico che il modo in cui si usa questo tema, che dovrebbe essere una trovata originale a livello di risoluzione della vicenda, non sta molto in piedi a mio avviso. In più spunta in un contesto di violenza e sopraffazione e oltre che essere forzata e trattata in un modo che dire approssimativo è dire poco.
La critica riguardante l’ateismo ha a che fare con il fatto che i genitori di Teddy siano atei convinti e proibiscano a Mallory qualunque espressione religiosa in presenza del bambino, non si può parlare di religione dentro casa, o accennare minimamente a questa e i genitori di Teddy sono personaggi che vengono descritti fin dall’inizio come individui dubbi… diciamo, quindi l’autore lascia intendere che gli atei siano persone rigide, arrabbiate e astiose nei confronti della religione e in generale amanti della censura.
La tematica del razzismo invece riguarda un personaggio in particolare che è Mitzi, una vicina di casa di Mallory e della famiglia di Teddy che viene rappresentata come una hippy che fa uso di sostanze e contatta i morti, una figura aperta spiritualmente diciamo che però si esprime in modo pessimo facendo riferimento al razzismo.
Ci sono anche altri temi, alcuni di questi devo essere sincera, durante la lettura non mi sono saltati all’occhio, ho letto le scene incriminate, ma le ho interpretate più come una esaltazione di un cliché riguardante un certo personaggio più che come messaggio subdolo inserito dall’autore.
Parlando di cliché e personaggi, senza mai fare spoiler, penso sia intuibile il fatto che i personaggi da sospettare siano quelli a cui si pensa subito, certo magari all’inizio si ha un intuizione, ma non si è certi, però io non ho avvertito una particolare sorpresa nella scoperta finale che ha più strati però, infatti vengono dipanate varie risoluzioni a vari misteri alla fine.
Altri temi comunque invece saltano all’occhio perché sembrano forzati o come dicevo alcune scene vengono giustificate malamente oppure nemmeno giustificate, ci si aspetterebbe più commento da parte di Mallory che narra il tutto, invece viene accettata e basta la situazione.
Sicuramente è un testo che ha dei problemi a mio avviso, a livello anche di incastro e risoluzione, c’è la parentesi paranormale che penso sia gestita abbastanza bene anche se si sporca verso il finale, diventa un intrigo un po’ confuso.
I punti positivi sono l’atmosfera e la scorrevolezza, direi anche che fino ad un certo punto il lato paranormale ha dei lati originali e interessanti che, come ho detto in precedenza, funzionano bene.
Conclusioni
E’ un libro che io ho letto nell’arco di una finestra temporale ampia, ma non perché sia un libro lento o complesso da leggere, semplicemente perché l’ho messo da parte per un tot di tempo per focalizzarmi su altre letture, e alla fine sono stata felice di leggere soprattutto per l’essermi tolta la curiosità una volta per tutte.
E’ un thriller che sicuramente è stato aiutato anche dai social nella sua esplosione di fama, posso capire anche perché abbia avuto questo successo forse solo leggermente eccessivo, però come scritto anche sopra è un thriller scorrevole, originale per certi inserimenti, un tipo di lettura di intrattenimento.
Ma è anche un volume con tutti i problemi che ho elencato prima, senza parlare del fatto che uno degli aspetti, a mio avviso, più fastidiosi in un thriller è la risoluzione di certe parentesi con soluzioni discutibili o poco probabili, fattore presente in questo libro, purtroppo.
Voto:
E voi? Avete mai letto “Teddy”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!
Come state? Come siete arrivat* all’inizio di questo mese di maggio?
Oggi torniamo alle recensioni, finalmente dopo il periodo di semi-sparizione e l’attesa per la pubblicazione del famoso articolo su Sylvia Plath, torniamo sul nostro caro sentiero costellato di recensioni.
Parliamo di un libro che ho letto oramai qualche mese fa ed è un testo che ho citato anche nell’articolo dei libri da regalare a Natale, quindi ehm… sì, andiamo un poco indietro. Ero convinta tra l’altro di aver già pubblicato la recensione di questo testo, ma a quanto pare mi sbagliavo quindi bisogna rimediare il prima possibile, il libro in questione è L’Invenzione di Morel di A. B. Casares.
Oggi, su quest’isola, è avvenuto un miracolo. L’estate è arrivata in anticipo. Ho sistemato il letto vicino alla piscina e fatto il bagno fino a molto tardi. Impossibile dormire. Due o tre minuti all’asciutto erano sufficienti a trasformare in sudore l’acqua che doveva proteggermi dall’afa spaventosa. All’alba mi ha svegliato un fonografo. Non ho potuto tornare al museo per prendere le mie cose. Sono fuggito giù per le scarpate. Mi trovo nella zona delle paludi, a sud, tra piante acquatiche, furibondo per le zanzare, con il mare o sudici ruscelli fino alla vita, e mi accorgo di avere assurdamente anticipato la mia fuga.
Trama
“L’invenzione di Morel” è il romanzo più celebre di Adolfo Bioy Casares, uno dei narratori più originali della letteratura latinoamericana del Novecento. Pubblicato nel 1940, esce oggi in una nuova traduzione di Francesca Lazzarato, che ne ha curato anche la postfazione. Fortemente ispirato all’”Isola del dottor Moreau” di H.G. Wells e ai racconti di E.A. Poe, questo romanzo visionario narra le avventure di un fuggiasco che, sbarcato su un’isola deserta per evitare la condanna all’ergastolo, scopre di non essere solo come credeva. In bilico tra il terrore di essere identificato e la frustrazione per il desiderio di essere riconosciuto, il protagonista si ritrova sospeso tra realtà e irrealtà e inizia a seguire, osservare e spiare gli altri isolani. Sarà infine il misterioso Morel a fornirgli le chiavi di lettura di un mondo allucinatorio costituito da pura forma.
Recensione
Casares era un grande amico e collaboratore di Jorge Luis Borges, scrisse numerose storie con lui, sotto lo pseudonimo di Honorio Bustos Domecq.
L’Invenzione di Morel è l’opera più famosa di Casares, pubblicata per la prima volta nel 1940. A Bioy Casares sono stati conferiti numerosi premi e riconoscimenti, fra cui il Gran Premio de Honor della SADE (la Società Argentina degli Scrittori, 1975) e il Premio Miguel de Cervantes nel 1991.
Stile, Ritmo e Atmosfere
Lo stile utilizzato per questo romanzo è certamente diretto e personale, leggiamo direttamente dal diario di un uomo che narra della sua rocambolesca e particolare esperienza su un’isola, si trova su questa per dei problemi con la giustizia, infatti è un ricercato e per scappare da tutto decide di seguire il consiglio di un uomo incontrato per caso che gli suggerisce proprio di andare a vivere in solitaria in questo luogo all’apparenza disabitato.
Il tono della narrazione è quindi quello confidenziale e diretto di un individuo spaventato e solo che si lascia andare a riflessioni e considerazioni. E’ uno stile decisamente scorrevole però e direi che la narrazione prosegue ad un ritmo sostenuto, è pur sempre un romanzo di 133 pagine.
Le atmosfere sono legate a questo ambiente naturale e selvaggio, con elementi naturali molto forti, immagini di acqua, alberi, insetti, fango, vegetazione, ma con un tocco di mano umana, perché infatti su quest’isola (questo è proprio il fulcro dell’intera vicenda) al di sopra di una specie di collina ci sono delle costruzioni edificate dall’uomo.
L’atmosfera generale attraversa diversi stadi, abbiamo quello frenetico legato all’inizio alla fuga di quest’uomo, che racconta dell’idea di traferirsi su un’isola e della effettiva fuga quando è già in questo luogo, abbiamo poi quello della curiosità quando inizia a scoprire il luogo e queste costruzioni e questo tono di curiosità mista a inquietudine dura per una buona parte del romanzo in cui sia lui che il lettore cercano di capire il mistero di quest’isola. Successivamente abbiamo il lato più spaventoso e la risoluzione finale, insomma c’è un bel sali e scendi con questo testo.
Il romanzo perfetto
Questo romanzo, o racconto, viene descritto come perfetto a livello di struttura e incastro narrativo ed effettivamente è un testo senza dubbio completo e ben strutturato, che prende ispirazione dal famoso “L’Isola del Dottor Moreau” di H.G. Wells.
Quindi abbiamo a che fare con un narratore che fa una strana e curiosa scoperta, come dicevamo su questa collina scopre l’esistenza di strutture umane tra cui una cappella, un museo e una piscina. All’inizio si approccia a queste con cautela, anche perché sente voci e presenze umane da lontano quindi sa che c’è qualcuno oltre a lui in questo luogo e cerca di spiare queste persone da lontano, ma con il tempo si fa più audace e decide di tentare un approccio.
Il protagonista si lancia nel corteggiamento di una donna, che fa parte del gruppo di individui comparsi su questa collina, tenta e ritenta con questa donna, ma man mano che il tempo passa fa una scoperta piuttosto strana e inaspettata.
Diciamo che da parte del lettore si può arrivare a comprendere in parte il mistero prima della rivelazione che colpisce il protagonista, ho trovato invece il finale piuttosto sorprendente e inaspettato.
Secondo me “L’invenzione di Morel” è un libro che può piacere a molte persone perché ha tutti gli elementi per intrattenere e far riflettere, ma allo stesso tempo stupire e avvicinare il lettore alle disavventure di quest’uomo fuggito dalla legge per rincorrere una speranza di salvezza, senza considerare che la fuga dal carcere lo ha scaraventato in un altro carcere selvaggio e sperduto.
Sono tanti i temi inseriti da Casares, abbiamo il lato fantastico che si interseca con il selvaggio, il tema dell’immortalità, l’amore e la morte, ma anche la solitudine e il controllo.
Il famoso Morel del titolo è uno dei personaggi che compaiono su questa collina in compagnia della famosa donna di cui il nostro protagonista si innamora e lui con la sua invenzione hanno fortemente a che fare con il controllo di cui stavo parlando prima, controllo addirittura sulla vita e l’immortalità, un controllo che manca completamente al nostro fuggiasco che ha invano tentato di mettere assieme la sua vita e ricominciare, fallendo.
L’amore che il protagonista prova per una donna che di fatto non conosce e non risponde al suo corteggiamento lo tiene però lontano dalla solitudine in cui è caduto, sembra infatti che l’autore ricolleghi l’amore alla salvezza dalla solitudine, una solitudine in cui l’uomo non vuole e ha paura di ricadere, scappa da questa non accettando nemmeno la realtà, perdendo di nuovo il controllo sulla sua vita.
Di base, oltre a molti altri elementi, “L’invenzione di Morel” è anche la storia tragica di un uomo che per tutto il tempo fugge, dalla legge, dalla solitudine, dall’accettazione della realtà, dalla mortalità.
Parlando del lato fantastico e inquietante, che sono ciò che incuriosiscono maggiormente durante la lettura perché si vuole scoprire il mistero dietro a tutto, alcune persone hanno nel corso degli anni descritto questo testo aggiungendo anche un aspetto legato al terrore delle atmosfere e della vicenda. Di certo ha dei risvolti macabri e tragici, all’inizio è facile provare ansia con il protagonista per le scoperte che fa e che sembrano non avere una spiegazione logica, ma forse non aggiungerei “terrore” ai termini adatti per descrivere il libro.
Ma è sicuramente inquietante, in più il lato fantastico di cui stavamo parlando prende una piega più tecnica e logica andando avanti nella lettura, ma tutto il romanzo ha questa atmosfera generale di sospensione, come se il nostro protagonista, il luogo e queste persone fossero letteralmente ferme e immobili nel tempo.
Conclusioni
Di certo consiglio la lettura de “L’invenzione di Morel” anche per la struttura, la curiosità e la godibilità nella lettura, è un romanzo adatto anche a periodi di semi-blocco del lettore o periodi in cui si ha voglia di una lettura non troppo complessa perché magari si vive una situazione stressante, è una boccata di aria e avventura, anche per il luogo in cui il libro è ambientato.
Su di me non ha avuto un impatto così forte, ma la considero assolutamente una lettura piacevole, fa parte di quei volumi che ho gradito, ma non vanno oltre le tre stelline e mezzo, ma di certo è un romanzo ben costruito e ottimo sotto tutti i punti di vista.
Voto:
E voi? Avete mai letto “L’invenzione di Morel”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!
Come state? Come sta avanzando o per meglio dire “terminando” questo febbraio, dato che siamo già al 22 e io mi sento ancora al 2 di gennaio?
Sono sparita ultimamente perché la vita mi sta risucchiando in una spirale infinita di stanchezza e problemi vari da cui spero di uscire a breve o quantomeno di riemergere per poco, quindi se vi chiedete il perché della mia scarsa presenza sappiate che è da ricondurre ad un periodo particolarmente fastidioso, spero comunque di tornare il prima possibile ad essere più attiva.
Sono anche in una sottospecie di blocco del lettore, un po’ per scarsità di tempo e un po’ perché boh… vai a capire come funziona il mio cervello.
Oggi comunque parliamo finalmente di un libro di cui vi devo parlare da mesi e mesi, ho rimandato questo momento il più possibile, non per un motivo preciso, ma solo perché ho amato molto questo testo (che è anche comparso nella top five delle letture del 2022, qui) ed è un testo di cui non è facile anche perché per me non è stato quel tipo di amore folle e duraturo per tutto il tempo della lettura, ma ho dovuto raccogliere un poco le idee e comprendere meglio la mia esperienza di lettura.
Il testo in questione è La Quinta Stagione di N.K. Jemisin, il primo volume della trilogia della Terra Spezzata.
La Quinta Stagione – N.K. Jemisin
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 469
Genere: fantasy, fantasy epico, fantascienza, narrativa apocalittica
Tu sei lei. Lei è te. Sei Essun. Ricordi? La donna cui è morto il figlio. Sei un’orogena che vive nell’insignificante cittadina di Tirimo da dieci anni. Solo tre persone sanno che cosa sei e due di loro le hai messe al mondo tu. Bene. Ne rimane una sola che sa, ora. Sono dieci anni che vivi la vita più ordinaria possibile. Sei arrivata a Tirimo da altrove, ma agli abitanti della città non importa da dove o perché. Era evidente che fossi istruita, così sei diventata un’insegnante del nido locale per i bambini dai dieci ai tredici anni. Non sei né la migliore né la peggiore insegnante: quando se ne vanno, i bambini si dimenticano di te, però imparano.
Trama
E iniziata la stagione della fine. Con un’enorme frattura che percorre l’Immoto, l’unico continente del pianeta, da parte a parte, una faglia che sputa tanta cenere da oscurare il cielo per anni. O secoli. Comincia con la morte, con un figlio assassinato e una figlia scomparsa. Comincia con il tradimento e con ferite a lungo sopite che tornano a pulsare. L’Immoto è da sempre abituato alle catastrofi, alle terribili Quinte Stagioni che ne sconquassano periodicamente le viscere provocando sismi e sconvolgimenti climatici.
Quelle Stagioni che gli orogeni sono in grado di prevedere, controllare, provocare. Per questo sono temuti e odiati più della lunga e fredda notte; per questo vengono perseguitati, nascosti, uccisi; o, se sono fortunati, sono presi fin da piccoli e messi sotto la tutela di un Custode, nel Fulcro, e costretti a usare il loro potere per il bene del mondo. E in questa terra spezzata che si trovano a vivere Damaya, Essun e Syenite, tre orogene legate da un unico destino.
Recensione
La quinta stagione è stato acclamato dalla critica, venendo candidato a diversi dei premi principali del settore e aggiudicandosene la maggior parte. Ha vinto il premio Hugo per il miglior romanzo al 74° Worldcon nel 2016, lo Sputnik Award ed è stato candidato inoltre al premio Nebula per il miglior romanzo e al World Fantasy Award.
Stile, Ritmo e Atmosfere
Le atmosfere di questo primo volume della trilogia sono miste, da un clima apocalittico, ad uno stile distopico, ci sono un misto di scenari diversi attraverso i quali seguiamo i vari personaggi, le tre voci principali, Essun, Syenite e Damaya.
La storia è ambientata in questa terra chiamata Immoto, l’unico continente del pianeta, luogo in costante e violento mutamento. Tutto il mondo infatti è vittima di costanti cataclismi che danno vita a quella che viene appunto chiamata “La Quinta Stagione”, un periodo di durata variabile in cui tutto rischia l’estinzione.
Infatti questa famigerata “Quinta Stagione” da origine ad una serie di fenomeni più o meno distruttivi per la terra e gli esseri che ovviamente la popolano, eventi quali eruzioni vulcaniche, scosse sismiche, fenomeni atmosferici e altro tutti di una portata decisamente pesante, queste eruzioni vulcaniche ad esempio possono anche produrre quantità di ceneri tale da oscurare il sole per anni, e da tutto questo provengono stragi, epidemie, carestie e in generale una decimazione degli esseri umani.
Nel corso della storia si sono susseguite varie “Stagioni” e a causa di ciò il mondo è stato costretto a ricominciare molte volte da zero, o quasi da zero, ad esempio molto delle civiltà precedenti è andato distrutto, tranne alcune vestigia ancora presenti e visibili, come ad esempio questi giganti obelischi fluttuanti, che si spostano per i cieli e di cui nessuno conosce bene del tutto il funzionamento.
Questo per illustrarvi un poco il clima generale che si respira una volta che ci si immerge nella storia e in questo mondo, uno scenario che senza dubbio ci fa pensare anche al nostro mondo a cui viene trapiantato uno scenario apocalittico, quella di Jemisin è anche ad una critica rivolta ai problemi ambientali, ma anche alla discriminazione, alle classi sociali e in generale ad un mondo egoista che ha inaridito la Terra e la sua popolazione.
Le atmosfere in alcuni scenari sono senza dubbio pesanti, aride, manca umanità e stabilità in una terra in subbuglio.
Lo stile di Jemisin è decisamente godibile, è una autrice che sa scrivere senza dubbio, lo stile è accattivante, ma allo stesso tempo Jemisin sa scavare nei meandri della psiche umana e mette sotto i riflettori anche quei minimi gesti che ci fanno comprendere meglio un personaggio e un contesto. E’ uno stile che sa essere profondamente doloroso, come un coltello che scava nella carne, ma anche armonioso.
Il ritmo generale del testo non è sempre costante, c’è stato un punto, circa dopo la metà in cui ho faticato un poco, non saprei dire se per un breve distacco mio o per un rallentamento del ritmo che mi ha portato per alcuni istanti ad avvertire un certo peso durante la lettura, ma a parte questo punto mi sono goduta senza dubbio il testo.
La Distopiae le tre voci principali
Al centro dell’Immoto risiede la città di Yumenes, capitale di un vasto impero che è riuscito a sopravvivere per secoli alle Quinte Stagioni. Ci ritroviamo però all’interno di un impero basato su un severo regime assolutista, dittatoriale e intransigente, in cui l’individuo è completamente al servizio della comunità e vive per alimentare questa comunità servendola e rispettando le sue regole. All’interno di questa si sono create delle caste che dividono le persone basandosi sulla loro utilità.
L’impero ha anche numerose Com (comunità), che vanno dai piccoli villaggi a città, protette da mura e sempre pronte a chiudersi al mondo esterno per tentare di sopravvivere a un’eventuale Stagione. In questo mondo si segue fedelmente la Litodottrina, una vera e propria dottrina appunto, da seguire in caso di cataclisma che indica come ci si deve preparare e come ci si deve comportare in caso di Stagione.
In questo mondo ci sono sia esseri umani che orogeni, individui in grado di percepire i movimenti tellurici della crosta terrestre e hanno il potere di controllarli, capaci di prendere dall’ambiente l’energia sufficiente per controllare e placare determinati fenomeni, o all’opposto scatenarli. Gli orogeni potenti possono essere o un grande dono e un grande aiuto nella gestione di questi fenomeni o al contrario essere causa di enorme distruzione e devastazione perché possono letteralmente controllare il terreno.
Tra questi orogeni troviamo le protagoniste di questo libro, Essun, orogena che si finge una persona normale in un piccolo villaggio, il cui mondo piomba nella distruzione quando rincasando, trova il corpo esanime del proprio figlio ucciso dal padre, che ha intuito la natura orogena del figlio.
Non faccio spoiler perché questo accade davvero nelle prime pagine, da questo evento Essun inizia un lungo viaggio alla ricerca del compagno e assassino del figlio per vendicarsi, ma anche per ritrovare la figlia sparita, pensa rapita dal padre.
Damaya è una bambina che si è appena rivelata orogena e che viene salvata da un Guardiano (praticamente delle specie di controllori o carcerieri degli orogeni) che la porterà via dalla propria famiglia per portarla al Fulcro ed educarla come un orogena.
Syenite infine è un’orogena del Fulcro inviata in missione sotto la supervisione di Alabaster, un orogeno estremamente potente e dalla psiche piuttosto labile.
C’è un grande colpo di scena che ha a che fare con ognuna di queste voci, un “segreto” che si può iniziare ad intuire man mano che si avanza nel testo perché spuntano vari indizi, trovo comunque che questo incastro e questo tipo di struttura funzioni benissimo e sia gestita alla perfezione da Jemisin che con Essun infrange anche la quarta parete usando la seconda persona singolare.
In questo libro vengono trattati un’infinità di temi, che si legano ad ognuno di questi personaggi e ad altre figure che ruotano attorno a loro, potrei davvero compilare una lista infinita di tematiche che ritroviamo ne “La Quinta Stagione”, da quelle più evidenti come la morte e la distruzione a quelle che spuntano durante la lettura come il labile rapporto fra gli esseri umani in un mondo che vive costantemente sull’orlo della fine, e su come si affaccino gli esseri l’uno all’altro.
E’ un libro difficile da digerire, oscuro e pesante, con vari eventi traumatici per i personaggi che rimbalzano sul lettore, è uno di quei testi che vi da quella sensazione di aver vissuto mano nella mano con i personaggi durante tutti questi eventi negativi, di averli accompagnati e di aver quasi sentito il passaggio del tempo sulla vostra pelle.
Ci troviamo proiettati in tempi diversi, scenari diversi, un’alternanza di momenti traumatici a momenti quasi di pace in cui le persone si avvicinano e spunta quella scintilla di umanità che in questo mondo sembra quasi del tutto spenta.
Conclusioni
“La Quinta Stagione” è un testo massiccio, non tanto a livello di pagine, ma a livello di eventi, conoscenze e evoluzioni che viviamo assieme ai personaggi, ci ritroviamo con loro in questa specie di viaggio che si snoda in tempi diversi, ma sembra sempre proiettato ad un futuro incerto verso cui si avverte una speranza che però è molto flebile.
E’ un testo affascinante per la struttura, per i personaggi, per le tematiche, per il mondo che Jemisin ha creato e per il modo in cui riesce ad immergere e gestire tutto questo.
I personaggi sono veri, reali e non si fatica ad entrare in contatto con loro in modo profondo e sentito.
Devo darmi una mossa a leggere il secondo volume, perché inutile dirvi che il primo termina con quel classico finale tranciato che lascia parecchio in ballo.
Voto:
E voi? Avete mai letto “La Quinta Stagione”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!
Come state? Come avete trascorso questi primi giorni di febbraio?
Oggi parliamo di un libro che ho citato anche nei top five dei libri più belli del 2022 per me, ovvero Piranesi di Susanna Clarke. Una parte di me era convinta di aver già pubblicato una recensione a riguardo, ma questa parte era in errore perché cercandola nei meandri del blog non c’è, quindi nulla, era una convinzione falsa e tendeziosa.
E’ stata una pubblicazione del 2021 che io ho recuperato subito, appena uscita, perché mi attraeva molto dalla trama e ho sempre sentito tessere le lodi di Susanna Clarke, di cui in libreria ho anche Jonathan Strange e il Signor Norrell, ma ho aspettato il 2022 per leggerlo quando ormai era già esploso il fenomeno “Piranesi”, dato che di questo libro si è parlato molto e sempre bene da quello che ricordo.
Ma io direi di iniziare a parlarne subito, è giunto il suo momento!
Quando la Luna è sorta nel Terzo Salone Settentrionale sono andato nel Nono Vestibolo. ANNOTAZIONE PER IL PRIMO GIORNO DEL QUINTO MESE DELL’ANNO IN CUI L’ALBATROS E’ ARRIVATO NEI SALONI SUD-OCCIDENTALI. Quando la Luna è sorta nel Terzo Salone Settentrionale sono andato nel Nono Vestibolo per assistere alla congiunzione di tre Maree. E’ un evento che accade soltanto una volta ogni otto anni. Il Nono Vestibolo è un luogo straordinario per le tre grandi Scalinate che contiene. Lungo le sue Pareti corrono file di Statue di marmo, centinaia di Statue che si innalzano, un Livello dopo l’altro, fino a raggiungere vette lontanissime.
Trama
Piranesi vive nella Casa. Forse da sempre. Giorno dopo giorno ne esplora gli infiniti saloni, mentre nei suoi diari tiene traccia di tutte le meraviglie e i misteri che questo mondo labirintico custodisce. I corridoi abbandonati conducono in un vestibolo dopo l’altro, dove sono esposte migliaia di bellissime statue di marmo. Imponenti scalinate in rovina portano invece ai piani dove è troppo rischioso addentrarsi: fitte coltri di nubi nascondono allo sguardo il livello superiore, mentre delle maree imprevedibili che risalgono da chissà quali abissi sommergono i saloni inferiori. Ogni martedì e venerdì Piranesi si incontra con l’Altro per raccontargli le sue ultime scoperte. Quest’uomo enigmatico è l’unica persona con cui parla, perché i pochi che sono stati nella Casa prima di lui sono ora soltanto scheletri che si confondono tra il marmo. Improvvisamente appaiono dei messaggi misteriosi: qualcuno è arrivato nella Casa e sta cercando di mettersi in contatto proprio con Piranesi. Di chi si tratta? Lo studioso spera in un nuovo amico, mentre per l’Altro è solo una terribile minaccia. Piranesi legge e rilegge i suoi diari ma i ricordi non combaciano, il tempo sembra scorrere per conto proprio e l’Altro gli confonde solo le idee con le sue risposte sfuggenti. Piranesi adora la Casa, è la sua divinità protettrice e l’unica realtà di cui ha memoria. È disposto a tutto per proteggerla, ma il mondo che credeva di conoscere nasconde ancoratroppi segreti e sta diventando, suo malgrado, pericoloso.
Recensione
Il libro contiene numerosi riferimenti all’arte e alla letteratura. Il nome del protagonista è un omaggio a Giovanni Battista Piranesi, autore di una serie di incisioni immaginifiche dal titolo Carceri d’invenzione. L’aspetto della Casa è ispirato alle sue opere.
Stile, Ritmo e Atmosfere
Io partirei parlando delle atmosfere presenti in Piranesi, che sono sicuramente uno degli aspetti più affascinanti ed unici del romanzo. Infatti ci troviamo in questa casa enorme, che sembra ricoprire la superficie intera del mondo, da come viene descritta da Piranesi, sembra che il mondo sia questa casa, anzi Casa con la maiuscola dato che per il nostro protagonista è come se fosse una vera e propria entità.
Questo ambiente enorme, senza fine, viene descritto in parte da Piranesi che con il passare del tempo ha costruito una specie di cartina dei luoghi e dei saloni che si trovano in questa casa. Ogni salone è diverso e ha delle sue caratteristiche precise, ma in molti di questi luoghi sono presenti statue di diverso tipo, alcune raffiguranti animali e altre esseri mitologici, altre ancora esseri umani ecc. ecc.
L’ambiente che Susanna Clarke riesce a rappresentare sembra bianco, asettico, con queste statue eteree che sembrano le uniche presenze fisse in questo luogo assieme a Piranesi, come se fossero esseri che in un certo modo tengono compagnia ad un individuo solo.
Anche se scopriamo presto che in realtà Piranesi non è solo del tutto in questo luogo, ma ci arriveremo.
Tornando alle atmosfere questo è un romanzo di una bellezza surreale, sotto questo aspetto, se amate molto ad esempio immergervi in quello stile estetico che ricorda quasi un museo per la struttura dei luoghi, amerete queste atmosfere, con questi enormi saloni, queste maree che arrivano e inondano ogni volta i saloni situati al primo piano, mentre in altri a volte c’è nebbia o pioggia, proprio come se questa casa fosse strutturata in piani talmente vasti ed enormi da avere al loro interno fenomeni atmosferici come appunto la pioggia o la nebbia.
Ci sono però luoghi in questa casa che Piranesi non conosce anche perché per viaggiare da un salone all’altro a volte ci vogliono ore o giorni.
Il ritmo generale del romanzo è un crescendo, all’inizio seguiamo un individuo che sembra rinchiuso in uno schema dentro cui vive in modo piuttosto rigido ed è talmente abituato a seguire questo schema da non farsi nemmeno domande o da non avere dubbi quando inizia ad essere chiaro il fatto che ci sono molti misteri che si nascondono nella casa e che Piranesi all’inizio sembra voler intenzionalmente ignorare.
Andando avanti però Piranesi si rende sempre più conto del fatto che non può continuare ad ignorare aspetti della sua vita e della casa che non tornano, punti oscuri su cui bisogna indagare, quindi il ritmo iniziare ad essere costante fino a questa esplosione finale, per poi distendersi di nuovo. Penso sia un testo che ci mette un poco ad ingranare anche per farci entrare del tutto prima nel mondo di Piranesi e per portarci vicino a questo personaggio che dal mio punto di vista all’inizio fa di tutto per non scostarsi dalla sua vita di tutti i giorni.
Lo stile di Susanna Clarke è godibilissimo, è uno stile che fa avvicinare il lettore al protagonista perché capiamo le sue paure, avvertiamo il suo timori, ne comprendiamo la psiche, insomma è uno stile che ci accompagna anche in questo viaggio alla scoperta di Piranesi oltre che alla scoperta della casa e dei vari misteri.
“Allora te lo dirò. E’ cominciato quando ero giovane, sai. Sono sempre stato molto più brillante dei miei pari. La mia prima grande intuizione è stata quando mi sono reso conto di quanto il genere umano avesse perso. Una volta, uomini e donne erano capaci di trasformarsi in aquile e volare su distanze immense. Erano in comunione spirituale con i fiumi e le montagne e da loro ricevevano saggezza. Percepivano l’orbita delle stelle all’interno delle loro menti. I miei contemporanei non lo capivano. Tutti erano ammaliati dall’idea del progresso e credevano che qualsiasi cosa nuova dovesse essere superiore a ciò che era vecchio. Come se il merito fosse una funzione della cronologia! Ma secondo me la saggezza degli antichi non poteva essere semplicemente svanita. Niente svanisce e basta.[…]”
Un Personaggio e una Casa Indimenticabili
Ho amato tanto il personaggio di Piranesi, che di certo all’inizio può infastidire per questo suo voler vivere a tutti i costi ignorando aspetti che sembrano impossibile da ignorare, ma l’ho trovato un essere innocente, profondamente fragile in questo suo guscio di ruotine che si è creato, un individuo che si aggrappa a ciò che sa per non impazzire perché intorno a lui è nulla è certo.
All’interno della Casa comunque vive anche un altro individuo chiamato da Piranesi appunto “L’Altro”, un uomo che lui incontra ogni martedì e venerdì e al lettore è chiaro fin da subito che quest’uomo di approfitta in un certo di Piranesi e che senza dubbio sa molto di più rispetto a ciò che gli racconta. Ad un certo punto del romanzo Piranesi trova dei messaggi sparsi in giro per la casa e all’inizio crede che sia la casa stessa a voler comunicare con lui, ma ben presto diventa chiaro il fatto che potrebbe esserci anche un altro individuo nella casa e potrebbe non avere delle buone intenzioni.
Anche qui come per la recensione de “Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle” mi trovo costretta a frenare i polpastrelli per evitare di fare spoiler, ma tutto ciò che ho scritto si trova anche nella trama quindi non ho superato il confine.
Sta di fatto che andando avanti nel testo iniziano a palesarsi una serie di elementi che piano piano ci porteranno alla scoperto di un mistero che in parte, in una minima parte, si può intuire soprattutto per l’aspetto legato all’ambiente, ma per me è stata solo una piccola intuizione perché è senza dubbio un romanzo con un grande colpo di scena.
E’ un testo che contiene molti riferimenti artistici, mitologici, letterari, è un testo con atmosfere potenti e un protagonista assolutamente umano.
Una parte di me vorrebbe avere la possibilità di cancellare dalla mente il ricordo di aver letto questo romanzo, per poterlo rileggere come se fosse la prima volta e poter visitare questi luoghi da zero.
Sicuramente la casa è anche un luogo che esprime una certa solitudine, soprattutto all’inizio quando incontriamo Piranesi, ma sembra quasi un ambiente al di là del tempo e dello spazio, fin da subito, un luogo in cui tutto è imprigionato in una bolla in mezzo a queste statue, a questi ambienti pieni di arte e ricoperti da un velo di silenzio dove in sottofondo si sente lo scorrere dell’acqua ai piani inferiori… stupendo.
Ci sono di certo vari aspetti che arrivano ad intersecarsi in questo testo, abbiamo una parte mystery che si va ad unire a quella fantasy, c’è il mistero di questo famoso “Altro”, il mistero di questo universo/Casa, quello legato alla vera identità di Piranesi e alla sua storia e infine quello riguardante vari scheletri che Piranesi ha trovato in vari in luoghi della casa e a cui porta cibo e acqua.
Alla fine si può arrivare a apprezzare di più certi aspetti del romanzo rispetto ad altri, ma secondo me tutti arrivano a unirsi per creare un quadro finale perfettamente costruito.
Conclusioni
E’ un testo che ho inserito al secondo posto fra i libri preferiti del 2022 e mi sento di dire che potrebbe tranquillamente rientrare in una lista dei libri migliori degli ultimi anni, è già mirabile il fatto che nonostante siano passati vari mesi dalla lettura io ricordi ancora alla perfezione le sensazioni che ho provato in questi luoghi.
E’ un romanzo che all’inizio, al primissimo approccio, può avere un ritmo un poco lento, ma una volta avviato vi rapisce e non vi lascia più.
Voto:
E voi? Avete mai letto “Piranesi”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!
Partiamo oggi con la prima recensione del 2023, finalmente! E’ stato un inizio anno bello intenso e avrei voluto parlarvi già mesi fa di questo testo, che ho letto appunto nel 2022, ma l’importante è essere comunque qui con la nostra prima recensione dedicata ad un testo e poter finalmente parlare di questo acclamatissimo romanzo, sono felice di poter tornare a pieno ritmo.
E per voi, come sono state queste prime settimane del 2023?
Dunque, oggi parliamo de “Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle” di Stuart Turton, un romanzo di cui si è parlato parecchio, in tutti i luoghi e in tutti i laghi, e fiumi e torrenti, ovunque insomma.
La prima volta che ho affrontato questo testo mi sono ritrovata nel pieno fallimento e costretta al momentaneo abbandono, ma l’anno scorso mi sono convinta a riprenderlo in mano e dopo un poco di fatica iniziale sono riuscita a portarlo a termine.
Dimentico tutto tra un passo e l’altro. “Anna!” mi ritrovo a gridare, per poi chiudere la bocca di scatto, sorpreso. Ho il vuoto nel cervello. Non so chi sia Anna, né perché stia chiamando il suo nome. Non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare qui. Sono in un bosco, e mi proteggo gli occhi dalla pioggia sottile. Sento il cuore che batte all’impazzata. Puzzo di sudore e mi tremano le gambe. Devo aver corso, ma non ricordo perché. “Come ho…” mi interrompo nel vedere l’aspetto delle mie mani. Sono ossute e brutte. Le mani di un estraneo. Non le riconosco.
Trama
Blackheath House è una maestosa residenza di campagna cinta da migliaia di acri di foresta, una tenuta enorme che, nelle sue sale dagli stucchi sbrecciati dal tempo, è pronta ad accogliere gli invitati al ballo in maschera indetto da Lord Peter e Lady Helena Hardcastle. Gli ospiti sono membri dell’alta società, ufficiali, banchieri, medici ai quali è ben nota la tenuta degli Hardcastle. Diciannove anni prima erano tutti presenti al ricevimento in cui un tragico evento – la morte del giovane Thomas Hardcastle – ha segnato la storia della famiglia e della loro residenza, condannando entrambe a un inesorabile declino. Ora sono accorsi attratti dalla singolare circostanza di ritrovarsi di nuovo insieme, dalle sorprese promesse da Lord Peter per la serata, dai costumi bizzarri da indossare, dai fuochi d’artificio. Alle undici della sera, tuttavia, la morte torna a gettare i suoi dadi a Blackheath House. Nell’attimo in cui esplodono nell’aria i preannunciati fuochi d’artificio, Evelyn, la giovane e bella figlia di Lord Peter e Lady Helena, scivola lentamente nell’acqua del laghetto che orna il giardino antistante la casa. Morta, per un colpo di pistola al ventre. Un tragico decesso che non pone fine alle crudeli sorprese della festa. L’invito al ballo si rivela un gioco spietato, una trappola inaspettata per i convenuti a Blackheath House e per uno di loro in particolare: Aiden Bishop. Evelyn Hardcastle non morirà, infatti, una volta sola. Finché Aiden non risolverà il mistero della sua morte, la scena della caduta nell’acqua si ripeterà, incessantemente, giorno dopo giorno. E ogni volta si concluderà con il fatidico colpo di pistola. La sola via per porre fine a questo tragico gioco è identificare l’assassino. Ma, al sorgere di ogni nuovo giorno, Aiden si sveglia nel corpo di un ospite differente. E qualcuno è determinato a impedirgli di fuggire da Blackheath House…
Recensione
Se si esclude la componente fantastica, il romanzo ha caratteristiche christiane, con indizi precisi sparsi in (quasi) tutti i capitoli e un assassino da individuare; all’inizio è presente una dettagliata pianta della villa e dei terreni attorno ad essa; è inoltre presente l’elenco di tutti i personaggi. È strutturato in sessanta capitoli; quando l’identità del protagonista cambia, all’inizio del capitolo vi è appuntato il giorno in cui esso si svolge.
Stie, Ritmo e Atmosfere
Dunque, lo stile di Turton è piuttosto godibile a livello generale, certamente non è la caratteristica che spicca in questo testo e in alcuni segmenti l’ho trovato un poco prolisso, sopratutto nella parte iniziale del testo che penso sia quella più ostica proprio perché si può avere qualche difficoltà ad ingranare, e a tratti il ritmo sembra rallentare ed una conseguenza può essere appunto quella di perdere per un tot di pagine la concentrazione o l’interesse almeno per vari aspetti della vicenda.
In questo mystery c’è quell’aspetto legato alla parte iniziale in discesa/stallo rispetto al resto, nel senso che la partenza è intrigante ma man mano che si va avanti ci si immerge in un ritmo che rallenta un poco, però una volta ripreso il ritmo di certo torna l’interesse legato alla risoluzione finale e al mistero che è alla base del libro, ma in alcuni punti l’autore si prende il suo tempo, è un testo che procede con un ritmo tutto sommato lento, anche perché abbiamo molti personaggi e ci sono parecchi dettagli ed eventi da incastrare.
Le atmosfere del volume sono legate ad un senso più o meno costante di pericolo, fino alla fine il nostro protagonista che cambia ogni giorno corpo e identità è minacciato da fattori vari di ogni tipo, interni ed esterni, legati al corpo cui è legato in quel momento o alle persone che lo circondano e in tutto questo ha solo otto giorni di tempo per risolvere un mistero piuttosto intricato, senza contare il fatto che si gioca la libertà con altri individui.
Oltre al pericolo ci si sente costantemente intrappolati in una specie di ciclo infinito da cui non si sa come uscire, insomma queste atmosfere funzionano bene, ovviamente non sono sempre presenti, ma ci sono momenti in cui diventano parecchio intense, è un testo con uno sfondo claustrofobico.
I punti forti
Sicuramente uno dei punti di forza di questo romanzo è la struttura stessa e l’idea alla base di questa, il fatto che il nostro narratore salti ogni giorno da un corpo e un carattere all’altro, perché prende anche le caratteristiche caratteriali del personaggio di cui si “impossessa” e questo continuo salto sia effettivamente ben gestito dall’autore e non è un qualcosa di semplice anche perché i personaggi non sono pochi.
La struttura a primo acchito può sembrare parecchio intricata e complessa da imparare, perché il nostro narratore si risveglia il primo giorno in cui lo incontriamo nei panni di un certo Sebastian Bell, un dottore che sembra gestire traffici strani, questo Sebastian sembra non ricordare nulla di sé, del luogo in cui si trova e del perché si preoccupi di una certa Anna. Successivamente le cose inizieranno ad assumere contorni più definiti quando Bell incontrerà un certo individuo vestito da medico della peste, costui gli comunicherà le regole di questa specie di mistero/gioco in cui il narratore è uno dei tre individui che partecipano a questa sfida presenti in questo luogo, Blackheath House appunto, in cui è accaduto un fatto tragico ovvero un omicidio, quello di Evelyn Hardcastle.
Il narratore si ritroverà a vivere per otto giorni, in otto corpi diversi quello che di base è sempre lo stesso giorno, quello dell’omicidio. La vincita finale a questo gioco è la libertà del narratore che sembra appunto intrappolato in questo luogo in un loop senza fine.
Un altro aspetto interessante è il fatto che se una incarnazione per qualche motivo finisce fuori gioco, magari sviene, gli viene fatto del male o è momentaneamente non “disponibile” come corpo da abitare, la narrazione va comunque avanti e si passa all’incarnazione successiva, c’è questo continuo salto e a volte ad esempio al giorno sei viene ripresa l’incarnazione del giorno tre, perché magari quel personaggio era svenuto al giorno tre. So che può sembrare complessa come struttura, ma una volta che ci si prende la mano può scorrere più fluida.
Abbiamo quindi otto personaggi diversi per caratteristiche varie legate al fisico, alla personalità, alla posizione ecc. ecc. L’autore fa un gran bel lavoro sotto questo punto di vista perché riesce a dare ad ogni personaggio delle caratteristiche ben precise tenendo sempre quel qualcosa riconducibile al vero narratore che si nasconde sotto le spoglie del personaggio del giorno. Ognuno ha una sua voce e dei tratti distintivi precisi, ad esempio all’ottavo giorno incontriamo Gold che è un artista e nonostante arrivati a questo punto del libro il vero narratore sia in uno stato particolare, si riesce comunque a farsi una idea di Gold staccata dalla figura del narratore, come se avesse una sua personalità e non fosse solo un corpo e uno strumento che viene utilizzato.
Anche perché un’altra sfida del narratore è quella di rimanere fedele in un certo senso a i pochi ricordi che gli restano e non farsi trascinare dalle varie personalità di cui si impossessa.
Quindi la struttura e i personaggi sono di certo punti che vanno a favore dell’autore, sono a mio vedere ben riusciti.
I punti deboli
Ora, nei punti deboli vi dico subito che sarò molto generica purtroppo perché non volendo fare spoiler non posso dirvi quali sono gli aspetti precisi che non mi hanno convinta, perché sono punti molto specifici legati ad eventi importanti che si legano gli uni agli altri all’interno del testo e parlarne nel dettaglio vorrebbe dire spoilerare, quindi cercherò di prenderla alla larga.
Ci sono quei classici eventi in cui i personaggi si comportano in un modo che alla fine, conoscendo la risoluzione, scoprendo l’arcano mistero e guardando il quadro generale, non ha così senso.
Ad esempio c’è un personaggio che si muove in modo ravvicinato nei confronti di un altro personaggio che si nasconde sotto mentite spoglie, e questo non lo riconosce minimamente o comunque non nota nulla di diverso nonostante sia molto vicino a questo.
Oppure ancora, non si spiega perché guardando la spiegazione finale a queste specie di loop si tenta a favorire un personaggio rispetto ad un altro, quando entrambi sono persone pericolose.
Più generica di così non posso essere, me ne rendo conto.
Questo è un romanzo che da anche la possibilità alla fine di una libera interpretazione per quanto riguarda il genere, perché può cadere in un testo onirico/fantastico o in un distopico/fantascientifico, ci sono delle domande a cui non viene data nessuna risposta e certo questa è una scelta dell’autore per lasciare anche questa libera interpretazione, però io avrei gradito quanto meno qualche risposta in più.
Ho creduto per tutto il tempo ad un universo terreno, quindi pensavo fossimo in un luogo sulla Terra in cui (per un non ben specificato motivo) accade questo strano fatto del loop degli otto giorni fino alla risoluzione, ma in realtà il testo verso la fine (in un particolare dialogo che speravo fosse più esaustivo) apre un mondo anche ad altre possibilità non così legate alla realtà se vogliamo o ad un qualcosa di terreno e contemporaneo.
Il libro lascia il lettore con molte domande a cui si può provare a rispondere vagando con la fantasia, ma dopo 526 pagine, intrighi su intrighi, persone che sembrano essere realmente esistite (almeno nella realtà del romanzo), una vicenda che si pensa reale e su cui si attendono chiarimenti, io mi aspettavo qualche certezza in più, è forse troppo comodo alla fine sfregarsi le mani e dire: “Ok, adesso pensaci tu lettore e incastra le cose come vuoi”.
Conclusioni
E’ un testo che mi ha suscitato emozioni contrastanti perché se da una parte sono stata soddisfatta di essere finalmente riuscita a completare questa lettura, dall’altra parte mi sono ritrovata delusa per questo vuoto che ho avvertito nel finale e queste “scaglie” di eventi che alla fine non hanno senso nel quadro generale, anche se sono ben poca cosa rispetto a questa risoluzione traballante.
Ci sono stati dei momenti in cui ero decisamente dentro alla narrazione e verso la fine mi sono ritrovata a divorare il testo, leggendo le ultime 150 pagine alla velocità della luce, ma ci sono anche stati momenti tiepidi e deludenti.
Devo dire che la mia valutazione finale vaga tra le tre stelle e le tre stelle e mezzo.
Voto:
E voi? Avete mai letto “Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!
Come state? Come avete trascorso i precedenti giorni di festa? Avete assaporato a pieno l’atmosfera natalizia?
In questi giorni di transizione fra le feste natalizie e la fine dell’anno è finalmente arrivato il momento di parlare degli obbiettivi di lettura per il 2023, delle varie reading challenge e di fare un piccolo recap delle letture del 2022.
Adoro questa tipologia di articolo, ogni anno infatti mi piace mettermi qui e pensare un poco ai vari libri da leggere nell’anno successivo e valutare la situazione, poi non sempre mantengo gli obbiettivi, ma è bello comunque farli e immaginare le prossime letture.
Dunque, iniziamo con ordine parlando dell’anno attuale e di Goodreads, infatti ogni anno mi piace pensare a quanti libri leggere nell’anno seguente e impostare l’obbiettivo su Goodreads per poi vedere alla fine se sono riuscita oppure no a rispettare il numero, è un qualcosa che mi piace fare anche per automotivarmi, poi se va a buon fine bene, altrimenti bene comunque.
Nel 2021 mi ero imposta l’obbiettivo di leggere 60 libri nel 2022 e con mia grande sorpresa sono riuscita nell’intento, ad oggi 28 dicembre infatti ho letto 65 libri, potrebbero diventare 66 prima della fine dell’anno, ma non ne sono certa.
Mi ero anche fatta una tbr vera e propria di 30 libri selezionati dalla mia libreria tra quelli che risiedevano anche da più tempo sulle mie mensole, una tbr che ho tenuto per tutto l’anno tra i widget a destra nel blog e ogni volta che portavo a termine un titolo andavo ad inserire una piccola V. Ecco di questi 30 ne ho letti 12, è vero non sono neanche la metà, ma sono felice comunque perché da persona che solitamente fallisce in pieno nelle tbr almeno essere arrivata a 12 è un traguardo, poi alcuni di questi testi risiedevano davvero da anni in libreria in attesa di essere letti. Anche se io sono dell’idea che non ci sia assolutamente niente di male in questo, perché alla fine quando si ha un testo tra le file della libreria lo si legge al momento in cui ci si sente di volerlo leggere e va bene così, non scade insomma.
Revolutionary Road – R. Yates
Dracula – B. Stoker
Il Grande Divorzio. Un Sogno – C.S. Lewis
Abarat – C. Barker
Loney – A. M. Hurley
Un Inverno da Lupi – C. Ekback
Pomodori Verdi Fritti al Caffè di Whistle Stop – F. Flagg
Bunker Diary – K. Brooks
La Notte è un Luogo Solitario – B. Erskine
La Rabbia e L’Orgoglio – O. Fallaci
Il Bastardo – E. Caldwell
Il Violino Nero – M. Fermine
L’uomo che Voleva essere Colpevole – H. Stangerup
Red Dragon – T. Harris
L’incantatrice di Firenze – S. Rushdie
Il Deserto dei Tartari – D. Buzzati
Ognuno per Sè – B. Bainbridge
I Cavalieri – T. Winton
Sandman vol. 2 – scritto da N. Gaiman
L’ultima Lacrima – S. Benni SOSTITUITO con: Mattatoio n.5 di K. Vonnegut
La Psichiatra – W. Dorn
Mentre Morivo – W. Faulkner
Jack lo Squartatore, l’autobiografia – J. Carnac
Dieci Giorni in Manicomio – N. Bly
La Luna è dei Lupi – G. Festa
La vita è un’altra Cosa – J. Barth
Hap e Leonard vol. 1 – J.R. Lansdale
Al Faro – V. Woolf
Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle – S. Turton
La Figlia del Boia – O. Potzsch
Sono comunque felice per le letture del 2022, perché nonostante mi sia un poco scaricata verso la fine dell’anno, ho comunque letto libri che volevo leggere da anni, ad esempio “Dracula” o “Il Deserto dei Tartari”, ho letto testi meraviglioso quest’anno, altri deludenti, altri ancora a sorpresa perché sono state letture iniziate all’improvviso, ma alla fine è stato un anno che chiude senza dubbio in positivo.
Per il 2023 vorrei cambiare un pochino le cose, probabilmente da quello che posso già vedere oggi, il 2023 sarà un anno bello intenso e il mio obbiettivo non sarà la quantità, ma la qualità e non voglio innalzare troppo l’asticella a livello numerico.
Di conseguenza, il mio obbiettivo di lettura su Goodreads per il 2023 sarà di 30 libri, poi in caso dovessi superare questo numero sarà un piacere e una bella soddisfazione, ma per ora questo è l’obbiettivo.
Per quanto riguarda invece tbr specifiche come avevo fatto l’anno scorso seguendo ad esempio la “Sfida dello scaffale strabordante” di Sbarbine che Leggono, con qualche modifica, non penso di farne nessuna per il 2023, non mi sono fatta liste di libri specifici da voler leggere l’anno prossimo, forse le farò una o due volte nel corso dell’anno per periodi precisi o mesi precisi, ad esempio una tbr estiva o una tbr primaverile, ma non una annuale.
Ora, reading challenge, sono circa due anni che inserisco sempre qualche reading challenge in questa tipologia di articolo, ma alla fine non ne porto mai a termine nessuna e in più me ne dimentico appena inizia l’anno, questa volta mi unisco ancora una volta alla challenge di PopSugar, di cui adesso vedremo assieme i vari punti, con l’obbiettivo almeno di provarci perché ci sono punti molto interessanti che possono invogliare anche a leggere testi fuori dalla nostra “comfort zone”.
Guardiamo assieme i punti:
Un libro che avresti voluto leggere nel 2022
Un libro che hai comprato da una libreria indipendente
Un libro su una vacanza
Un libro di un autore esordiente
Un libro con creature mitiche
Un libro su una storia d’amore proibita
Un libro con la parola “Ragazza” (Girl) nel titolo
Un memoir di una celebrità
Un libro con un colore nel titolo
Un romance con personaggio principale formoso (fat lead) – Per questo punto sono stata un quarto d’ora a cercare migliaia di traduzioni, vedere video di altre persone che partecipano alla challenge e viaggiare nell’internet. Alla fine credo si intenda un romance appunto in cui uno dei personaggi principali è formoso diciamo, spero di aver compreso bene.
Un libro su o ambientato a Hollywood
Un libro pubblicato nella primavera del 2023
Un libro pubblicato l’anno in cui sei nat*
Una rivisitazione moderna di un classico
Un libro con il testo di una canzone come titolo
Un libro il cui nome del protagonista è nel titolo
Un libro con un triangolo amoroso
Un libro che è stato bandito o contestato in qualsiasi stato nel 2022
Un libro che soddisfa un precedente punto tuo preferito di una sfida passata
Un libro che diventerà un film o una serie tv nel 2023
Un libro ambientato nel decennio in cui sei nato
Un libro con un personaggio queer principale (queer lead)
Un libro con una mappa
Un libro con un coniglio in copertina
Un libro con solo testo in copertina
Il libro più breve (a livello di pagine) nella tua TBR
Una raccomandazione dal #BookTok
Un libro che hai comprato usato
Un libro consigliato da un tuo amico
Un libro che è sulla lista di un club del libro di una celebrità
Un libro su una famiglia
Un libro che esce nella seconda metà del 2023
Un libro su un atleta/sport
Un libro di fiction storica
Un libro sul divorzio
Un libro che pensi piacerebbe al tuo migliore amico
Un libro che avresti dovuto leggere a scuola
Un libro che hai letto più di 10 anni fa
Un libro che vorresti poter leggere di nuovo per la prima volta
Un libro di un autore con le tue stesse iniziali
Livello Avanzato
Un libro scritto durante NaNoWriMo
Un libro tratto da un famoso film
Un libro che si svolge interamente in un giorno
Un libro autopubblicato
Un libro nato come fan fiction
Un libro con un animale da compagnia
Un libro su una festività che non sia il Natale
Un libro con due lingue
Il libro più lungo (per pagine) nella tua lista TBR
Un libro con allitterazione nel titolo
Come ogni anno i punti sono 40 più 10 aggiuntivi che rappresentano un livello “avanzato”.
Bene, tra gli altri obbiettivi mi piacerebbe senza dubbio anche terminare “L’Armata dei Sonnambuli” di Wu Ming che ho iniziato qualche mese fa, è stato un libro per il gruppo, e non ho ancora terminato e vorrei anche concludere “Cromorama” di Falcinelli, sempre iniziato qualche settimana fa, ma che per mancanza di tempo durante queste feste non sono ancora riuscita a portare a termine.
Vorrei leggere almeno una decina di raccolte di poesie quest’anno, so che è un proposito che inserisco sempre, ma ci tengo ad andare avanti nella mia esplorazione di poeti vari italiani e non.
Facendo un piccolo riassunto per il 2023 ho scelto di restringere senza dubbio gli obbiettivi, che saranno leggere 30 libri minimo, terminare i libri in corso, leggere almeno una decina di raccolte di poesie e cercare di completare almeno in parte la challenge di PopSugar che trovo sempre molto divertente.
E voi? Quali sono i vostri progetti di lettura per il 2023? Parteciperete a qualche challenge? Fatemi sapere!
Ne approfitto per farvi gli auguri di un buon ultimo dell’anno, ci leggeremo il primo di gennaio per il libro del mese del gruppo, ma nel frattempo auguri, auguroni fra 3,2,1, buon ultimo dell’anno!
Dato che con tutta probabilità non ci leggeremo di nuovo prima di Natale, ne approfitto anche per farvi i miei auguri per una straordinaria Vigilia e un indimenticabile Natale, di sicuro avremo l’occasione di salutarci prima della fine dell’anno, ma per ora vi faccio i miei auguri per i prossimi giorni di festa!
Bene, ora direi che è il momento di parlare delle letture top del 2022, abbiamo infatti qualche giorno fa parlato dei testi flop/delusioni letterarie dell’anno e ora guardiamo al lato positivo di quest’anno di letture, i cinque testi più due menzioni onorevoli che ho amato di più nel corso del 2022.
Useremo lo stesso metodo del precedente articolo, quindi partiremo dalla quinta posizione per arrivare alla prima, quindi le prime posizioni sono dedicate ai titoli che più ho amato quest’anno, insomma nella mia perenne indecisione ho cercato di aggiungere un ulteriore ordine di gradimento anche se tutti i titoli qui presenti si sono meritati il posto nei libri migliori dell’anno per motivi diversi.
È iniziata la stagione della fine. Con un’enorme frattura che percorre l’Immoto, l’unico continente del pianeta, da parte a parte, una faglia che sputa tanta cenere da oscurare il cielo per anni. O secoli. Comincia con la morte, con un figlio assassinato e una figlia scomparsa. Comincia con il tradimento e con ferite a lungo sopite che tornano a pulsare.
Uhh che dire de “La Quinta Stagione”? Beh inizio con il dire che dobbiamo ancora parlarne in una recensione approfondita ma non temete perché arriverà presto, questo discorso vale sempre per tutti i libri qui presenti di cui non abbiamo ancora parlato per bene. Altro appunto che vorrei fare è che per qualche motivo, a me sconosciuto, al momento non è disponibile l’edizione cartacea del primo volume della trilogia a cui appartiene appunto “La Quinta Stagione” ovvero la trilogia della Terra Spezzata. Forse è momentaneamente sparito a causa di una riedizione o altro, comunque potete trovarlo in digitale e confido nel fatto che tornerà disponibile in futuro anche in cartaceo. Parlando ora del romanzo, ho deciso di inserirlo al quinto posto perché nonostante l’abbia gradito molto ci sono stati dei punti in cui ho faticato ad ingranare e non è un testo perfetto a livello di ritmo secondo me, però superato un certo punto problematico mi sono ripresa con la lettura e il resto del libro me lo sono goduta a pieno. Non è un romanzo dalle tematiche leggere, anzi, è un testo ambientato in un mondo fantasy completamente rimodellato rispetto al nostro, in cui esistono appunto queste fatidiche stagioni di cui ne esiste una quinta, da cui prende il titolo il romanzo, che ciclicamente stermina le popolazioni riformando persino lo strato terrestre. Seguiamo diversi personaggi e il romanzo è strutturato in modo da farci saltare in ogni capitolo da un personaggio all’altro, scoprendo man mano sempre di più sul passato di quell’individuo, sul perché si ritrova al presente in un certo tipo di situazione e in generale sulla sua personalità. E’ un testo che ci mostra personaggi decisamente in lotta con il mondo, con il loro passato e con loro stessi, personaggi traumatizzati da eventi terribili e funesti. E’ quel tipo di libro in cui ci si affeziona talmente tanto ai personaggi da vederli in carne ed ossa davanti agli occhi durante la lettura, in cui si finisce per soffrire e gioire assieme a loro. Il coinvolgimento è decisamente forte, come l’intreccio narrativo e la costruzione del mondo. Ottimo primo romanzo della trilogia, che tocca tematiche forti e riesce a caratterizzare a pieno i personaggi.
Pubblicato nel 1942, “Lo straniero” è un classico della letteratura contemporanea: protagonista è Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo. Un giorno, dopo un litigio, inesplicabilmente Meursault uccide un arabo. Viene arrestato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto – il processo e la condanna a morte – senza cercare giustificazioni, difese o menzogne. Meursault è un eroe “assurdo”, e la sua lucida coscienza del reale gli permette di giungere attraverso una logica esasperata alla verità di essere e di sentire.
Abbiamo recentemente parlato di questo romanzo (qui), di conseguenza cercherò di non perdermi a scriverne grandi cose perché trovate nella recensione la mia opinione più completa. Ho capito di amare profondamente Camus dopo aver letto “La Peste” e “Lo Straniero” appunto, di certo è entrato nella rosa dei miei autori preferiti. Lo Straniero è uno dei libri di punta dell’autore e viene spesso citato anche con il suo titolo originale in francese. Parla appunto di quest’uomo, Meursault, che viene condannato a morte in seguito all’omicidio di un uomo, il punto è che Meursault non sembra avere un reale movente e in più ci risulta fin da subito chiaro che l’uomo ha un approccio decisamente distaccato nei confronti della vita e degli altri. E’ un testo piuttosto breve, ma pregno di tematiche interessanti e caratteristiche ben costruite per una tipologia di personaggio che non si vede spesso, di certo non creato così bene. Il libro mette sul tavolo vari interrogativi, riflessioni e tematiche, tra le quali sicuramente la mancanza di empatia del protagonista e la sua visione della vita, ma non c’è solo la mancanza di empatia in lui, Meursault è una figura che vive secondo una sua scuola di pensiero in cui nulla ha davvero senso o importanza, c’è solo il presente, la routine che si ripete, la vita di tutti i giorni in cui ogni tanto succede qualcosa di diverso e lui cerca di vivere quel qualcosa senza mai essere troppo coinvolto emotivamente, ma non per scelta, è un qualcosa di insito in lui. Le cose accadono nella sua vita, ma il suo atteggiamento verso queste è piatto, sembra non riuscire ad entrare mai davvero in contatto con qualcuno o con una situazione, la vive sì, ma rimane indifferente a questa. “Lo Straniero” è un libro meraviglioso e profondamente interessante perché innesca una serie di riflessioni appunto sul modo in cui Meursault vive la vita, sulla sua personalità e i suoi atteggiamenti, ma non solo. E’ un testo che ci porta a riflettere su molte tematiche, una su tutte è quella legata al vero Meursault, estraneo a sé stesso.
Ai limiti del deserto, immersa in una sorta di stregata immobilità, sorge la Fortezza Bastiani, ultimo avamposto dell’Impero affacciato sulla frontiera con il grande Nord. È lì che il tenente Drogo consuma la propria esistenza nella vana attesa del nemico invasore. Che arriverà, ma troppo tardi per lui. Pubblicato nel 1940, “Il deserto dei Tartari” è “il libro della vita” di Dino Buzzati: nell’esistenza sospesa di Giovanni Drogo, infatti, i riti di un’aristocrazia militare decadente si mischiano a gerarchia, obbedienza e alla cieca osservanza di regolamenti superati e anacronistici. La sua storia è una «sintesi della sorte dell’uomo sulla Terra», il racconto «del destino dell’uomo medio» in attesa di «un’ora di gloria che continua ad allontanarsi», finché, ormai vecchio, si accorgerà «che questa sua aspirazione è andata buca». «Probabilmente» ha rivelato l’autore «tutto è nato nella redazione del “Corriere della Sera”, dal 1933 al 1939 ci ho lavorato tutte le notti, ed era un lavoro pesante e monotono, e i mesi passavano, passavano gli anni e io mi chiedevo se sarebbe andata avanti sempre così, se la grande occasione sarebbe venuta o no. Molto spesso avevo l’idea che quel tran-tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva». In questa edizione il testo è accompagnato dalla riproduzione di materiali inediti che permettono di ricostruire la genesi del romanzo e il suo percorso dalla pagina al grande schermo tra cambiamenti e finali diversi.
Anche di questo testo abbiamo già parlato in una recensione approfondita (qui) e confermo ciò che ho scritto in precedenza, ovvero che per me “Il Deserto dei Tartari” è un libro geniale. Tra l’altro non ho ancora compreso a pieno il potere che Buzzati ha su di me, ma vi garantisco che tutto quello che ho letto di Buzzati fino ad ora mi torna ciclicamente in mente, da quando ho letto questo libro mi ritrovo ogni tot di tempo a ripensare al buon vecchio Drogo che trascorre il suo tempo alla Fortezza Bastiani, allo scenario arido e solitario del deserto, all’attesa che aleggia come una presenza nascosta su tutti i presenti, insomma una volta letto è impossibile dimenticare “Il Deserto dei Tartari”. E’ un testo che di certo ha dei momenti di freno, in cui il ritmo rallenta, ma ciò ha un preciso senso pensando anche alla vita che fanno i nostri personaggi, alla vera essenza e significato del testo e alle atmosfere della Fortezza. E’ un libro che parla dell’attesa, del rimanere bloccati per paura di abbandonare un qualcosa che appena lasciato rischia di migliorare e rivelarsi come il miraggio di una vita, è un romanzo che tratta della paura del cambiamento, del voler rimanere aggrappati a ciò che si conosce in attesa di qualcosa che sembra sempre all’orizzonte. in dirittura di arrivo, ma nel frattempo i giorni passano, poi le settimane, i mesi e gli anni e si diventa assuefatti a ciò che si conosce. Meraviglioso.
Piranesi vive nella Casa. Forse da sempre. Giorno dopo giorno ne esplora gli infiniti saloni, mentre nei suoi diari tiene traccia di tutte le meraviglie e i misteri che questo mondo labirintico custodisce. I corridoi abbandonati conducono in un vestibolo dopo l’altro, dove sono esposte migliaia di bellissime statue di marmo. Imponenti scalinate in rovina portano invece ai piani dove è troppo rischioso addentrarsi: fitte coltri di nubi nascondono allo sguardo il livello superiore, mentre delle maree imprevedibili che risalgono da chissà quali abissi sommergono i saloni inferiori. Ogni martedì e venerdì Piranesi si incontra con l’Altro per raccontargli le sue ultime scoperte. Quest’uomo enigmatico è l’unica persona con cui parla, perché i pochi che sono stati nella Casa prima di lui sono ora soltanto scheletri che si confondono tra il marmo. Improvvisamente appaiono dei messaggi misteriosi: qualcuno è arrivato nella Casa e sta cercando di mettersi in contatto proprio con Piranesi. Di chi si tratta? Lo studioso spera in un nuovo amico, mentre per l’Altro è solo una terribile minaccia. Piranesi legge e rilegge i suoi diari ma i ricordi non combaciano, il tempo sembra scorrere per conto proprio e l’Altro gli confonde solo le idee con le sue risposte sfuggenti. Piranesi adora la Casa, è la sua divinità protettrice e l’unica realtà di cui ha memoria. È disposto a tutto per proteggerla, ma il mondo che credeva di conoscere nasconde ancora troppi segreti e sta diventando, suo malgrado, pericoloso.
Uhh leggere questo libro è stata un’esperienza! Dobbiamo ancora parlarne per bene e vi dico la verità, ho rimandato il momento della recensione perché non è un libro facile da descrivere, ha all’interno una grande quantità di tematiche e situazioni, “Piranesi” è un mondo a parte. Ma arriveremo a parlarne, il prima possibile, prometto. Comunque, mi aggrego al marasma di persone che hanno letto e amato questo testo, perché anche io ne sono rimasta completamente catturata. Come dicevo prima “Piranesi” è un mondo e quando ci entri dentro non puoi non rimanerne affascinat*, abbiamo scenari poetici e a tratti inquietanti, atmosfere solitarie e legate ad un senso di vuoto e smarrimento, perché anche se il nostro Piranesi conosce bene il mondo in cui abita sembra esserci sempre questo senso di enorme grandezza in cui è facile perdersi perché sia noi che il protagonista non sappiamo quanto è davvero grande questo mondo o quali sono i suoi confini. Leggendo “Piranesi” si ha quasi la sensazione di sentire costantemente il suono dell’acqua, gocce d’acqua che cadono, onde che sbattono all’interno di queste enormi stanze presenti in questo mondo, l’acqua è un elemento sempre presente che fa da sfondo a molte scene. E’ un testo che come il Giovanni Battista Piranesi, architetto italiano del 1700, ci porta a perderci in questo mondo labirintico che sembra a tratti uscito da uno dei sogni del vero Piranesi, soprattutto per il concept delle infinite stanze e del fatto che ognuna sembra avere delle caratteristiche precise. A parte l’aspetto legato al mondo comunque, il libro ha una trama molto interessante e accattivante legata al nostro protagonista con cui non si riesce a non entrare in sintonia, è forse il protagonista che ho più amato pensando a quelli che ho incontrato in quest’anno di letture. E’ un testo relativamente breve che contiene però un intero e affascinante mondo tutto da scoprire. Ad un certo punto del libro ci si inizia a concentrare maggiormente sulla parentesi legata al protagonista, ma anche qui si rimane affascinati dalla miriade di tematiche che Clarke riesce ad affrontare ed inserire. Un libro poetico e doloroso, enorme e trascinante.
La madre di James Ellroy venne assassinata in una tragica notte a El Monte quando lo scrittore aveva appena dieci anni. La trovarono dei ragazzini, riversa sulla schiena. Il coroner stabilì che era morta per asfissia dovuta a strangolamento mediante lacci. La polizia non scoprì mai chi fosse l’autore di quel brutale omicidio. Trentasei anni dopo Ellroy riapre l’indagine. Presa visione del fascicolo della polizia relativo a quel caso insoluto, lui stesso diventa investigatore per scoprire l’assassino. Con le fotografie del cadavere della madre davanti agli occhi fa della sua autobiografia un romanzo di una forza sorprendente. Costruire storie, prima immaginarie, poi autobiografiche ha permesso a questo grande scrittore di sopportare una realtà cruda e impietosa, di riscrivere le regole del noir, di salvare la figura di sua madre e se stesso dai successi più oscuri della propria coscienza.
Non poteva che essere “I Miei Luoghi Oscuri” il mio libro preferito del 2022, solo lui e sempre lui. Abbiamo già parlato di questo libro, vi lascio la recensione completa qui. Non è un libro perfetto e sicuramente non è un libro che può piacere a tutti, ci sono stati momenti in cui ho faticato nella lettura ed è anche un libro che ho letto in un lasso di tempo abbastanza ampio perché ho sentito il bisogno di prendere delle pause a tratti. Però, come ho scritto anche nella recensione, questo è quel classico esempio di libro che dopo aver letto senti dentro di te e non è una frase buttata lì apposta, avete presente quando leggete un testo e vi immergete talmente tanto nel tempo in cui è ambientato, nei personaggi presenti, nelle vicende, da sentire di aver letteralmente vissuto voi in primis quelle situazioni e quel tempo? E’ come se fosse un pezzo di vita ed esperienza che si aggiunge alla vostra senza che l’abbiate realmente vissuta a livello fisico. A me è successo esattamente questo con il testo di cui stiamo parlando. E’ un libro che parla tra l’altro di vicende realmente accadute a James Ellroy, è decisamente autobiografico come testo, e si concentra sull’omicidio della madre di Ellroy avvenuto quando lui aveva solo dieci anni. L’autore parla di questo, della sua crescita post perdita, del rapporto con il padre, della sua dipendenza da droga e alcool, in generale della sua adolescenza burrascosa, e torna in età adulta anche su ciò che accadde in quella notte tragica alla madre, investigando in prima persona sul suo omicidio e affrontando per la prima volta il suo trauma riguardante la morte della madre. Ma non solo perché Ellroy dipinge una dolorosa, ma necessaria parentesi di reale comprensione della personalità della madre che in realtà forse non aveva mai conosciuto, torna sulle origini di lei, cerca di scoprire chi era la madre prima di diventare Jean Ellroy madre di James Ellroy, il che è assai complicato da fare quando il genitore in questione viene a mancare, perché quando si cresce penso sia normale iniziare a farsi domande sull’identità pre genitoriale dei genitori e se si ha la possibilità queste domande si possono fare al diretto interessato, ma quando il genitore non c’è più e per tutta la vita si è rimasti bloccati su un’idea e un’idealizzazione fissa risulta difficile e destabilizzante. A parte questa profonda e dolorosa scoperta e ricerca della verità sulla madre, la comprensione e il perdono, in questo testo si parla molto anche di tanti altri casi di cronaca nera, alcuni davvero crudeli e tragici. Non è un libro facile da digerire, ma credo sia un testo che lascia un forte impatto soprattutto umano e tramite la vita di Ellroy si possono comprendere e analizzare tanti aspetti della vita di ognuno di noi.
Vorrei citare anche questi due testi perché meritano di rientrare nei top dell’anno, sto parlando del secondo volume della serie di Sandman, “Casa di Bambola” e “La Scala di Dioniso” di Luca di Fulvio.
Ho amato molto il secondo volume della serie, più del primo e del terzo, rimane per ora il mio preferito. Sto pian piano avanzando nella lettura della famosa serie di cui quest’anno tra l’altro è uscita anche una serie tv su Netflix, è una serie che narra di Morfeo, il dio dei sogni e degli incubi, ma non solo, ci sono molti altri personaggi, trame e sottotrame, ad esempio seguiamo anche la sorella di Morfeo, Morte, un personaggio magnetico e accattivante. Insomma è una serie decisamente ricca e questo secondo volume spicca per bellezza di trama e intrecci.
De “La Scala di Dioniso” abbiamo già parlato in una recensione approfondita quindi non mi dilungherò più di tanto. E’ il testo che mi ha fatto conoscere Luca di Fulvio che è già entrato nella cerchia dei miei autori italiani contemporanei preferiti. E’ un testo particolare per il mondo in cui è ambientato, decisamente cupo e noir, narra le vicende di questo ispettore che si ritrova trasferito in questo luogo dalle tinte decisamente oscure, una cittadina fiancheggiata da quartieri pregni di crimine e oscurità, è un testo decisamente ben riuscito a mio vedere per quanto riguarda la cupezza delle atmosfere. Il nostro eroe, con molti punti deboli, deve indagare su una serie di omicidi, anzi vere e proprie stragi in cui il serial killer sembra divertirsi a torturare le vittime e inscenare un quadro preciso della scena del crimine. Se vi piacciono i noir o le atmosfere vivide e cupe, le storie d’amore tormentate, i personaggi complessi e una scrittura che a tratti si prende i suoi tempi per farvi entrare a pieno nella storia, questo libro è perfetto per voi.
E voi? Quali sono stati i vostri libri top dell’anno? Fatemi sapere!
Eccomi tornata dopo questi giorni di assenza, vi chiedo scusa per la sparizione, ma questo periodo è piuttosto trafficato e impegnativo.
Proprio per questo motivo purtroppo anche quest’anno la maratona natalizia salterà, ma in realtà cercherò comunque di essere il più attiva possibile a dicembre anche perché dobbiamo parlare di libri natalizi, liste di libri, propositi per l’anno prossimo, libri migliori e peggiori dell’anno, uhh ne abbiamo di cose di cui parlare a dicembre!
Purtroppo negli ultimi due anni gli ultimi mesi sono sempre iper frettolosi e pesanti, ma questo non cambia il fatto che per chiudere l’anno dobbiamo ancora parlare di tanti libri.
Oggi, parliamo di un testo di cui vi avrei dovuto parlare mesi fa, è stato infatti il libro del gruppo di lettura per il mese di maggio e per qualche arcano motivo io ero convinta di avervi già parlato del libro in questione, ma era una pura illusione.
“Lo Straniero” di Camus è il secondo testo che mi sono ritrovata a leggere dell’autore dopo la lettura de “La Peste”, è un testo tradotto in quaranta lingue, da cui Luchino Visconti ha tratto nel 1967 l’omonimo film con Marcello Mastroianni.
Unanimemente considerato dai critici uno dei romanzi capitali della letteratura universale, diede immediata notorietà all’autore.
Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Non significa niente. Forse è stato ieri. L’ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l’autobus alle due e arriverò nel pomeriggio. Così farò la veglia e potrò tornare domani sera. Ho chiesto due giorni di permesso al principale, e con una scusa così non poteva rifiutarmeli. Però sembrava seccato. Gli ho anche detto: “Non è colpa mia.” Non ha risposto.
Trama
Pubblicato nel 1942, “Lo straniero” è un classico della letteratura contemporanea: protagonista è Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo. Un giorno, dopo un litigio, inesplicabilmente Meursault uccide un arabo. Viene arrestato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto – il processo e la condanna a morte – senza cercare giustificazioni, difese o menzogne. Meursault è un eroe “assurdo”, e la sua lucida coscienza del reale gli permette di giungere attraverso una logica esasperata alla verità di essere e di sentire. Un romanzo tradotto in quaranta lingue, da cui Luchino Visconti ha tratto nel 1967 l’omonimo film con Marcello Mastroianni.
Recensione
L’opera affronta vari interrogativi: chi sia Meursault – estraneo a sé stesso – un volgare assassino, un folle o un ribelle; quale significato abbiano il suo gesto e il suo comportamento. Camus racconta la storia di un delitto assurdo e denuncia l’assurdità di vivere e dell’ingiustizia universale.
Sono tematiche tipiche dell’esistenzialismo, eppure Camus non si considerò mai un esistenzialista.
Stile, Ritmo e Atmosfere
Lo stile di Camus in quest’opera è piuttosto diretto, asciutto dal punto di vista dei periodi, infatti le descrizioni o i pensieri del protagonista vengono sempre messi in scena in modo secco e magistrale perché anche in una frase brevissima siamo in grado già dalla prima riga di farci un’idea delle tematiche che affronterà l’autore e della psiche del protagonista.
Ad esempio: “Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so”, il modo in cui si apre il romanzo ci proietta in uno scenario già assurdo se vogliamo per il livello di cinismo e distacco emotivo dalla realtà che ha Meursault, uomo sempre impassibile di fronte alla vita e ai drammi, problemi e vicende a cui assiste.
La storia dell’uomo avanza in modo rapido, è un romanzo di 120 pagine in cui seguiamo il crollo della normalità nella vita di questo individuo che ad un certo punto commette un omicidio, tra l’altro la scena della violenza è una scena cardine della storia e rappresenta a pieno tutto il fulcro della personalità e della rappresentazione di Meursault, perché le ragioni per cui uccide quest’uomo e il modo in cui lo fa rappresentano in pieno la totale assenza di empatia, cinismo e indifferenza del nostro protagonista.
Le atmosfere ci riportano al senso di vuoto abissale nella psiche del protagonista, ma anche di ciò che lo circonda che lui vede attraverso uno strato all’apparenza normale, Meursault è all’apparenza un uomo normale, con una vita normale e capace di vivere in situazioni normali. Il problema giunge quando si cerca di andare oltre alla prima reazione o ad un sincero senso di empatia o interesse verso qualcuno che non sia lo stesso Meursault.
Quindi ci ritroviamo in mezzo a scene che danno la sensazione di essere vuote, in cui si avverte quasi freddo, come se fossimo in un asettico ambulatorio o in un obitorio, anche quando il protagonista è attorniato da altri personaggi c’è sempre questo senso di solitudine, isolamento, non appartenenza a ciò che lo circonda e a ciò che sta vivendo.
“All’apparenza Lo straniero sembra un libro estremamente semplice…”
Nel 1956, Carl Albert Viggiani analizzando l’opera ha scritto: “All’apparenza Lo straniero sembra un libro estremamente semplice ma scritto e pianificato molto attentamente. In realtà, è una creazione densa e ricca, piena di significati sconosciuti e qualità formali. Ci vorrebbe un libro almeno della lunghezza del romanzo per fare un’analisi completa del significato e della forma e le corrispondenze di significato e forma, ne Lo straniero.”
“Lo Straniero” è un libro all’apparenza semplice, a primo acchito ci ritroviamo davanti uno stile secco e pulito, un protagonista che ragiona in modo all’apparenza semplice e egoista, una vicenda che si incastra pezzo dopo pezzo con una conclusione definitiva.
Ma in realtà all’interno di questo libro e sotto questo velo di falsa semplicità c’è un cosmo di riflessioni che Camus sottopone al lettore rappresentando questo protagonista e i suoi movimenti.
“Mi sono sentito assalire dai ricordi di una vita che non mi apparteneva più, ma in cui avevo trovato le mie gioie più povere e più tenaci.”
Camus porta in scena una realtà senza dubbio triste e definitiva, non c’è redenzione per questo protagonista, questo muro di cinismo e mancanza di interesse, empatia e attenzione è ciò che muove il romanzo. Alcune scelte o azioni di Meursault non vengono mai spiegate, motivate in alcun modo e risultano ovviamente di difficile comprensione perché sorge spontaneo chiedersi come sia possibile fare quello che ha fatto il protagonista senza un motivo preciso, un movente.
Meursault intrattiene una relazione con Marie, donna per cui prova una forte attrazione, figura a cui pensa spesso in modo più che altro sessuale con un persistente desiderio di fondo, ma anche con lei si avverte questo muro come se l’uomo avesse delle pulsioni per lei senza mai andare oltre a livello sentimentale, c’è nella sua mente a tratti, ma torna sempre la vena egoistica intrinseca nella personalità di Meursault.
Nel romanzo lui incontra anche altri personaggi con vari problemi e drammi personali, si comporta con loro come un confidente, qualcuno di impassibile con cui parlare e su cui riversare tutti i problemi per sfogarsi, ma non conosce un limite, ad esempio lui uccide quest’uomo per cui poi finirà in prigione, perché collegato ad un amico/conoscente che per Mersault in realtà non ha un gran valore.
Sappiamo che l’uomo ucciderà questo individuo in modo piuttosto violento soprattutto per una sua indifferenza nei confronti della vita anche, sarà lui stesso a dire ad un certo punto: “Ma tutti sanno che la vita non vale la pena di essere vissuta.”
Questa frase è sicuramente un perno importante nella psicologia del protagonista per comprendere la sua visione del mondo e ragionare sulla totale assenza di motivazione e interesse nei confronti di tutto ciò che lo circonda, e questa è la base della personalità di Meursault, in ogni situazione anche quando sembra all’apparenza un individuo interessato e complice di qualcuno.
Per Meursault il mondo stesso è indifferente nei confronti dell’umanità e di tutto il resto, viviamo in un mondo fatto di indifferenza e per lui nessuno può arrogarsi il diritto di giudicarlo per le sue azioni, come nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare un altro uomo.
Conclusioni
Io non sono una persona da “è obbligatorio leggere questi libri nella vita”, ma per certi testi faccio un’eccezione e “Lo Straniero” di Camus rientra in queste eccezioni, ed è sicuramente un libro alienante, assurdo di primo acchito quando ancora non si è del tutto compresa la psiche del protagonista, ma a mio avviso è un romanzo che merita di essere esplorato almeno una volta nella vita proprio per lei riflessioni a cui porta il lettore e gli interrogativi che possono nascere assistendo alla vicenda di un uomo indifferente che è convinto di vivere in un mondo totalmente indifferente e a cosa questo può portare a livello di azioni e reazioni.
Voto:
E voi? Avete mai letto qualcosa di Camus? Si, no? Fatemi sapere!
"We’re all scared most of the time. Life would be lifeless if we weren’t. Be scared, and then jump into that fear. Again and again. Just remember to hold on to yourself while you do it.”
"Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito. Perché la lettura è un'immortalità all'indietro."