Il Cielo è dei Violenti – Flannery O’Connor

Buongiorno!

Come va? Come state? Come state affrontando questa fine di ottobre? E questo 31 del mese halloweenesco?

Oggi si torna con una nuova recensione, parliamo di un testo di cui (come al solito) desidero parlarvi da mesi, ovvero “Il Cielo è dei Violenti” di Flannery O’Connor.

Sono molto intrigata dalla O’Connor e ammetto di provare nei suoi confronti un senso generale di curiosità e ammirazione, questa è stata la mia prima lettura dell’autrice e devo dire che mi sono ritrovata davanti un libro molto diverso dalla aspettative.

Comunque, parliamone!

Il Cielo è dei Violenti – Flannery O’Connor

Casa editrice: Minimum Fax

Genere: narrativa contemporanea

Prezzo di Copertina: € 15,00

Prezzo ebook: € 8,99

Prima Pubblicazione (USA): 1960

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Lo zio di Francis Marion Tarwater era morto da appena mezza giornata quando il ragazzo si ubriacò troppo per finire di sca- vargli la fossa, e così toccò a un negro di nome Buford Munson, che era venuto a farsi riempire una brocca, completare l’opera, trascinando il cadavere dal tavolo della colazione dov’era ancora seduto per dargli una degna e cristiana sepoltura, piantando le insegne del Salvatore in testa alla tomba e ricoprendola di una quantità di terra sufficiente a evitare che i cani lo disseppellissero. Buford era arrivato pressappoco a mezzogiorno e quando se ne andò, al tramonto, il ragazzo, Tarwater, non era ancora tornato dalla distilleria.

Trama

Francis Marion Tarwater è stato costretto a crescere fin dall’età di quattro anni con il prozio Mason, un fanatico religioso che vive come un eremita nei boschi, è convinto di essere un profeta e ha sottratto il bambino al nipote Ryber, un maestro elementare che vive seguendo i dettami della ragione e della scienza. Quando Mason muore, Francis, ormai quattordicenne, torna a casa di Ryber, ma con una missione da compiere. Deve battezzare a ogni costo Bishop, il figlio del maestro, che a detta del prozio è nato «deficiente» per grazia divina. Comincia così una guerra senza esclusione di colpi, nella quale Ryber cerca in ogni modo di riportare Francis alla ragione e alla «normalità», mentre nella mente del ragazzo continuano a risuonare gli insegnamenti di Mason, e il richiamo di una fede tanto brutale quanto potente e liberatoria. Riproposto da minimum fax in una nuova traduzione a sessant’anni dalla sua pubblicazione, nel 1960, Il cielo è dei violenti è considerato una pietra miliare della letteratura americana: un esempio della sensibilità gotica e della potenza satirica che convergono nell’opera di Flannery O’Connor.

Recensione

Flannery O’Connor fu la principale esponente del genere gotico sudista, nelle sue opere si avverte l’impatto della sua forte fede cattolica.

Tra le sue opere più famose ci sono “Il Cielo è dei Violenti” appunto e “La Saggezza nel Sangue”, ma anche i suoi racconti e diari.

Trama, ritmo e atmosfera

È difficile parlare di un testo come “Il Cielo è dei Violenti”. Il primo punto che vorrei sottolineare è quello riguardante il fatto che secondo me (e per me, per la mia personale esperienza di lettura) non è stato per la prima parte un testo semplice da leggere. Forse mi ero fatta idee sbagliate sullo stile dell’autrice o forse pensavo mi sarei trovata davanti ad un testo con un piglio diverso, sta di fatto che la prima parte è stata un poco complessa. Non ho trovato lo stile dell’autrice particolarmente scorrevole e non lo dico in modo negativo. Lo stile della O’Connor non scorre a mio vedere in modo fluido ma ci si abitua al suo stile appunto dopo la prima parte, e risulta certamente più digeribile. Non è uno stile negativo o impossibile, solo più arzigogolato rispetto alle aspettative e sicuramente crudo e violento.

Alla fine posso dire di aver apprezzato la voce della O’Connor nonostante la difficoltà iniziale, ha un stile certamente riconoscibile.

Devo dire inoltre che io ho letto il libro in italiano (edizione Minimum Fax) non saprei dire riguardo allo stile originale della O’Connor togliendo la traduzione.

Il ritmo del testo è nella norma, non è un libro con picchi veloci o lenti, segue un buon ritmo, una buona narrazione. Seguiamo il protagonista che si interfaccia a varie situazioni in un crescendo di eventi.

Parlando infine delle atmosfere, abbiamo di certo vari contesti, da quello urbano in cui si ritrova catapultato il protagonista a quello più rurale in cui è cresciuto. Le atmosfere generali sono (come per il ritmo) un crescendo, nel senso che seguiamo Francis nella sua missione di battezzare Bishop, il figlio di Ryber per seguire quelli che sono stati gli insegnamenti di Mason, il prozio morto e fanatico religioso. Francis continua quindi con le sue convinzioni e missioni e lo farà fino a portare il tutto al crescendo finale appunto.

Il testo ha di certo atmosfere che non definirei leggere, si avverte sempre un sottofondo amaro, seguiamo questo ragazzino quattordicenne diviso fra la fede e la ragione, fra la razionalità e quella che è stata la sua vita fino a quel momento con il prozio morto. Si avverte il senso di confusione e perdita di Francis che sembra non saper dove andare nel mondo che lo circonda.

Temi

Il libro affronta varie tematiche, il conflitto fra la religione e la ragione, la violenza, la dannazione, ovviamente la crescita del protagonista in questo momento delicato e la perdita.

Perdita non tanto del prozio morto Mason, ma più degli insegnamenti conficcati a forza in Francis per anni, la perdita nel vedere questo ragazzino seguire dogmi che lo portano a determinati atti o scelte e da cui non riesce a distaccarsi.

Dobbiamo anche dire che la violenza è uno dei temi appunto del romanzo, simbolo di rinascita e salvezza ispirato a uno dei versetti del Vangelo.

Penso anche che questo sia un testo complesso da analizzare o interpretare, ognuno tende a dare la propria lettura anche in base alle proprie esperienze e idee forse sulla religione essendo questo un testo fortemente intriso di religione, non dimenticando appunto che la O’Connor era molto credente.

A parte il discorso religione comunque è un testo da cui si possono estrapolare mille e più interpretazioni non solo sulla religione ovviamente, si è portati a riflettere prima di tutto sul come si vive quando si seguono dogmi e dottrine così fortemente inculcate per anni da altri soprattutto in giovane età.

Il fatto che questo ragazzino, Francis, non riesca in nessuno modo a togliersi dalla testa la voce del prozio morto e i suoi insegnamenti nonostante la fatica compiuta dall’altro prozio Ryber, un insegnante elementare nipote del vecchio Mason è ciò che a mio vedere evoca questo senso di smarrimento e solitudine in Francis.

«Corrompeva ogni cosa che toccava», disse il maestro. «Ha vissuto una vita lunga e inutile ed è stato profondamente ingiusto con te. È un bene che sia morto, finalmente. Avresti potuto avere tutto e non hai avuto niente. Ora si cambia vita. Ora starai con qualcuno che saprà aiutarti e capirti». Aveva gli occhi lucenti di felicità. «Non è troppo tardi per fare di te un uomo!»
Il viso del ragazzo si incupì. La sua espressione diventò impenetrabile fino a trasformarsi in una fortezza eretta a protezione dei suoi pensieri; ma il maestro non notò alcun cambiamento. Guardò attraverso il ragazzo insignificante che aveva di fronte e vide ben chiaro nella sua mente, fin nei dettagli, quello che sarebbe diventato.

Flannery O’Connor per prima non amava molto coloro che criticavano o davano interpretazioni eccessive al testo, ad esempio scrisse questo ad un professore di inglese: “Un eccesso di interpretazione è senz’altro peggio che un difetto, e laddove manca la sensibilità per il racconto, non sarà certo la teoria a rimpiazzarla.”

A coloro che tendevano ad analizzare troppo o sostare eccessivamente sui suoi testi sentendo di non averli capiti diceva che lei sarebbe stata più contenta nel vederli leggere divertendosi e basta, senza farne ogni volta un problema, come scrisse ad una studentessa.

Francis

Francis è un protagonista dolceamaro, è normale dispiacersi per lui, un ragazzino cresciuto in questo modo rigido che non conosce una vita libera da determinati ragionamenti o ossessioni. Conosce Bishop, figlio down del prozio Ryber che sviluppa un attaccamento nei suoi confronti ma che lui in realtà vuole battezzare sempre secondo le credenze di Mason e lo farà alla fine, ma il tutto accadrà in modo tragico e amaro. Francis tornerà poi nel luogo che conosce e a cui ha dato fuoco.

“Il Cielo è dei Violenti” oltre alle battaglie che ritrae, bene e male, religione e scienza, violenza e non violenza è anche un testo sulla profonda solitudine dei personaggi presenti, soprattutto di Francis e Ryber, uomo che prova in tutti i modi a riportare Francis alla realtà ma che fallisce.

È un romanzo cupo, che mostra la disfatta di un uomo e di un ragazzino perso.

Conclusioni

Questo libro ha avuto un impatto su di me con il tempo, nei primi giorni dopo la lettura ho riflettuto parecchio anche perché il testo come dicevamo lascia spazio a molte riflessioni.

Non lo definirei un testo semplice ma forse come ha scritto anche l’autrice la via migliore per approcciarsi è leggerlo e basta senza riempirsi di riflessioni, analisi eccessive o altro, solo gustarsi la lettura.

Voto:

E voi? Avete letto “Il Cielo è dei Violenti”? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Il Villaggio Perduto – Camilla Sten

Eccoci qui!

Rieccomi! Come state? Come sono andate le ferie? Vi siete rilassati? Spero di sì!

Dunque, andiamo avanti con la catasta di recensioni che dobbiamo recuperare di libri di cui ancora vi devo parlare, ebbene sì, ho anche qualche in mente qualche idea per nuove e succose rubriche ma prima di tuffarci in queste vorrei almeno affrontare qualche recensione che attende da ormai troppo tempo.

Oggi parliamo de “Il Villaggio Perduto” di Camilla Sten, lettura del 2024 per me, testo di cui forse vi ho già accennato qualcosa qua e là.

Direi di non dilungarci, iniziamo!

Il Villaggio Perduto – Camilla Sten

Casa editrice: Fazi

Genere: thriller, suspance, thriller psicologico

Prezzo di Copertina: € 19,50

Prezzo ebook: € 9,99

Prima Pubblicazione (ITA): 2024

Link all’acquisto: QUI

Incipit

“Era un pomeriggio di agosto talmente soffocante che nepриre l’aria che entrava dai finestrini abbassati riusciva a mitigare la calura dentro l’abitacolo. Albin si era tolto il berretto e lasciava penzolare il braccio all’esterno, attento a non sfiorare con la mano la carrozzeria bollente. «Quanto manca?», tornò a chiedere a Gustaf. Gustaf gli rispose con un grugnito. Albin lo interpretò come un invito a consultare la mappa, se ci teneva tanto a saperlo. L’aveva già fatto. Non era mai stato nella cittadina verso cui erano diretti, troppo piccola per ospitare un ospedale e perfino una stazione di polizia. Era poco più grande di un villaggio. Silvertjärn.

Trama

Alice Lindstedt è una giovane regista di documentari costretta a barcamenarsi con la precarietà. C’è una storia, nascosta da qualche parte nelle crepe del passato, che la ossessiona da sempre. Nell’estate del 1959 il piccolo villaggio minerario di Silvertjärn è stato teatro di un evento inspiegabile: i suoi novecento abitanti sono svaniti nel nulla, lasciandosi dietro soltanto una città fantasma, il cadavere di una donna lapidata nella piazza del paese e una neonata di pochi giorni abbandonata sui banchi della scuola. Nonostante le indagini e le perlustrazioni a tappeto della polizia, non si è mai trovata alcuna traccia dei residenti, né alcun indizio sul loro destino. La nonna di Alice viveva nel villaggio, e tutta la sua famiglia è scomparsa insieme a loro. Le domande senza risposta sono troppe, e Alice decide di realizzare un documentario per ricostruire ciò che è realmente accaduto. Insieme a una troupe di amici si reca sul posto per i primi sopralluoghi: ben presto capiranno che non sarà così facile tornare indietro.

Recensione

Camilla Stan è nata in Svezia nel 1992 è la figlia della famosa scrittrice di gialli Viveca Sten. Ha scritto libri per ragazzi esordendo nella narrativa per adulti proprio con “Il Villaggio Perduto” nel 2024. Nel 2025 è uscito anche “L’erede” altro testo di genere thriller.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Dunque, lo stile di Camilla Stan è piuttosto godibile, direi assolutamente in linea con il genere a cui appartiene il libro. Riesce a creare questo clima generale di ansia e apprensione che funziona molto bene in un testo thriller che ti deve spingere avanti pagina dopo pagina. Non è ne troppo semplice nella scelta dei termini ne troppo aulico e complesso, c’è un buon mix, scorre bene e come dicevo, funziona.

Anche il ritmo è buono, non sempre lineare nel senso che è uno di quei testi in cui c’è un roller coaster di scene e rivelazioni/movimenti soprattutto nella parte finale in cui si salta un poco in giro su varie rivelazioni e dinamiche/scene. Ho apprezzato questo fattore che contribuisce a mio vedere a rendere il testo sempre attivo e entusiasmante per il lettore. Ovviamente ci sono momenti anche lenti, o meglio, in cui certe rivelazioni e collegamenti arrivano lentamente. È un sali-scendi a livello ritmico.

Le atmosfere secondo me sono il punto forte, l’aspetto più coinvolgente del testo. Anche perché siamo in un villaggio abbandonato, molte scene del libro si svolgono in una chiesa che sembra quasi maledetta e oscura, giriamo nelle abitazioni e nei luoghi lasciati a loro stessi e aleggia sempre questa nebbia di oscurità mista a mistero perché non sappiamo (come i personaggi) cosa è davvero accaduto in questo luogo.

Sappiamo solo che anni prima è stato esplorato questo villaggio in cui è stata trovata solo una donna lapidata nella piazza del paese e una neonata abbandonata, e basta. Nessuna traccia delle altre persone scomparse, nessun segno.

Quindi sono molto forti le vibes misteriose e oscure come dicevamo, anche perché ovviamente andando avanti con la lettura inizieranno ad emergere rivelazioni e punti ambigui della vita in questo villaggio poco prima della sparizione dei suoi abitanti.

Finale e Rivelazione

Ovviamente non parleremo nel dettaglio del finale, vorrei evitare spoiler anche se a volte non riesco a controllarmi e qualcosa mi sfugge. Ma perché dedico una sezione di questa recensione al finale e alla rivelazione? Perché è forse uno dei pochi punti che non mi hanno convinta del tutto, so che è stato criticato il finale e la risoluzione del mistero. Io ho apprezzato comunque la rivelazione, certo forse ci si poteva arrivare e mi rendo conto che non sia un colpo di scena di quelli che ti fanno ripensare alla tua intera esistenza, ma è coerente con la trama e con gli indizi che vengono presentati e per certi versi può stare in piedi, magari scricchiolando un pochino, ma può funzionare.

Ci sono però alcune scene nel finale che hanno fatto storcere il naso ad alcuni lettori di questo testo e anche a me, nonostante mi sia indubbiamente piaciuto e nonostante io senta di poter passare sopra a queste piccole “incongruenze/dinamiche un poco forzate”, sono comunque presenti e hanno a che fare con il fatto che alla fine quando il tutto viene rivelato scopriamo il volto dietro a certi atti e questa persona compie azioni non del tutto coerenti con alcune sue caratteristiche. Non posso dire altro senza fare spoiler, ma alcune scene pensando alle dinamiche sono forse un poco forzate

I personaggi e l’atmosfera

A mio avviso l’utilizzo di un luogo simile con una storia simile come scenario di un libro funziona a meraviglia, non si sbaglia con un luogo abbandonato, avrà sempre quel fascino decadente e tetro che piace, ed è come dicevo uno dei punti forti perché oltre al luogo capiamo presto che in questo villaggio sembra muoversi una (o più) presenza oscura, accadono fatti che hanno del paranormale e infatti fino ad un certo punto del volume si può anche vagliare questa opzione. Quindi sappiamo che i personaggi sono soli, isolati, in un luogo strano e cupo in cui si muove un qualcosa di sconosciuto.

Inoltre alcuni personaggi hanno un rapporto teso, dinamiche interne problematiche e questo accresce il livello di tensione. Abbiamo un gruppo di amici che si reca appunto in questo luogo per girare un documentario, il problema è che piano piano la situazione inizia a peggiorare, per problematiche varie e il gruppo si ritrova appunto isolato.

I personaggio a mio vedere sono ben costruiti, abbiamo chiare le loro dinamiche e sono figure che è facile seguire con interesse, non sono quelle macchiette di cui non ci importa nulla insomma.

Inoltre uno dei luoghi più inquietanti del villaggio è proprio la chiesa, che ha un ruolo molto importante anche nel comprendere il mistero, e dopo mesi di lettura nel mio cervello è rimasta impressa la descrizione del Cristo presente in questa chiesa che viene presentato non come una figura rassicurante o benevola, ma come una figura minacciosa, truce, con questi occhi quasi cattivi e torvi. Tra l’altro la chiesa diventerà proprio il campo base, il rifugio del gruppo che non si sente più sicuro ad un certo punto a dormire all’esterno.

La chiesa è presente anche in copertina ed è un collegamento alla trama base perché scopriremo solo in fase di lettura la sua importanza nel passato e nel presente.

Conclusioni

Questo thriller lo considero un testo assolutamente godibile, con una trama che tiene il lettore sul filo e in generale uno di quei testi che ti costringono a mangiare una pagina dopo l’altra. A parte qualche piccolo punto debole (come quello legato ad alcune scene nel finale) resta un testo perfetto per una lettura che riesce ad unire mistero, atmosfere tetre e rivelazioni oscure.

Lo consiglio assolutamente soprattutto se avete voglia di un libro carico di atmosfera e intrighi.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Camilla Sten? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A prestissimo!

Cadavere Squisito – Agustina Bazterrica

Eccoci qui!

Come state? Come sta andando questa vita burrascosa? Spero nel migliore dei modi, nonostante le burrasche!

*esce dal tugurio in cui è stata in questi mesi*

Beh che dire… ehm, è passato un po’ di tempo dall’ultima volta in cui ci siamo letti. Purtroppo la dura verità è che in questi mesi ho avuto a malapena il tempo per ricollegare i miei pensieri in modo logico, mi sono imbarcata per due mesi in un doppio lavoro che mi ha risucchiato tutto il tempo, problemi vari, solite questioni spinose ed eccomi qui. Ora la situazione sembra essere tornata, non dico alla normalità, ma più tranquilla.

Quindi riprendiamo in mano la situazione amici, è il momento di ripartire!

E sappiamo qual’è il modo migliore per farlo, con una bella recensione, ma non una recensione qualsiasi, quella del libro per me top del 2024 (sì dobbiamo ancora parlarne, sì lo so sono in ritardo), ovvero “Cadavere Squisito” di Agustina Bazterrica.

Vi ho fatto attendere anche troppo, via con la recensione!

Cadavere Squisito – Agustina Bazterrica

Casa Editrice: Eris

Genere: distopico

Prezzo di Copertina: € 16,00

Ebook non disponibile

Prima Pubblicazione: (ITA) 2024

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Mezzena. Storditore. Linea di macellazione. Lavaggio a spruzzo. Quelle parole gli si affacciano alla mente e lo colpiscono. Lo annientano. Ma non sono soltanto parole. Sono il sangue, l’odore acre, l’automatizzazione, l’assenza di pensiero. Irrompono nella notte, prendendolo alla sprovvista. Si sveglia col corpo bagnato da un velo di sudore perché sa che lo aspetta un altro giorno in cui dovrà macellare umani.

Trama

Marcos lavora nel mercato della carne da sempre, è un’attività di famiglia. Ma ora le cose sono cambiate, in modo radicale e irreversibile. Un virus ha attaccato gli animali, sia domestici che selvatici, per cui sono stati tutti sistematicamente abbattuti e la loro carne non può assolutamente essere consumata. Ora la carne che tratta è diversa, speciale, perché i governi di tutto il mondo hanno dovuto affrontare la situazione e hanno deciso di rendere legale l’allevamento, la produzione, la macellazione e la lavorazione della carne umana. Marcos si è dovuto adattare, cerca di non pensare a cosa fa per vivere, e fa del suo meglio per stare dietro a fornitori, clienti, ordini e consegne, perché deve pagare la casa di riposo in cui vive suo padre. E ora che sua moglie lo ha lasciato deve pensare a tutto da solo.

Recensione

Agustina Bazterrica è un’autrice argentina, ha pubblicato diversi testi e racconti brevi. “Cadavere Squisito” ha ricevuto un ottimo feedback soprattutto negli USA (ma anche in Italia), pubblicato con il titolo “Tender is the Flash” ha riscosso un ottimo successo.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Lo stile dell’autrice è scattante, caratterizzato da frasi brevi e d’impatto per la maggior parte, è uno stile decisamente crudo in cui vengono sempre utilizzati termini diretti, violenti. Alcune parole nel mondo distopico in cui ci troviamo sono state sostituite, ma sappiamo qual è il loro vero significato, è evidente. Ritengo complesso gestire uno stile simile senza risultare o troppo freddi o troppo veloci, è uno stile a cui io fatidico ad avvicinarmi di solito proprio per la brevità e per il continuo scatto. L’ autrice a mio vedere è riuscita a gestire la scrittura alla perfezione, questo stile è ottimo per il tipo di testo in questione, per una storia così cattiva e fredda funziona questo ritmo.

L’atmosfera generale del libro è cruda, fredda, asettica, fortemente collegata a quei laboratori dove si macellano essere umani, si avverte sempre quel brivido dietro al collo, quella sensazione di freddo nelle ossa. Si avverte anche questa sensazione generale di ipocrisia, dell’avere a che fare con persone senza umanità, di essere all’interno di un mondo perduto che si è decisamente spinto troppo oltre.

Il ritmo è veloce, direi che questo libro tiene il lettore sempre “vigile”, proprio per le frasi brevi, il tono scattante come dicevamo, le immagini nitide proposte, risulta tutto piuttosto diretto, senza fronzoli.

Leggendo il libro mi sono sentita quasi all’interno di un incubo, si entra in questa spirale da cui si fa fatica ad uscire perché ogni pagina tira l’altra, il testo alimenta questa curiosità di andare avanti, gettarsi in questo mondo malato.

La violenza

Questo testo è violento, punto e basta, non c’è molto altro da dire, pensiamo solo alla trama base, ovvero un mondo in cui gli esseri umani vengono macellati e allevati come gli animali, ci si aspetta ovviamente di ritrovare all’interno del testo concetti/scene violente. Questo è un punto criticato del romanzo, ho letto varie opinioni in cui veniva fortemente attaccato questo aspetto del libro, per molti la violenza è eccessiva, senza senso o inserita con la forza a tutti i costi.

Io non sono personalmente d’accordo, dobbiamo considerare il tipo di mondo in cui ci troviamo e il tipo di narrazione che l’autrice ci presenta. A mio vedere la dose di violenza serve proprio a farci entrare in questo mondo che è appunto privo di umanità, la violenza è la normalità, i personaggi sembrano abituati a questa, quindi anche a noi lettori arriva come un qualcosa di “normale” tanto è comune.

Ci sono scene piuttosto lunghe in cui vediamo umani macellati, ci vengono presentanti tutti i passaggi facenti parte della catena di allevamento e macellazione, si entra nei dettagli delle descrizioni, dei passaggi, e di certo può disgustare questa visione. Oltre ad una violenza sanguinosa e fisica c’è anche poi una violenza psicologica, questi umani che vengono letteralmente allevati come animali nascono e crescono per essere macellati ovviamente, quindi a loro vengono tagliate le corde vocali, vengono privati di qualunque cosa, non c’è il minimo pensiero nei confronti dei loro bisogni, della loro vita. Non sono più esseri umani per la società, sono letteralmente carne da macello.

E all’inizio del testo io ho faticato ad entrare in quest’ottica perché è un qualcosa di talmente aberrante e inumano da stordire quasi il lettore, tra l’altro le scene di violenza, omicidi e sesso vengono presentante in modo quasi maniacale, morboso, è tutto esaltato e si avverte un senso generale di marciume nei confronti del mondo presente in questo testo.

Le critiche smosse

Il testo contiene diverse critiche alla nostra società, di certo una critica al capitalismo piuttosto diretta, ma anche una critica ad una società priva di umanità e una critica legata al mondo degli allevamenti intensivi. Ci possono essere ovviamente anche altre critiche perché è un testo che contiene a mio avviso moltissimi spunti di riflessione, ma io vi ho citato le tre più palesi a mio vedere.

Ciò che mi ha colpito molto di questo libro, come ho accennato varie volte, è il senso generale di assenza di umanità, ma non solo nei confronti degli esseri umani macellati e allevati come bestie, anche tra gli esseri umani “normali”, ovvero quelli che conducono una vita all’apparenza ancora normale, come prima dell’epidemia che ha lanciato poi il mondo verso il cambiamento. Anche tra loro sembra mancare umanità, ad esempio il rapporto tra Marcos e la sorella è una prova evidente di ciò, ma non solo, ci sono vari punti nel testo in cui emerge questa cattiveria, questa crudeltà.

“Perché lo è. Ma è proprio questo il bello, che accettiamo i nostri eccessi, li normalizziamo, abbracciamo la nostra essenza primitiva.”

Gli esseri umani vengono trattati come bestie e sembrano bestie in questo romanzo, ci vengono mostrati nella loro natura egoista e spregevole, si mangiano tra loro, non hanno la minima considerazione per gli altri, pensano solo alla propria soddisfazione.

Marcos, il protagonista è senza dubbio un mistero in parte, perché non si rivela mai del tutto se non alla fine e ci sono forse dei piccoli dettagli che ci fanno capire che in realtà non è chi dice di essere, brevi frangenti in cui emerge la sua personalità. Marcos si riempie la bocca con parole in cui sembra credere, ma i suoi comportamenti non rispecchiano queste parole, ma non dico altro.

È curioso vedere come in un mondo portato allo stremo, un mondo che ci sembra vicino al collasso, le persone ci tengano ancora a mantenere una “facciata”, un livello di ipocrisia assurdo.

Conclusioni

Ho amato questo testo, e metto le mani avanti dicendo che è sicuramente un libro che può non piacere o essere adatto a tutti. Ho amato proprio il lato cattivo di questo mondo, non ricordo quand’è stata l’ultima volta in cui ho letto un libro così duro, freddo, senza speranza, ovviamente dico “amato” perché lo trovo ben fatto, questa rappresentazione funziona ed è agghiacciante. È un libro con innumerevoli spunti di riflessione, personaggi interessanti e verità che pesano come un macigno.

Voto:

E voi? Avete letto “Cadavere Squisito”? Sì, no? Vi è piaciuto?

Ci leggiamo presto, promesso!

Guida al Trattamento dei Vampiri per Casalinghe – Grady Hendrix

Buonasera!

Come va? Come sta andando questo settembre?

Per molte persone settembre è l’inizio dell’anno, si cambia registro da un giorno all’altro anche a livello di clima oserei dire e se fino a qualche tempo fa eravamo immersi nella nube di distacco da tutto (tipica di agosto) oggi si fatica a farsi una ragione per la fine anche di queste ferie, sì lo so, siamo a oltre metà mese, ma il ricordo brucia.

Comunque, da una parte è quasi rassicurante il ritorno alla routine, certo e stabile, come la morte e le soap opera su Canale 5.

Oggi si torna a bomba con una recensione, parliamo di un testo che mi sono decisa a riprendere in mano dopo averlo messo in pausa circa un anno fa (sempre per colpa del mio periodo di scarse letture). Mi ci sono immersa di nuovo ricominciando da capo per essere certa di non perdermi nulla.

Parliamo subito de “Guida al Trattamento dei Vampiri per Casalinghe” di Grady Hendrix!

Guida al Trattamento dei Vampiri per Casalinghe – Grady Hendrix

Casa editrice: Mondadori

Genere: horror

Prezzo di Copertina: € 21,00 (ed. Strade Blu) € 14,00 (ed. economica)

Prezzo ebook: € 7,99

Prima pubblicazione: 2020

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Nel 1988, George H.W. Bush aveva appena vinto le elezioni presidenziali invitando tutti a leggere il labiale mentre Michael Dukakis aveva perso facendosi fotografare a bordo di un carro armato. Il dottor Robinson era il papà d’America, Kate e Ellie erano le mamme d’America, le protagoniste di Cuori senza età erano le nonne d’America, McDonald’s aveva annunciato l’apertura del suo primo ristorante in Unione Sovietica e tutti compravano una copia di Dal Big Bang ai buchi neri di Stephen Hawking, senza però leggerla, Il fantasma dell’opera esordiva a Broadway e Patricia Campbell si preparava a morire.

Trama

Difficile la vita di Patricia Campbell: il marito è troppo impegnato col lavoro, i figli con le loro vicende, l’anziana suocera ha bisogno di cure costanti per cui Patricia è sempre in ritardo nel suo infinito elenco di faccende domestiche. La sua unica oasi felice è un gruppo di lettura, formato da donne unite dal comune amore per il true crime. Nei loro incontri, invece che di matrimoni, maternità e pettegolezzi, si parla della famiglia Manson. Ma un giorno James Harris, bello e misterioso, viene a vivere nello stesso quartiere di Charleston e si unisce al gruppo. James è un uomo sensibile, colto e fa sentire a Patricia cose che non provava da anni. Eppure c’è qualcosa di strano in lui: non ha un conto in banca, non esce durante il giorno e la suocera di Patricia sostiene di averlo conosciuto da ragazza. Quando i bambini di colore cominciano a scomparire senza che la polizia faccia nulla, in Patricia e nelle amiche si fa strada il sospetto che James sia un serial killer, ma nessuno al di fuori del gruppo ci crede. Sono loro ad aver letto troppi libri di true crime o quello che si aggira nelle loro case è un mostro vero?

Recensione

Questo era stato il libro per il mese di maggio (2023) del gruppo di lettura, LiberTiAmo, io lo avevo iniziato e vi dirò mi stava anche piacendo parecchio, ma per il fatto che il 2023 è stato un flop a livello di letture (anche e forse soprattutto per colpa mia diciamolo) e per il fatto che mi sono impuntata di voler leggere tutti i testi citati all’interno di questo libro prima di leggere il libro in questione… eh insomma, l’ho abbandonato. O meglio, messo in pausa con la ferma speranza di riprenderlo un domani.

L’ho ripreso in mano due mesi fa, a luglio, e in pochi giorni l’ho divorato.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Lo stile di Hendrix è decisamente scorrevole, direi che si concentra su ogni dettaglio con le tempistiche giuste senza mai eccedere. Capita a volte quando parliamo di un libro corposo (ma anche di un libro breve in certi casi) di avere la sensazione di star leggendo un testo con più pagine del dovuto, il classico pensiero “ci sono 50/100 pagine in più”, ci sono vicende in cui si nota la presenza di una lunghezza non necessaria. Non è questo il caso perché la storia di Patricia prende diverse pieghe e la storia che l’autore ci narra non è breve, ma ha tanti snodi. Questo non vuol dire comunque che una storia di base lineare o semplice non possa essere narrata in un libro di 700 pagine, dipende tutto da come lo si fa ovviamente.

Il ritmo è ben gestito, ci sono momenti della vicenda in cui rallenta e getta il lettore in uno stato di abbattimento perché desidera un movimento, e altri in cui l’autore mette il turbo (soprattutto in scene di tensione) e il battito accelera. C’è una scena in particolare che è una delle più agghiaccianti a mio vedere. Vi dirò, il libro è comunque un horror medio soprattutto se siete lettori che sguazzano da tempo già nel genere e non vi impressionate facilmente o comunque amate l’horror e leggete con frequenza testi di questo tipo. C’è qualche scena se vogliamo più horror o inquietante rispetto al tono generale, ma in linea di massima nulla di sconvolgente.

È il modo però in cui l’autore riesce a costruire la tensione che fa funzionare tante scene, l’occhio ai dettagli, le emozioni dei personaggi.

L’atmosfera generale infatti è variabile, abbiamo queste scene di amicizia e chiacchierate fra amiche, questo mood da gruppo di lettura fra casalinghe e quest’altra atmosfera di sottile inquietudine sempre presente, quando si avverte che qualcosa non va, che certi eventi o comportamenti nascondono altro.

Le tematiche affrontate

In questo libro ritroviamo una sfilza di tematiche che ci vengono presentate, l’amicizia femminile, il lavoro della casalinga e l’essere sottovalutata per questo lavoro, il tema dei mariti/uomini che sembrano non avere molta considerazione nei confronti delle loro mogli, c’è una buona dose di maschilismo in questo testo, l’essere considerata pazza, isterica, ma c’è anche il tema dello sconosciuto, dello straniero rappresentato da questo James, un uomo affascinante che entra quasi di prepotenza nella vita di Patricia e le fa terra bruciata attorno.

James è un personaggio molto interessante, perché ci viene presentato all’inizio come il nipote di una anziana signora recentemente defunta e vicina di Patricia (tra l’altro la nostra protagonista ha un ultimo incontro molto violento e strambo con questa signora), che pian piano inizia a chiedere favori a Patricia che in un primo momento è la prima a farsi avanti, più che altro per cortesia e perché le dispiace per la morte della parente.

Le cose man mano degenerano e Patricia iniziare ad avere dei sospetti su James perché nel frattempo in città (in una zona in particolare della città) stanno scomparendo dei bambini e alcuni sembrano comportarsi in modo strano.

James rappresenta lo “straniero”, l’elemento esterno che irrompe nella vita di una donna normale, una madre, una moglie, una casalinga piena di impegni e commissioni, con il suo gruppo di lettura e le sue chiacchierate fra amiche che a volte virano sulla cronaca nera e il true crime essendo loro appassionate di letture di questo genere.

Infatti c’è un collegamento che si crea con il titolo “Un Estraneo al Mio Fianco” (libro di Ann Rule in cui l’autrice racconta del suo rapporto con il serial killer Ted Bundy) e i primi sospetti che inizia ad avere Patricia su quest’uomo di cui alla fine non sa nulla di vero, la donna riflette, ricollega pezzi di discorsi e risposte dell’uomo per arrivare a capire inoltre che molte informazioni non sembrano vere, James si contraddice, mente.

James rappresenta anche il mostruoso, la minaccia, il nemico con cui sei costretta a convivere, l’elemento di cui non ti puoi fidare, sempre in agguato.

Non spoilero nulla se vi dico direttamente che James è la minaccia principale in questo libro perché si può intuire e anche nella trama che si trova in vari siti o all’interno stesso del libro non viene celata questa informazione.

Tra le tematiche citate sopra e a mio vedere maggiormente presenti c’è quella del sessismo e del maschilismo, ci sono momenti in cui questo libro diventa irritante proprio per scene di questo tipo da me interpretate come una scelta ben precisa dell’autore, che ha voluto mettere sotto i riflettori questo senso di superiorità dei mariti di queste donne nei loro confronti, l’autore tratteggia una realtà in cui questi uomini abusano delle mogli, mentalmente, fisicamente, e non danno loro credito per nulla. In particolare il marito di Patricia ad un certo punto del testo arriva persino a farla ricoverare nel reparto psichiatrico dove lavora lui e davanti ai loro bambini la umilia e ciò crea un profondo senso di odio in Patricia per lui.

Questo accade dopo un evento preciso, ma la parentesi dell’umiliazione e del trauma che questo padre non cerca di curare, ma anzi alimenta nei bambini solo per metterli contro alla madre è disgustoso.

Forse vi dirò che sono più forti e fastidiose determinate scene di sessismo che altre puramente horror.

Il libro si apre con la definizione presa dall’Oxford English Dictionary del 1971 per il termine “casalinga”, definita: “donna o ragazza superficiale, senza valore”.

Per me questa scelta di inserire questa determinata definizione all’inizio del testo è stato presagio di tematiche come il sessismo e il maschilismo, per questo dico che è una scelta dell’autore. Insisto su questo punto perché mi è capitato di leggere alcuni commenti in cui non era chiaro se queste tematiche fossero rappresentate appositamente oppure no.

Un altro tema è il razzismo, tematica rappresentata soprattutto dal personaggio di Miss Mary, donna di colore badante nella prima parte del libro della suocera di Patricia. Questa donna vive in una zona della città popolata soprattutto da afroamericani ed è palese il livello di razzismo e superficialità con cui viene trattata questa signora, le problematiche che affliggono queste persone e questa zona appunto citata che è tra l’altro il luogo dove stanno scomparendo questi bambini.

Patricia cerca di aiutarla e Miss Mary prova a fidarsi di lei, ma è oramai abituata a non essere ascoltata o considerata.

I personaggi principali e il punto finale della vicenda

Vorrei inoltre avvicinarmi alla fine di questa recensione parlando un secondo di più dei personaggi principali, faccio riferimento soprattutto a Patricia e a James.

James, come scritto sopra è il mostro, l’uomo che nasconde chiaramente grossi segreti, è anche però un personaggio sfuggente, molte volte non presente, va fuori città, si nasconde in casa, non si fa vedere.

Trovo però che riesca sempre in un modo o nell’altro a esserci senza essere per forza presente a livello fisico, Patricia fa spesso riferimento a lui, ci pensa, ne parla con altri, è la classica presenza fissa e mantiene bene quell’alone di mistero proprio per il suo essere sfuggente.

L’unico momento in cui cala il personaggio di James a mio vedere è nel finale, c’è una scena in cui si ritrova con le donne di queste club di lettura e assume un comportamento che spezza questa sua figura da villain.

Patricia invece è una donna normale come dicevamo, ligia alla sua famiglia e ai suoi doveri, una donna che non spezza le regole di solito, ma si convince di aver visto e di sapere qualcosa di importante e non può girarsi dell’altra parte, sente il bisogno di agire, vuole anche un po’ di brivido nella sua vita, come confida ad un’amica.

Patricia è comunque una donna con una forza interiore notevole, una determinazione potente, anche in momenti calanti dove sembra tutto negativo, sotto sotto resta fedele ai suoi sospetti.

La fine della vicenda è un poco velocizzata, alcuni personaggi prendono decisioni importanti, ma sembra tutto avanzare con una forte velocità, questo però riguarda proprio le ultime pagine, in generale direi che è un finale che funziona bene per gli eventi narrati.

Conclusioni

A me questo libro è piaciuto parecchio, di certo leggerò altro di Hendrix anche perché l’autore ha sempre uno stile e delle trame per i suoi testi molto accattivanti. Si assapora qui proprio l’America degli anni 80/90, l’atmosfera della vita tipica famigliare americana mista alla sfera horror, con vampiri, crimini, sangue, bambini rapiti…

È stata una lettura coinvolgente che mi dato un bello sprint!

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Hendrix? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

L’Acqua del Lago non è Mai Dolce – Giulia Caminito

Buon pomeriggio!

Come state? Come va la permanenza su questo pianeta in mezzo a queste cascate di calura? Siete persi nella goduria delle ferie estive oppure è già tutto finito e il ritorno alla routine non è mai stato così triste?

Allora, oggi riprendiamo le recensioni finalmente e parliamo anche di un libro che è stato il libro del mese di maggio per il gruppo di lettura, un libro che non vedevo l’ora di leggere, un libro di cui si è parlato per mesi, un libro che forse, forse è stato il mio primo vero step verso una ripresa dato che la lettura di questo testo mi ha fatto riaccendere il fuoco della piena lettura.

Parliamo de “L’Acqua del Lago non è mai Dolce” di Giulia Caminito un testo del 2021, vincitore del Premio Campiello 2021 appunto.

Io direi di iniziare a sbirciare in qualche info del testo di oggi prima di addentrarci come sempre nella recensione vera e propria.

Iniziamo!

L’Acqua del Lago non è Mai Dolce – Giulia Caminito

Casa editrice: Bompiani

Genere: narrativa

Prezzo di Copertina: € 14,00 (ed. economica)

Prezzo ebook: € 8,99

Prima pubblicazione: 2021

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Tutte le vite iniziano con una donna e così anche la mia, una donna con i capelli rossi che entra in una stanza e ha addosso un completo di lino, l’ha tirato fuori dall’armadio per l’occasione, se l’è comprato al banco di Porta Portese, il banco buono dei vestiti di marca ribassati, non quelli da poche lire, ma quelli con sopra il cartello: PREZZI VARI. La donna è mia madre e ha una valigetta di pelle nera stretta nella mano sinistra, si è fatta da sola la piega ai capelli, ha usato bigodini e lacca, ha gonfiato la frangetta con la spazzola, ha occhi verdi e gialli e tacchetti da cresima, lei entra e la stanza si fa piccola.

Trama

Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subìto Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un’esistenza priva di orizzonti.

Recensione

Questo libro è stato di certo un caso editoriale di cui si è parlato tanto, è il terzo romanzo di Giulia Caminito e oltre ad aver vinto il premio Campiello è entrato nella cinquina dei testi finalisti del Premio Strega 2021.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Come sempre io arrivo a festa già finita, perché ricordo un periodo in cui non si faceva altro che parlare di questo libro, iper venduto, iper reperibile nelle librerie, spuntava fuori da ogni pertugio, e io come al solito quando un testo va molto “di moda” o è comunque nel suo periodo di esplosione, mi volto dall’altra parte e preferisco aspettare che scenda l’hype e una volta sceso mi approccio timidamente a passettini.

Stavolta (come mi è capitato anche in altri casi) a fine lettura mi sono detta: “avrei potuto anche leggerlo prima”, ma ciò che è fatto è fatto, è arrivato al momento giusto.

Comunque, parlando dello stile Giulia Caminito mantiene per tutto il volume una tipologia di approccio stilistico piuttosto accattivante, emotivo, direi poetico a tratti nella sua durezza, perché abbiamo a che fare con personaggi, situazioni, luoghi, ambienti a volte rudi che mostrano una faccia cruda della realtà, nella sua connotazione anche più fredda e definitiva.

Lo stile riesce a rapire il lettore e a portarlo assieme a Gaia, la protagonista, nel suo mondo. Direi senza fronzoli, anche perché le vicende sono narrate in prima persona proprio da Gaia che è un personaggio pragmatico, anche chiuso emotivamente a tratti, ma non per questo lo stile è scarno o freddo, risulta comunque poetico come scritto sopra, perché Gaia è una brava osservatrice e anche se a volte i suoi comportamenti esterni con gli altri possono sembrare chiusi, interiormente è una ragazza sensibile e fragile.

“[…] io so occupare il mio spazio, l’ho imparato tra le mura di casa, che quando non smargini, quando stai al posto che t’è stato assegnato – uno scatolone, un armadio, un sottoletto – non sei di disturbo, non alzi polvere e tutti ti tollerano, evitano di prenderti a calci.”

Un tratto che non ho amato dello stile è il ripetersi di elenchi di descrizioni, un qualcosa in cui l’autrice cade spesso. Può funzionare bene all’inizio e non se ne sente troppo il peso, ma più si va avanti con la lettura e più questi elenchi si ripetono e il tutto diventa eccessivo a tratti, pesante oserei dire, vi faccio un esempio:

“Il mio banco, il mio astuccio, il bagno dove ci teniamo l’un l’altra la porta, il muretto, lo spazio che vogliamo marchiare della nostra umanità, rendere possesso ciò che è sconosciuto, spaventoso.” – “Si alza così una trincea, tra la me bambina che può sentirlo parlare nel sonno e la me donna che deve smettere di farlo, i nostri giochi separati, i nostri vestiti diversi, i poster appesi sul mio lato, le bandiere politiche sul suo, i letti con le lenzuola e le federe spaiate, ombre cinesi, lo vedo apparire e scomparire dietro alla stoffa, sembra una marionetta.” – “Io penso a lui e a quell’orologio che ha al polso che costa tre delle mie racchette, i ricci col gel, il motorino già promesso per i suoi quattordici anni, penso alle magliette coi loghi, agli occhiali da vista firmati, penso a quanto sono buoni i pasticcini allo zabaione che prepara sua madre, penso alla glassa rosa confetto e poi alla tovaglia a quadri di casa mia, il piatto rotto, le carote, i detersivi in offerta, Mariano che ora mi odia, vi vede solo dietro a una tenda, la tedesca che mi vietava di stare coi pesci, i cancelli rubati dai fascisti […]”

Qui sopra ho citato tre scene del libro in cui sono presenti questi elenchi di immagini, scene, descrizioni, oggetti, che a volte funzionano e non storpiano a mio vedere la narrazione e altre volte un po’ per la presenza eccessiva un po’ perché alcune scene descritte in questo modo funzionano peggio rispetto ad altre, storpiano.

Il ritmo del testo è piuttosto scorrevole, la narrazione non corre e non si adagia sugli allori, mantiene un ritmo equilibrato, in alcuni tratti o per alcuni concetti ci immergiamo maggiormente nei pensieri di Gaia e nelle sue emozioni, ma in generale è un testo ben gestito a livello ritmico.

Le atmosfere generali sono di pura realtà, di vita comune, sembra di essere assieme a Gaia nei suoi giorni più tristi e nei suoi giorni di cambiamento, seguiamo la vita di una ragazza normale, cresciuta in una famiglia povera, con un padre invalido, una madre dal carattere duro e spigoloso, a tratti aspro e inflessibile, che man mano va avanti con la sua vita in mezzo a difficoltà ed eventi che in un modo o nell’altro la plasmano e la rendono adulta. L’atmosfera è triste a tratti, malinconica, proprio come la realtà specialmente in momenti difficili e critici che di certo non mancano in questo testo e che accompagnano Gaia attraverso questi giorni normali che alla fine sono momenti di crescita e in men non si dica la nostra protagonista si ritrova adulta, senza accorgersene quasi e anche questa è realtà, il tempo che corre e si porta via tutto.

Una personalità complessa

Ho letto vari pareri su questo libro e ho scoperto che a vari lettori non ha convinto molto il personaggio di Gaia, a me personalmente è piaciuto, trovo sia ben costruito, ma di certo è una personalità intricata, non di facile comprensione e capisco che si possa arrivare a non apprezzarla o a non riuscire nella connessione con lei.

La seguiamo dall’infanzia alla prima giovinezza e abbiamo modo di vedere la sua evoluzione e i motivi dei suoi cambiamenti a livello comportamentale, vediamo come certi eventi accaduti in età infantile siano la conseguenza di certi atteggiamenti futuri e soprattutto di come il contesto in cui è nata e cresciuta finisca per impattare su di lei.

Gaia è una ragazza cresciuta in un contesto di povertà, con due fratelli più piccoli, uno più grande di quattro anni e varie amicizie nel corso del tempo che l’hanno più che altro ferita, il libro tocca diversi temi che hanno a che fare con le amicizie e la famiglia, anzi direi che sono proprio due delle tematiche principali.

Parlando di famiglia non possiamo non soffermarci un secondo sui genitori di Gaia, la madre Antonia e il padre Massimo. Antonia ci viene presentata fin da subito, Gaia ci parla immediatamente di lei, è una madre difficile, una figura che respinge e trattiene allo stesso tempo, una donna che ha sofferto, una figura che ha dovuto sempre lottare per avere anche la più piccola cosa. E Massimo è un uomo reso invalido da un incidente sul lavoro, ma dato che tale lavoro era in nero non ha mai ricevuto nessun soldo dall’assicurazione, e ora è paralizzato su una sedia a rotelle a vita. Ci appare come una figura rotta, spezzata dalla vita, quasi il fantasma di sé stesso, le continue lotte con Antonia sono conflitti che abbandona, la sua presenza nella vita dei figli diventa incostante e debole.

“Loro la alzano e la spostano di peso, la sollevano per braccia e gambe e allora la camicetta si apre e mostra un reggiseno senza ferretto, seni gonfi, la gonna si strappa e spuntano le sue mutande, mia madre ha già fatto a brandelli il vestito buono e scalcia e grida, come fiera spietata. E io è come se fossi lì, in piedi, a guardarla dall’angolo della stanza, la giudico e non la perdono.”

Vediamo vari personaggi incrociare il cammino di Gaia, amiche e amici, fidanzanti, parenti ed emerge molto spesso un lato della sua personalità come scritto anche sopra, non emotivamente aperto, forse è proprio questo l’aspetto che mi ha fatto apprezzare il personaggio, il suo essere così dura all’apparenza, una figura che sembra sempre avere il controllo sulle sue emozioni e sulle sue azioni, ma che in realtà (abbiamo modo di incrociare questo lato del suo carattere varie volte nel corso del libro) si lascia andare anche a scatti d’ira, azioni dannose dettate dalla rabbia, reazioni violente. Gaia è come una diga che si rompe, trattiene, si mette comoda e pensa di poter sopportare, digerire un evento, ma quando questo evento diventa troppo per lei non riesce a rispondere in modo logico o calmo, esplode.

Questa esplosione però non è solo la conseguenza di quell’evento, ma di altri eventi, un sovraccarico di emozioni che le piombano addosso.

E nel corso del libro, in momenti diversi e per motivi diversi (tenete conto del fatto che non voglio spoilerare quindi cerco di essere il più generica possibile) Gaia esplode perché la vita ti porta al punto di rottura e ti porta anche a non farcela a volte, questo è un testo che rappresenta una vita normale anche nel suo senso più fallimentare, non sempre c’è il successo, non sempre dopo la fatica c’è la soddisfazione, non sempre dopo il dolore c’è la gioia, a volte c’è solo lo scegliere la variante meno brutta.

Gaia fatica, soffre, studia, cresce, ma arriva al punto in cui quando è il momento di spiccare il volo, di avere un qualcosa in mano, di riuscire, lei non riesce. E questa in realtà è la storia di molte persone, è una storia reale, normale, non c’è solo l’idealizzare sempre un futuro ideale dove tutto si aggiusterà, c’è anche la vera realtà, quella di una vita dove non si ottiene ciò che si desidera.

E Gaia è sommersa dal suo ego, rinchiusa dentro ad un muro di rabbia e rancore per ciò che non ha avuto, ciò che non è andato nel modo desiderato, ciò che non ha funzionato, ci appare a tratti come una ragazza rigida nella dimostrazione dei suoi sentimenti e delle sue emozioni o di qualunque reazione che non sia quella rabbiosa e rancorosa.

Il lago come metafora della vita

Il lago stesso, simbolo di questo libro che torna sempre, il centro di tutto, un posto intorno al quale ruotano i personaggi e le vicende del romanzo, rappresenta proprio la vita.

Il lago e la sua acqua, a volte torbida e oscura che rappresenta le difficoltà e la fatica nel destreggiarsi tra i cunicoli della vita, a volte brillante che splende illuminata dalla luce del sole, acqua che cura e che scorre, simbolo di rigenerazione, dello scorrere del tempo e della vita.

Gaia anche alla fine del testo pensa al lago, torna al lago che ha assunto una serie di significati importanti per lei, è come se tutti i ricordi, tutti gli eventi vissuti siano stati raccolti e riportati lì, fonte che la riporta alla realtà.

In realtà in questo libro abbiamo anche altri elementi se vogliamo, immagini simboliche, che possono risplendere in varie scene e sembrano assumere un significato ben preciso, abbiamo il fuoco simbolo di rabbia, vendetta e distruzione, abbiamo anche un sacchetto di limoni che compare in una scena decisamente amara, simbolo di abbandono, distacco.

Insomma in questo libro persino determinate immagini a primo acchito innocenti si imprimono nella memoria e diventano portatrici di significati profondi.

Conclusioni

Mi è piaciuto decisamente questo libro, unico neo lo stile che a volte non mi ha fatta impazzire, è sicuramente vivido ed intenso, vivo e crudo in alcuni punti, ma l’autrice a volte si lascia andare alla scrittura di queste liste infinite che a volte risultano un poco pesanti e trascinano giù la scrittura, anche per il loro essere così frequenti.

In generale comunque è stata una lettura coinvolgente ed entusiasmante, non vedevo l’ora di prendere in mano il volume per poter andare avanti ed era un qualcosa che mi mancava parecchio, considerando i mesi di blocco.

Voto:

E voi? Avete mai letto “L’acqua del lago non è Mai Dolce”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Il Capitano Alatriste – Arturo Pérez-Reverte

Buon giovedì!

Come state? Come state trascorrendo questo settembre?

Spero bene comunque, nonostante il clima imprevedibile e le mille peripezie.

Eccomi qui con una recensione finalmente dopo mesi di vuoto, avevo già accennato un ritorno e come scritto nello scorso articolo sono stati mesi complessi a livello di gestione tra lavoro, vacanze strane e il resto, quindi sbuco solo ora.

Ad ogni modo sto cercando di trovare un sistema di organizzazione giusto ed equilibrato che mi aiuti a riprendere anche al meglio qui sul blog o anche su Instagram (altra terra desolata dalla quale sono sparita) e piano piano ci sto riuscendo nell’impresa, a piccoli passi.

Comunque, oggi riprendiamo a parlare di libri e in particolare del libro che è stato in lettura per tutto il mese di giugno sul gruppo (come trovate come sempre su Goodreads, proprio qui, esatto qui), ovvero “Il Capitano Alatriste” di Arturo Pérez-Reverte.

Il Capitano Alatriste – Arturo Pérez-Reverte

Casa editrice: Rizzoli

Pagine: 207

Genere: narrativa, narrativa storica, avventura

Prezzo di Copertina: € 12,00

Prezzo ebook: € 7,99

P. Pubblicazione: 2015

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Non sarà forse stato l’uomo più onesto e neanche il più caritatevole della terra, ma era un uomo valoroso. Si chiamava Diego Alatriste y Tenorio e aveva combattuto come soldato nei vecchi battaglioni di fanteria durante le guerre delle Fiandre. Quando lo conobbi tirava a campare a Madrid, dove lo si poteva assoldare al prezzo di quattro maravedì per lavori di poco lustro, soprattutto come spadaccino per conto di chi non aveva l’abilità o il fegato necessari per risolvere da sé i propri contenziosi.

Trama

Diego Alatriste ha combattuto le guerre delle Fiandre e ora tira a campare come spadaccino al soldo nell’elegante e corrotta Madrid del Diciassettesimo secolo. I suoi nemici sono letali e numerosi, come l’inquisitore Bocanegra e l’assassino Malatesta. Un personaggio freddo e solitario, dal carattere rude e sbrigativo, lunghi silenzi affogati nel vino, una disperazione profonda, così come un cuore impavido e fiero. Le sue avventure trascinano il lettore tra gli intrighi della corte di Spagna, tra i viottoli bui dove scintillano spade sguainate e sogni di grandezza.

Recensione

Dunque, avevo sentito parlare di Arturo P. Reverte, ma non avevo ancora mai letto nulla di suo, l’autore è famoso per testi quali “Il Codice dello Scorpione”, “Il Club Dumas” e “L’Italiano”.

Il Capitano Alatriste è stato pubblicato nel 1996 ed è il primo volume di una serie composta da ben sette volumi, pubblicati negli anni da case editrici quali Salani e Tropea. Di certo questo primo volume è il più famoso, ma si trovano ancora buona parte degli altri sei magari con qualche ricerca in più.

Stile, Ritmo e Amotsfera

Allora, devo dire che lo stile di Reverte è godibile, piacevole alla lettura e crea scenari e atmosfere interessanti a tratti, ma in buona parte del testo l’ho trovato esageratamente prolisso soprattutto quando si parla di pensieri, opinioni e idee di altri personaggi esterni ad Alatriste.

La storia è narrata da questo uomo che ai tempi delle vicende trattate era un bambino ed era il pupillo di Diego Alatriste, divenuto pupillo in seguito alla morte del proprio padre che era amico di Diego e ai tempi della morte chiese a Diego di prendersi cura di lui o comunque di prenderlo sotto la sua ala.

Ebbene, ho trovato questo narratore a tratti esagerato nel perdersi in divagazioni non solo su Diego, ma anche sugli altri personaggi presenti nel libro e se da una parte queste divagazioni sono piacevoli ed interessanti a livello storico, altre sono forse esagerate.

Consideriamo sempre il fatto che è il primo libro di una serie quindi è normale che a tratti possa essere più prolisso, ma certe informazioni potevano anche essere inserite nel volume seguente anche per attirare il lettore nell’andare avanti con la serie.

Il ritmo generale del testo è costellato da alti e bassi, ci sono capitoli in cui sembra prendere il volo ed accelerare e altri in cui magari l’azione sembra bloccata da dialoghi o scene a mio vedere eccessivamente tirate per le lunghe, non l’ho trovato personalmente soddisfacente come testo a livello di ritmo della vicenda narrata, sembra quasi che proprio nei momenti in cui necessita di azione e ritmo l’autore preferisca invece buttarsi su riflessioni varie.

Ripeto è un testo scritto comunque in modo godibile nel senso che per me nonostante questi aspetti che a volte stancano la lettura, lo stile di Reverte resta comunque scorrevole di per sé.

Le atmosfere generali sono quelle storiche di una Madrid del Settecento, forse l’autore avrebbe potuto spendere più inchiostro nel provare a far immergere il lettore in queste atmosfere che sì, sono presenti, ma a volte ci si dimentica del tempo in cui ci si trova, avrei preferito con descrizione storica in più rispetto a dialoghi o riflessioni prolisse sul carattere dei personaggi.

Questo testo può piacere secondo me a chi apprezza i romanzi storici, in alcune brevissime scene mi ha dato delle vibes stile “I Tre Moschettieri”, ma è comunque molto diverso per vari aspetti e non dona quell’immersione storica a mio vedere.

… beh è stata un’esperienza

Questa lettura per me è stata nella media, a settimane di distanza come nell’immediato non mi ha lasciato particolari ricordi o emozioni degne di nota.

Sapete quanto leggete un libro e quello non è né un libro “odiato” o altamente problematico/criticabile nel senso di stile, vicende narrate, temi e tutto ciò che compone una storia, ma non è nemmeno un libro che vi è alla fine avete gradito, semplicemente finisce in quel limbo rappresentato dai libri considerati nella media, poi tra questi magari ci sono quelli non elettrizzanti ma che comunque vi hanno lasciato qualcosa e altri che invece non vi hanno lasciato nulla, avete letto quel libro, chiuso l’ultima pagina, lo avete riposto in libreria (o dato via in un qualche modo) e si è auto-cancellato dalla vostra memoria.

Ecco per me “Il Capitano Alatriste” è caduto dritto dritto in quel limbo, non è un libro scritto male o con una trama becera, con problemi vari riguardanti le tematiche o i personaggi, o tutti i vari problemi criticabili che un testo può avere, ma al tempo stesso per me non ha punti che lo fanno risaltare.

I personaggi sono interessanti, si perde troppo tempo volendo creare quasi subito una tela già finita per le caratteristiche di questi volendo inquadrare subito tutti i loro aspetti, però come prima opera mette in campo dei personaggi comunque apprezzabili sotto certi punti di vista, per cui il lettore può di certo provare curiosità.

La trama base ruota attorno ad un lavoro di Diego che ora, dopo la guerra, lavora su commissione diciamo come assassino o regolatore di conti nella maggior parte dei casi, ad esempio lui in caso di lotte fra amanti ha il ruolo di intimidire il rivale amoroso ecc.

Durante uno di questi lavori, svolto con un compagno che successivamente diverrà suo rivale, deve uccidere due giovani e diciamo che (senza voler fare troppi spoiler) questo lavoro diventerà più complicato del previsto anche per quando riguarda la sopravvivenza di Diego.

La trama non è malamente costruita, il problema è che tutto si risolve a pizza e fichi, una vicenda all’apparenza intricata si risolve velocemente con decisamente meno danni del previsto, durante la lettura è stato tutto così veloce che quasi non me ne sono accorta.

Il finale invece è il tipico finale di un primo libro, aperto a nuovi orizzonti.

Conclusioni

Insomma, è stata una lettura tutto sommato gradevole, ma come dicevo nella media, non ho trovato particolari aspetti di questo libro degni di nota o apprezzabili oltre al normale o almeno degni di essere citati come pregi, ma come dicevo non è nemmeno un testo spiacevole.

La vicenda centrale ha una sua risoluzione, ma questo libro sembra il primo capitolo di un libro con trenta e più capitoli, un primo approccio ad una vicenda più ampia.

Per me il voto generale è di tre stelline su cinque, perché di base è un buon testo a livello di personaggi e stile, a livello tecnico funziona, a livello di risoluzione, coinvolgimento e impatto sul lettore su di me non ha funzionato.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Reverte? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Euforia – Elin Cullhed

Buon mercoledì!

Come state? Come avanza questo strambo giugno?

Oggi torniamo a parlare, per via del libro attorno al quale ruota la recensione di oggi, di una poetessa e autrice di cui abbiamo già parlato su questi schermi, una figura amata dalla sottoscritta che torna ogni tot di tempo a farci visita qui, ovvero Sylvia Plath! Esatto, proprio lei.

Ne abbiamo parlato qualche mese fa con il famoso duo di articoli-biografia che potete trovare qui o nella sezione #PoetProfile.

Non ho mai pubblicato recensioni di testi letti per la preparazione di questi articoli o testi comunque inerenti a Sylvia Plath, ma Euforia non è una biografia, né un saggio, bensì un romanzo che mira a narrare la storia dell’ultimo anno di vita della Plath.

E’ stato un testo candidato al Premio Strega Europeo del 2022 e in generale ha avuto un successo direi medio, nel senso che è sbucato da qualche parte e se ne è parlato, ma di certo non è stato un testo che è esploso o è diventato “virale”.

Bene, parliamone!

Euforia – Elin Cullhed

Casa editrice: Mondadori

Pagine: 300

Genere: narrativa, narrativa biografica

Prezzo di Copertina: € 19,50

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione: 2022

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Era la mia vita, il testo. Erano il mio corpo, la mia pelle, i miei polsi di un bianco luminoso a portarmi in bicicletta per il Devon. Quando incontravo qualcuno che conoscevo rabbrividivo, era come se i miei nervi e le mie vene formassero una rete sotto intorno al mio corpo, e il cuore era la mia bocca, era il cuore a parlare, lasciando uscire un “Salve!” se incrociavo la vicina (la moglie del direttore di banca) alla quale piaceva studiarmi per capire se ero normale. Il cuore batteva al centro di me stessa. La mia bocca. La mia bocca rossa. Ero io l’argomento, il motivo stesso, e allora come potevo allungarmi fuori di me e creare proprio quel motivo? Come potevo collocarmi lontano dal fulcro del motivo?

Trama

“Euforia” racconta l’ultimo anno di Sylvia Plath regalandoci l’indimenticabile ritratto di una mente brillante impegnata in una battaglia con il mondo, con le persone che ama e con se stessa. Quando il romanzo si apre, Sylvia, incinta del secondo figlio, è entusiasta all’idea della nuova avventura in cui lei e Ted Hughes si sono imbarcati insieme: ristrutturare una vecchia canonica lontano dalla grande città, crescere una famiglia in un regno tutto per loro. Prima dell’arrivo dei bambini Ted era il suo compagno in ogni cosa: da intellettuali vivevano intensamente la vita e ne prendevano ciò che volevano. Ma ora Ted scompare sempre più spesso nel suo studio per scrivere mentre Sylvia si ritrova abbandonata, un animale assediato dai suoi piccoli. Il suo desiderio è scrivere, amare, vivere, lasciare un segno nel mondo. Ma dove sarà la sua immortalità? Nei bambini che nutre con il suo corpo o nelle parole che appunta sulla pagina nei pochi momenti rubati? Quando Ted la abbandona definitivamente per andare dalla sua amante a Londra, Sylvia si scopre al contempo intossicata dal suo stesso potere e annientata dalla perdita. In questo stato di euforia, si sente sul punto di raggiungere il massimo dei suoi poteri creativi come scrittrice. Ha deciso di morire, ma l’arte a cui darà vita nelle sue ultime settimane infiammerà il suo nome.

Recensione

Dunque, come dicevo su questo blog abbiamo parlato ampiamente di Sylvia Plath e devo anche ammettere che io in primis sono probabilmente un poco rigida quando leggo romanzi basati sulla vita dell’autrice/rielaborazioni o esperimenti letterari di vario tipo che hanno comunque a che fare con la Plath, anche perché sono una grande estimatrice e ad oggi ho letto molti testi realmente scritti dalla Plath quindi realmente autobiografici (mi riferisco ai diari e alla sua corrispondenza) o scritti comunque da saggisti, biografi, persone vicine all’autrice nei suoi anni di vita.

Faccio questo discorso un poco delicato perché quando si parla della vita della Plath la prima cosa che può venire in mente è il fatto che l’autrice abbia vissuto una vita tragica per vari aspetti che sono sicuramente trapelati quando abbiamo parlato di lei nei due famosi articoli, quindi trovo che a volte si carichi molto questo aspetto (parlo sempre di testi ovviamente romanzati o reinterpretazioni), non voglio dire che Sylvia non abbia vissuto una esistenza tragica sotto molti aspetti, l’ha vissuta, ma secondo me quando si leggono testi romanzati su di lei è un attimo crollare nell’esagerazione o in un testo che comunque si focalizza solo su questo.

In questo testo l’autrice narra dell’ultimo anno di vita di Sylvia che è stato di certo costellato da delusioni, traumi e il ritorno anche della depressione, e il finale suicidio, ma leggendo questo libro di certo molto doloroso perché sentiamo la Sylvia Plath della Cullhed in un continuo stato di turbamento, rabbia, frustrazione e in generale direi inquietudine a tratti mi sono sentita un poco bombardata da questa voce reinterpretata dall’autrice di una grande poetessa come la Plath.

Parleremo meglio di questo aspetto nel corso della recensione, so che a molte persone questa caratteristica non ha dato particolare fastidio e va benissimo così, questa ovviamente è una mia opinione personale, però a tratti ho avvertito il voler cavalcare eccessivamente la parentesi legata all’instabilità anche psichica di Sylvia. Lei parla in prima persona in questo romanzo ed è un testo confessionale in cui si lascia andare a molti dubbi, insicurezze e ragionamenti sulla sua vita e su ciò che inizia ad incrinarsi piano fino ad esplodere.

Faccio questo discorso iniziale perché qui alla fine parliamo di questo, ovvero di un romanzo scritto modificando alcuni eventi essendo appunto un romanzo, in cui non sempre l’autrice è fedele, diciamo che aggiunge a volte una sua versione dei fatti e in questo non c’è nulla di male facendo parte del genere, ma come dicevo queste aggiunte sembrano sempre spingere sugli stessi punti, comunque ci arriveremo.

Stile, Ritmo e Atmosfere

L’autrice secondo me si butta in un esperimento, ovvero dare la voce a Sylvia cercando di entrare nella mente di questa e scrivere/esprimersi come si esprimerebbe (secondo l’autrice) Sylvia Plath, esperimento che una buona parte degli autori che scrivono biografie romanzate o simili tentano, ecco, la voce che emerge qui per alcuni tratti del romanzo può assomigliare a quella di Sylvia, non tanto in ciò che dice, ma per quanto riguarda la sfera mentale, quindi i pensieri che trapelano da questa Sylvia e il suo modo di vedere la realtà.

Ovviamente la Cullhed interpreta, come faccio anche io basandomi su ciò che ho letto della Plath e su una mia idea della sua personalità parlando di lei, comunque in altri tratti la voce di questa Sylvia mi è sembrata eccessiva come se l’autrice fosse entrata troppo dentro ad una sua idea della personalità di Sylvia.

E’ un discorso un poco complesso da fare, ma come dicevo è stata una lettura altalenante per me a livello sia di gradimento che di immersione nella voce di questa Plath.

Lo stile comunque dell’autrice è godibile, diretto direi perché Sylvia si esprime e pensa in modo diretto, anche a livello sessuale, ma la vera Plath era comunque una donna che rifletteva sulla sessualità, nei diari furono anche censurate varie pagine in cui parlava di sesso o fantasticava su questo.

Ci sono degli spunti interessanti nella scrittura della Cullhed, immagini suggestive ed evocative, sensazioni e modi di esprimere queste degni di nota.

Il ritmo generale del romanzo è medio, nel senso che essendo una biografia romanzata si prende i suoi tempi a tratti per arrivare ad eventi che segnarono irrimediabilmente la vita di Sylvia e il suo ultimo anno, quindi a tratti il libro diventa una spirale psichica autodistruttiva in cui la Plath pensa in modo ossessivo ad eventi o analizza sue paure che diventano un macigno e piano piano si va avanti con gli eventi.

Le atmosfere generali invece sono pesanti, ci sono anche momenti più rilassati e tranquilli in cui sembra di trovarsi con Sylvia in una giornata pacifica nel Devon però sono davvero parti minime, il romanzo si focalizza più che altro su l’ossessività dei pensieri di Sylvia che si ritrova in una realtà pesante da vivere e questo senso come dicevo, di pesantezza traspare parecchio dalle pagine, non saprei dire se è voluto dall’autrice oppure no.

“Ero straniera in quel paese, non avevano accolto molto bene le mie poesie, ma chi se ne importa, peggio per loro, avevo pensato, ho comunque la mia America.”

Un tassello in più?

Ero esaltata per la lettura di questo romanzo, anche perché ogni volta che esce un libro sulla Plath io in genere lo recupero sempre e questo sembrava davvero interessante. Tra l’altro da ciò che traspare finora da questa recensione sembra che io non abbia gradito questo romanzo, ma non è così, mi è piaciuto per certe caratteristiche e si vede che l’autrice ha fatto di tutto per entrare al suo meglio nella psiche di Sylvia e di immedesimarsi in lei e nella sua realtà, voglio credere anche per omaggiarla in primis.

Tra l’altro il fatto di aver omesso l’ultimo breve periodo di vita e il suicidio secondo me è stato un gesto di rispetto della Cullhed nei confronti di Sylvia, il non aver descritto il suo ultimo atto e in generale le ultime dure settimane della sua vita sono state scelte precise a mio vedere.

Il libro è questo quindi, un’altra versione secondo un’altra autrice di una parte della vita della poetessa, cosa aggiunge “Euforia” rispetto agli altri romanzi su di lei? Beh di sicuro va un poco di più nei dettagli e nei pensieri di questa Sylvia e aggiunge pezzetti qua e là inventati dall’autrice basandosi sempre comunque su fatti reali, diciamo che ci sono delle aggiunte ma non è nulla di deturpante.

Per il resto non aggiunge molto altro, è un romanzo che io consiglierei a chi magari sa già qualcosa sulla vita della poetessa, ma so che si sono molte persone che hanno letto questo romanzo senza conoscere bene la Plath e lo hanno gradito molto, quindi è adatto a tutti, ovvio se conoscete già la sua vita saprete distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è e ciò che sembra una esagerazione romanzata da ciò che probabilmente si avvicina di più alla realtà e a ciò che è stato.

Non è un compito facile scrivere un romanzo sulla Plath perché si rischia di parlare sempre degli stessi argomenti perché di libri sulla Plath ne sono usciti a bizzeffe e dobbiamo accettare il fatto che non sappiamo e non sapremo mai nella realtà cosa è accaduto davvero in alcuni momenti precisi della vita della poetessa, possiamo romanzare e ipotizzare, ma alcuni eventi restano e resteranno un mistero.

Quindi apprezzo il tentativo della Cullhed che di certo si salva, è un romanzo nella media secondo me, che fa riflettere anche su vari temi della vita che ha dovuto affrontare Sylvia, ma come lei molt* altr*, e affronta anche temi tabù oserei dire che non si vedono di solito in testi su di lei o in media in altri testi. Si fa leva soprattutto sulla sfera mentale che filtra tutto ciò che vive Sylvia in un modo a tratti ossessivo e man mano che si va avanti nel romanzo e si arriva ai suoi ultimi mesi, anche molto problematico e parecchio dispersivo.

Conclusioni

Tutto sommato a parte l’esagerazione di alcuni punti e il fatto che a lungo andare diventa un romanzo ripetitivo in cui l’autrice ha aggiunto eventi che danno un tocco di esagerazione in più su quella già presente, è un testo godibile che va nel profondo di una psiche che affronta eventi traumatici e crolli nella sua vita fino ad esplodere.

Il modo in cui viviamo assieme a Sylvia questi mesi di continuo stress e certezze che crollano è devastante, ma allo stesso tempo interessante per come l’autrice riesce a dipingere questo crescendo di crisi.

Tutto sommato è un romanzo che sono felice di aver letto.

Voto

E voi? Avete mai letto “Euforia”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

Teddy – Jason Rekulak

Buon venerdì e ben ritrovat*!

Come state? Ci troviamo qui in un nuovo fine settimana per parlare del libro del giorno!

Oggi parliamo di “Teddy” di Jason Rekulak, un thriller paranormale che ha fatto molto parlare di se negli scorsi mesi, è un’uscita del settembre 2022 e devo dire che ora si vede decisamente meno in giro rispetto al botto delle settimane successive alla pubblicazione, ma ogni tanto viene ancora citato.

E’ un testo che di certo ha diviso e divide ancora i lettori, c’è chi lo ha amato alla follia e chi lo ha detestato ritenendolo a tratti privo di senso, con risoluzioni e sviluppi di trama discutibili.

Beh, dopo questa premessa direi che è il momento di darvi la mia opinione, parliamone!

Teddy – Jason Rekulak

Casa editrice: Giunti

Pagine: 416

Genere: narrativa, thriller psicologico, mystery, suspance

Prezzo di Copertina: € 16,90

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione: 2022

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Qualche anno fa ero praticamente al verde, e così mi offrii volontaria per un progetto di ricerca della University of Pennsylvania. Seguendo le indicazioni arrivai all’ospedale del campus, a West Philly, ed entrai in un grande auditorium pieno di donne, tutte tra i diciotto e i trentacinque anni. Non c’erano abbastanza posti e io arrivai tra le ultime, così dovetti sedermi, tremante, sul pavimento. C’erano caffè e ciambelle al cioccolato gratuiti, e un grosso televisore che trasmetteva The Price is Right, ma tutte quante guardavano il telefono. Sembrava di essere in coda per qualche ufficio, però ci pagavano un tanto all’ora e quindi avremmo aspettato volentieri anche tutto il giorno.

Trama

Teddy è un dolce bambino di cinque anni, intelligente e curioso, che ama disegnare qualsiasi cosa: gli alberi, gli animali, i genitori e, occasionalmente, anche la sua amica immaginaria, Anya, che dorme sotto il suo letto e gioca con lui quando è da solo. Ma ora a occuparsi di lui per tutta l’estate c’è Mallory, la nuova babysitter. I due si sono piaciuti fin dal primo incontro, tanto che il signor Maxwell non ha potuto opporsi all’assunzione della ragazza, che nonostante la giovane età ha dei difficili trascorsi con la droga. All’apparenza tutto è perfetto: i Maxwell sono gentili e comprensivi, la loro casa sembra uscita direttamente dalla copertina di una rivista e le giornate sono scandite da una routine serena, che comprende giochi, pisolini e bagni in piscina. Fino a quando i disegni di Teddy cominciano a cambiare, diventano sempre più strani, cupi, quasi macabri e rivelano un tratto decisamente troppo complesso per un bambino di quell’età. Che cosa sta succedendo? Per Teddy è colpa di Anya, è lei a dirgli cosa rappresentare e a guidare la sua mano. Qualcosa non va e, anche se può sembrare una follia, solo Mallory può scoprire la verità prima che sia troppo tardi. Un thriller che sconfina nel paranormale e che, grazie alla forza espressiva delle illustrazioni, vi sorprenderà, pagina dopo pagina, in un inquietante crescendo, fino all’imprevedibile colpo di scena finale.

Recensione

L’autore prima di dedicarsi alla scrittura, è stato, fino al 2018, l’editore di Quirk Books. Il suo romanzo d’esordio, I favolosi anni di Billy Marvin (Rizzoli, 2018) è stato tradotto in 12 lingue e nominato per un Edgar Award. Teddy è il suo secondo romanzo che presto diventerà una serie per Netflix.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Allora, parliamo di un romanzo medio, nel senso che è un testo di 416 pagine, considerando anche il fatto che alcune non sono di testo bensì di illustrazioni prese dal blocco da disegno di Teddy appunto, questo bambino a cui la nostra Mallory deve fare da babysitter. Quindi per essere un testo medio scorre molto velocemente, anche perché lo stile di Rekulak è davvero scorrevole e fluido da leggere, di certo questo a mio avviso è uno dei tratti migliori del libro perché scorre che è una meraviglia ed è uno di quei casi in cui si dice sempre: “un altro capitolo, poi un altro e un altro ancora” e così facendo si legge metà testo in una serata.

Il libro è anche ambientato in tempi relativamente recenti quindi ci sono anche brevi accenni a fatti o tecnologie contemporanee insomma, senza contare il fatto che Mallory è una protagonista che ha a che fare con una serie di problematiche legate al suo passato, tra cui la sua precedente dipendenza da droghe e antidolorifici, la sua ancora in corso elaborazione del lutto e problematiche varie legate alla famiglia. Ciò per dire che sono vari i temi affrontati in queste pagine da Rekulak, senza contare quelle degli altri personaggi.

Quindi, lo stile funziona bene per un thriller, non spicca per caratteristiche particolari, funziona come veicolo di suspence per far arrivare il lettore alla fine.

Il ritmo direi che è constante, è un crescendo che porta fino alla risoluzione finale dell’enigma base del testo quindi il fatto che ad un certo punto durante il lavoro di Mallory come babysitter la ragazza inizi ad avere a che fare con strani disegni fatti da Teddy che non sembrano provenire dalla sua mano, ma da una mano decisamente più abile e grottesca perché il tenore di certi disegni è piuttosto macabro.

Le atmosfere generali devo dire che funzionano bene in alcuni punti soprattutto, ci sono frammenti di questo libro in cui si riesce a percepire il classico brivido sulla schiena, proprio per un insieme di fattori, il mistero, le presenze misteriose, il luogo in cui trova Mallory ecc. ecc.

Ciò che funziona e ciò che non funziona

Questo è un libro che mi ha fatto provare una serie di sensazioni e pensieri contrastanti a fine lettura, una parte di me ha sinceramente gradito la scorrevolezza e l’intrattenimento trovati in questo volume, un’altra parte si è chiesta più volte il perché di certe svolte di trama o plot twist o inserimenti vari di scene discutibili.

Devo dire anche che nonostante sia un testo veloce da leggere, ad un certo punto ho avvertito un senso di sazietà, sapete come quando avete mangiato tanto a tavola al pranzo di Natale e il prossimo boccone potrebbe farvi esplodere, ma lo mangiate comunque anche per far piacere a vostra madre che ha cucinato per ore? Ecco, c’è tanto in questo volume a livello di eventi, temi, svolte di trama varie da essere troppo a una certa.

Alcune persone, ho notato leggendo varie recensioni su Goodreads, hanno avuto dei problemi con alcune tematiche inserite nel libro o lasciate trapelare da alcuni personaggi, in particolare quella riguardante l’essere transgender, un’altra riguardante l’ateismo, un’altra il razzismo.

In realtà ci sono varie tematiche, oltre anche a quelle che ho citato, che non vengono esposte palesemente dall’autore, ma vengono fatte trapelare in modo subdolo in scene che vengono buttate lì come veicolo di avanzamento della trama, ma non vengono mai giustificate oppure viene data a queste una risoluzione davvero dozzinale e di poco conto.

Nel volume si parla di questa tematica (l’essere transgender), o meglio si accenna davvero brevemente, non si esplora più di tanto, ma è un tema che risulterà importante in funzione dello svolgimento della trama, ebbene a parte il trascinarla dentro la trama senza un senso logico, ma più come giustificazione di un evento appunto della trama, non sta molto in piedi a livello logico. Non posso scendere troppo nei particolari per non fare spoiler, ma vi dico che il modo in cui si usa questo tema, che dovrebbe essere una trovata originale a livello di risoluzione della vicenda, non sta molto in piedi a mio avviso. In più spunta in un contesto di violenza e sopraffazione e oltre che essere forzata e trattata in un modo che dire approssimativo è dire poco.

La critica riguardante l’ateismo ha a che fare con il fatto che i genitori di Teddy siano atei convinti e proibiscano a Mallory qualunque espressione religiosa in presenza del bambino, non si può parlare di religione dentro casa, o accennare minimamente a questa e i genitori di Teddy sono personaggi che vengono descritti fin dall’inizio come individui dubbi… diciamo, quindi l’autore lascia intendere che gli atei siano persone rigide, arrabbiate e astiose nei confronti della religione e in generale amanti della censura.

La tematica del razzismo invece riguarda un personaggio in particolare che è Mitzi, una vicina di casa di Mallory e della famiglia di Teddy che viene rappresentata come una hippy che fa uso di sostanze e contatta i morti, una figura aperta spiritualmente diciamo che però si esprime in modo pessimo facendo riferimento al razzismo.

Ci sono anche altri temi, alcuni di questi devo essere sincera, durante la lettura non mi sono saltati all’occhio, ho letto le scene incriminate, ma le ho interpretate più come una esaltazione di un cliché riguardante un certo personaggio più che come messaggio subdolo inserito dall’autore.

Parlando di cliché e personaggi, senza mai fare spoiler, penso sia intuibile il fatto che i personaggi da sospettare siano quelli a cui si pensa subito, certo magari all’inizio si ha un intuizione, ma non si è certi, però io non ho avvertito una particolare sorpresa nella scoperta finale che ha più strati però, infatti vengono dipanate varie risoluzioni a vari misteri alla fine.

Altri temi comunque invece saltano all’occhio perché sembrano forzati o come dicevo alcune scene vengono giustificate malamente oppure nemmeno giustificate, ci si aspetterebbe più commento da parte di Mallory che narra il tutto, invece viene accettata e basta la situazione.

Sicuramente è un testo che ha dei problemi a mio avviso, a livello anche di incastro e risoluzione, c’è la parentesi paranormale che penso sia gestita abbastanza bene anche se si sporca verso il finale, diventa un intrigo un po’ confuso.

I punti positivi sono l’atmosfera e la scorrevolezza, direi anche che fino ad un certo punto il lato paranormale ha dei lati originali e interessanti che, come ho detto in precedenza, funzionano bene.

Conclusioni

E’ un libro che io ho letto nell’arco di una finestra temporale ampia, ma non perché sia un libro lento o complesso da leggere, semplicemente perché l’ho messo da parte per un tot di tempo per focalizzarmi su altre letture, e alla fine sono stata felice di leggere soprattutto per l’essermi tolta la curiosità una volta per tutte.

E’ un thriller che sicuramente è stato aiutato anche dai social nella sua esplosione di fama, posso capire anche perché abbia avuto questo successo forse solo leggermente eccessivo, però come scritto anche sopra è un thriller scorrevole, originale per certi inserimenti, un tipo di lettura di intrattenimento.

Ma è anche un volume con tutti i problemi che ho elencato prima, senza parlare del fatto che uno degli aspetti, a mio avviso, più fastidiosi in un thriller è la risoluzione di certe parentesi con soluzioni discutibili o poco probabili, fattore presente in questo libro, purtroppo.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Teddy”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

L’Invenzione di Morel – Adolfo Bioy Casares

Buon venerdì!

Come state? Come siete arrivat* all’inizio di questo mese di maggio?

Oggi torniamo alle recensioni, finalmente dopo il periodo di semi-sparizione e l’attesa per la pubblicazione del famoso articolo su Sylvia Plath, torniamo sul nostro caro sentiero costellato di recensioni.

Parliamo di un libro che ho letto oramai qualche mese fa ed è un testo che ho citato anche nell’articolo dei libri da regalare a Natale, quindi ehm… sì, andiamo un poco indietro. Ero convinta tra l’altro di aver già pubblicato la recensione di questo testo, ma a quanto pare mi sbagliavo quindi bisogna rimediare il prima possibile, il libro in questione è L’Invenzione di Morel di A. B. Casares.

Parliamone!

L’Invenzione di Morel – Adolfo Bioy Casares

Casa editrice: SUR

Pagine: 133

Genere: fantascienza, narrativa

Prezzo di Copertina: € 15,00

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione (ITA): 2017

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Oggi, su quest’isola, è avvenuto un miracolo. L’estate è arrivata in anticipo. Ho sistemato il letto vicino alla piscina e fatto il bagno fino a molto tardi. Impossibile dormire. Due o tre minuti all’asciutto erano sufficienti a trasformare in sudore l’acqua che doveva proteggermi dall’afa spaventosa. All’alba mi ha svegliato un fonografo. Non ho potuto tornare al museo per prendere le mie cose. Sono fuggito giù per le scarpate. Mi trovo nella zona delle paludi, a sud, tra piante acquatiche, furibondo per le zanzare, con il mare o sudici ruscelli fino alla vita, e mi accorgo di avere assurdamente anticipato la mia fuga.

Trama

“L’invenzione di Morel” è il romanzo più celebre di Adolfo Bioy Casares, uno dei narratori più originali della letteratura latinoamericana del Novecento. Pubblicato nel 1940, esce oggi in una nuova traduzione di Francesca Lazzarato, che ne ha curato anche la postfazione. Fortemente ispirato all’”Isola del dottor Moreau” di H.G. Wells e ai racconti di E.A. Poe, questo romanzo visionario narra le avventure di un fuggiasco che, sbarcato su un’isola deserta per evitare la condanna all’ergastolo, scopre di non essere solo come credeva. In bilico tra il terrore di essere identificato e la frustrazione per il desiderio di essere riconosciuto, il protagonista si ritrova sospeso tra realtà e irrealtà e inizia a seguire, osservare e spiare gli altri isolani. Sarà infine il misterioso Morel a fornirgli le chiavi di lettura di un mondo allucinatorio costituito da pura forma.

Recensione

Casares era un grande amico e collaboratore di Jorge Luis Borges, scrisse numerose storie con lui, sotto lo pseudonimo di Honorio Bustos Domecq.

L’Invenzione di Morel è l’opera più famosa di Casares, pubblicata per la prima volta nel 1940. A Bioy Casares sono stati conferiti numerosi premi e riconoscimenti, fra cui il Gran Premio de Honor della SADE (la Società Argentina degli Scrittori, 1975) e il Premio Miguel de Cervantes nel 1991.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Lo stile utilizzato per questo romanzo è certamente diretto e personale, leggiamo direttamente dal diario di un uomo che narra della sua rocambolesca e particolare esperienza su un’isola, si trova su questa per dei problemi con la giustizia, infatti è un ricercato e per scappare da tutto decide di seguire il consiglio di un uomo incontrato per caso che gli suggerisce proprio di andare a vivere in solitaria in questo luogo all’apparenza disabitato.

Il tono della narrazione è quindi quello confidenziale e diretto di un individuo spaventato e solo che si lascia andare a riflessioni e considerazioni. E’ uno stile decisamente scorrevole però e direi che la narrazione prosegue ad un ritmo sostenuto, è pur sempre un romanzo di 133 pagine.

Le atmosfere sono legate a questo ambiente naturale e selvaggio, con elementi naturali molto forti, immagini di acqua, alberi, insetti, fango, vegetazione, ma con un tocco di mano umana, perché infatti su quest’isola (questo è proprio il fulcro dell’intera vicenda) al di sopra di una specie di collina ci sono delle costruzioni edificate dall’uomo.

L’atmosfera generale attraversa diversi stadi, abbiamo quello frenetico legato all’inizio alla fuga di quest’uomo, che racconta dell’idea di traferirsi su un’isola e della effettiva fuga quando è già in questo luogo, abbiamo poi quello della curiosità quando inizia a scoprire il luogo e queste costruzioni e questo tono di curiosità mista a inquietudine dura per una buona parte del romanzo in cui sia lui che il lettore cercano di capire il mistero di quest’isola. Successivamente abbiamo il lato più spaventoso e la risoluzione finale, insomma c’è un bel sali e scendi con questo testo.

Il romanzo perfetto

Questo romanzo, o racconto, viene descritto come perfetto a livello di struttura e incastro narrativo ed effettivamente è un testo senza dubbio completo e ben strutturato, che prende ispirazione dal famoso “L’Isola del Dottor Moreau” di H.G. Wells.

Quindi abbiamo a che fare con un narratore che fa una strana e curiosa scoperta, come dicevamo su questa collina scopre l’esistenza di strutture umane tra cui una cappella, un museo e una piscina. All’inizio si approccia a queste con cautela, anche perché sente voci e presenze umane da lontano quindi sa che c’è qualcuno oltre a lui in questo luogo e cerca di spiare queste persone da lontano, ma con il tempo si fa più audace e decide di tentare un approccio.

Il protagonista si lancia nel corteggiamento di una donna, che fa parte del gruppo di individui comparsi su questa collina, tenta e ritenta con questa donna, ma man mano che il tempo passa fa una scoperta piuttosto strana e inaspettata.

Diciamo che da parte del lettore si può arrivare a comprendere in parte il mistero prima della rivelazione che colpisce il protagonista, ho trovato invece il finale piuttosto sorprendente e inaspettato.

Secondo me “L’invenzione di Morel” è un libro che può piacere a molte persone perché ha tutti gli elementi per intrattenere e far riflettere, ma allo stesso tempo stupire e avvicinare il lettore alle disavventure di quest’uomo fuggito dalla legge per rincorrere una speranza di salvezza, senza considerare che la fuga dal carcere lo ha scaraventato in un altro carcere selvaggio e sperduto.

Sono tanti i temi inseriti da Casares, abbiamo il lato fantastico che si interseca con il selvaggio, il tema dell’immortalità, l’amore e la morte, ma anche la solitudine e il controllo.

Il famoso Morel del titolo è uno dei personaggi che compaiono su questa collina in compagnia della famosa donna di cui il nostro protagonista si innamora e lui con la sua invenzione hanno fortemente a che fare con il controllo di cui stavo parlando prima, controllo addirittura sulla vita e l’immortalità, un controllo che manca completamente al nostro fuggiasco che ha invano tentato di mettere assieme la sua vita e ricominciare, fallendo.

L’amore che il protagonista prova per una donna che di fatto non conosce e non risponde al suo corteggiamento lo tiene però lontano dalla solitudine in cui è caduto, sembra infatti che l’autore ricolleghi l’amore alla salvezza dalla solitudine, una solitudine in cui l’uomo non vuole e ha paura di ricadere, scappa da questa non accettando nemmeno la realtà, perdendo di nuovo il controllo sulla sua vita.

Di base, oltre a molti altri elementi, “L’invenzione di Morel” è anche la storia tragica di un uomo che per tutto il tempo fugge, dalla legge, dalla solitudine, dall’accettazione della realtà, dalla mortalità.

Parlando del lato fantastico e inquietante, che sono ciò che incuriosiscono maggiormente durante la lettura perché si vuole scoprire il mistero dietro a tutto, alcune persone hanno nel corso degli anni descritto questo testo aggiungendo anche un aspetto legato al terrore delle atmosfere e della vicenda. Di certo ha dei risvolti macabri e tragici, all’inizio è facile provare ansia con il protagonista per le scoperte che fa e che sembrano non avere una spiegazione logica, ma forse non aggiungerei “terrore” ai termini adatti per descrivere il libro.

Ma è sicuramente inquietante, in più il lato fantastico di cui stavamo parlando prende una piega più tecnica e logica andando avanti nella lettura, ma tutto il romanzo ha questa atmosfera generale di sospensione, come se il nostro protagonista, il luogo e queste persone fossero letteralmente ferme e immobili nel tempo.

Conclusioni

Di certo consiglio la lettura de “L’invenzione di Morel” anche per la struttura, la curiosità e la godibilità nella lettura, è un romanzo adatto anche a periodi di semi-blocco del lettore o periodi in cui si ha voglia di una lettura non troppo complessa perché magari si vive una situazione stressante, è una boccata di aria e avventura, anche per il luogo in cui il libro è ambientato.

Su di me non ha avuto un impatto così forte, ma la considero assolutamente una lettura piacevole, fa parte di quei volumi che ho gradito, ma non vanno oltre le tre stelline e mezzo, ma di certo è un romanzo ben costruito e ottimo sotto tutti i punti di vista.

Voto:

E voi? Avete mai letto “L’invenzione di Morel”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

La Quinta Stagione – N.K. Jemisin

Buon mercoledì!

Come state? Come sta avanzando o per meglio dire “terminando” questo febbraio, dato che siamo già al 22 e io mi sento ancora al 2 di gennaio?

Sono sparita ultimamente perché la vita mi sta risucchiando in una spirale infinita di stanchezza e problemi vari da cui spero di uscire a breve o quantomeno di riemergere per poco, quindi se vi chiedete il perché della mia scarsa presenza sappiate che è da ricondurre ad un periodo particolarmente fastidioso, spero comunque di tornare il prima possibile ad essere più attiva.

Sono anche in una sottospecie di blocco del lettore, un po’ per scarsità di tempo e un po’ perché boh… vai a capire come funziona il mio cervello.

Oggi comunque parliamo finalmente di un libro di cui vi devo parlare da mesi e mesi, ho rimandato questo momento il più possibile, non per un motivo preciso, ma solo perché ho amato molto questo testo (che è anche comparso nella top five delle letture del 2022, qui) ed è un testo di cui non è facile anche perché per me non è stato quel tipo di amore folle e duraturo per tutto il tempo della lettura, ma ho dovuto raccogliere un poco le idee e comprendere meglio la mia esperienza di lettura.

Il testo in questione è La Quinta Stagione di N.K. Jemisin, il primo volume della trilogia della Terra Spezzata.

La Quinta Stagione – N.K. Jemisin

Casa editrice: Mondadori

Pagine: 469

Genere: fantasy, fantasy epico, fantascienza, narrativa apocalittica

Prezzo di Copertina: € 15,00

Prezzo ebook: € 7,99

P. Pubblicazione (ITA): 2019

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Tu sei lei. Lei è te. Sei Essun. Ricordi? La donna cui è morto il figlio. Sei un’orogena che vive nell’insignificante cittadina di Tirimo da dieci anni. Solo tre persone sanno che cosa sei e due di loro le hai messe al mondo tu. Bene. Ne rimane una sola che sa, ora. Sono dieci anni che vivi la vita più ordinaria possibile. Sei arrivata a Tirimo da altrove, ma agli abitanti della città non importa da dove o perché. Era evidente che fossi istruita, così sei diventata un’insegnante del nido locale per i bambini dai dieci ai tredici anni. Non sei né la migliore né la peggiore insegnante: quando se ne vanno, i bambini si dimenticano di te, però imparano.

Trama

E iniziata la stagione della fine. Con un’enorme frattura che percorre l’Immoto, l’unico continente del pianeta, da parte a parte, una faglia che sputa tanta cenere da oscurare il cielo per anni. O secoli. Comincia con la morte, con un figlio assassinato e una figlia scomparsa. Comincia con il tradimento e con ferite a lungo sopite che tornano a pulsare. L’Immoto è da sempre abituato alle catastrofi, alle terribili Quinte Stagioni che ne sconquassano periodicamente le viscere provocando sismi e sconvolgimenti climatici.

Quelle Stagioni che gli orogeni sono in grado di prevedere, controllare, provocare. Per questo sono temuti e odiati più della lunga e fredda notte; per questo vengono perseguitati, nascosti, uccisi; o, se sono fortunati, sono presi fin da piccoli e messi sotto la tutela di un Custode, nel Fulcro, e costretti a usare il loro potere per il bene del mondo. E in questa terra spezzata che si trovano a vivere Damaya, Essun e Syenite, tre orogene legate da un unico destino.

Recensione

La quinta stagione è stato acclamato dalla critica, venendo candidato a diversi dei premi principali del settore e aggiudicandosene la maggior parte. Ha vinto il premio Hugo per il miglior romanzo al 74° Worldcon nel 2016, lo Sputnik Award ed è stato candidato inoltre al premio Nebula per il miglior romanzo e al World Fantasy Award.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Le atmosfere di questo primo volume della trilogia sono miste, da un clima apocalittico, ad uno stile distopico, ci sono un misto di scenari diversi attraverso i quali seguiamo i vari personaggi, le tre voci principali, Essun, Syenite e Damaya.

La storia è ambientata in questa terra chiamata Immoto, l’unico continente del pianeta, luogo in costante e violento mutamento. Tutto il mondo infatti è vittima di costanti cataclismi che danno vita a quella che viene appunto chiamata “La Quinta Stagione”, un periodo di durata variabile in cui tutto rischia l’estinzione.

Infatti questa famigerata “Quinta Stagione” da origine ad una serie di fenomeni più o meno distruttivi per la terra e gli esseri che ovviamente la popolano, eventi quali eruzioni vulcaniche, scosse sismiche, fenomeni atmosferici e altro tutti di una portata decisamente pesante, queste eruzioni vulcaniche ad esempio possono anche produrre quantità di ceneri tale da oscurare il sole per anni, e da tutto questo provengono stragi, epidemie, carestie e in generale una decimazione degli esseri umani.

Nel corso della storia si sono susseguite varie “Stagioni” e a causa di ciò il mondo è stato costretto a ricominciare molte volte da zero, o quasi da zero, ad esempio molto delle civiltà precedenti è andato distrutto, tranne alcune vestigia ancora presenti e visibili, come ad esempio questi giganti obelischi fluttuanti, che si spostano per i cieli e di cui nessuno conosce bene del tutto il funzionamento.

Questo per illustrarvi un poco il clima generale che si respira una volta che ci si immerge nella storia e in questo mondo, uno scenario che senza dubbio ci fa pensare anche al nostro mondo a cui viene trapiantato uno scenario apocalittico, quella di Jemisin è anche ad una critica rivolta ai problemi ambientali, ma anche alla discriminazione, alle classi sociali e in generale ad un mondo egoista che ha inaridito la Terra e la sua popolazione.

Le atmosfere in alcuni scenari sono senza dubbio pesanti, aride, manca umanità e stabilità in una terra in subbuglio.

Lo stile di Jemisin è decisamente godibile, è una autrice che sa scrivere senza dubbio, lo stile è accattivante, ma allo stesso tempo Jemisin sa scavare nei meandri della psiche umana e mette sotto i riflettori anche quei minimi gesti che ci fanno comprendere meglio un personaggio e un contesto. E’ uno stile che sa essere profondamente doloroso, come un coltello che scava nella carne, ma anche armonioso.

Il ritmo generale del testo non è sempre costante, c’è stato un punto, circa dopo la metà in cui ho faticato un poco, non saprei dire se per un breve distacco mio o per un rallentamento del ritmo che mi ha portato per alcuni istanti ad avvertire un certo peso durante la lettura, ma a parte questo punto mi sono goduta senza dubbio il testo.

La Distopia e le tre voci principali

Al centro dell’Immoto risiede la città di Yumenes, capitale di un vasto impero che è riuscito a sopravvivere per secoli alle Quinte Stagioni. Ci ritroviamo però all’interno di un impero basato su un severo regime assolutista, dittatoriale e intransigente, in cui l’individuo è completamente al servizio della comunità e vive per alimentare questa comunità servendola e rispettando le sue regole. All’interno di questa si sono create delle caste che dividono le persone basandosi sulla loro utilità.

L’impero ha anche numerose Com (comunità), che vanno dai piccoli villaggi a città, protette da mura e sempre pronte a chiudersi al mondo esterno per tentare di sopravvivere a un’eventuale Stagione. In questo mondo si segue fedelmente la Litodottrina, una vera e propria dottrina appunto, da seguire in caso di cataclisma che indica come ci si deve preparare e come ci si deve comportare in caso di Stagione.

In questo mondo ci sono sia esseri umani che orogeni, individui in grado di percepire i movimenti tellurici della crosta terrestre e hanno il potere di controllarli, capaci di prendere dall’ambiente l’energia sufficiente per controllare e placare determinati fenomeni, o all’opposto scatenarli. Gli orogeni potenti possono essere o un grande dono e un grande aiuto nella gestione di questi fenomeni o al contrario essere causa di enorme distruzione e devastazione perché possono letteralmente controllare il terreno.

Tra questi orogeni troviamo le protagoniste di questo libro, Essun, orogena che si finge una persona normale in un piccolo villaggio, il cui mondo piomba nella distruzione quando rincasando, trova il corpo esanime del proprio figlio ucciso dal padre, che ha intuito la natura orogena del figlio.

Non faccio spoiler perché questo accade davvero nelle prime pagine, da questo evento Essun inizia un lungo viaggio alla ricerca del compagno e assassino del figlio per vendicarsi, ma anche per ritrovare la figlia sparita, pensa rapita dal padre.

Damaya è una bambina che si è appena rivelata orogena e che viene salvata da un Guardiano (praticamente delle specie di controllori o carcerieri degli orogeni) che la porterà via dalla propria famiglia per portarla al Fulcro ed educarla come un orogena.

Syenite infine è un’orogena del Fulcro inviata in missione sotto la supervisione di Alabaster, un orogeno estremamente potente e dalla psiche piuttosto labile.

C’è un grande colpo di scena che ha a che fare con ognuna di queste voci, un “segreto” che si può iniziare ad intuire man mano che si avanza nel testo perché spuntano vari indizi, trovo comunque che questo incastro e questo tipo di struttura funzioni benissimo e sia gestita alla perfezione da Jemisin che con Essun infrange anche la quarta parete usando la seconda persona singolare.

In questo libro vengono trattati un’infinità di temi, che si legano ad ognuno di questi personaggi e ad altre figure che ruotano attorno a loro, potrei davvero compilare una lista infinita di tematiche che ritroviamo ne “La Quinta Stagione”, da quelle più evidenti come la morte e la distruzione a quelle che spuntano durante la lettura come il labile rapporto fra gli esseri umani in un mondo che vive costantemente sull’orlo della fine, e su come si affaccino gli esseri l’uno all’altro.

E’ un libro difficile da digerire, oscuro e pesante, con vari eventi traumatici per i personaggi che rimbalzano sul lettore, è uno di quei testi che vi da quella sensazione di aver vissuto mano nella mano con i personaggi durante tutti questi eventi negativi, di averli accompagnati e di aver quasi sentito il passaggio del tempo sulla vostra pelle.

Ci troviamo proiettati in tempi diversi, scenari diversi, un’alternanza di momenti traumatici a momenti quasi di pace in cui le persone si avvicinano e spunta quella scintilla di umanità che in questo mondo sembra quasi del tutto spenta.

Conclusioni

“La Quinta Stagione” è un testo massiccio, non tanto a livello di pagine, ma a livello di eventi, conoscenze e evoluzioni che viviamo assieme ai personaggi, ci ritroviamo con loro in questa specie di viaggio che si snoda in tempi diversi, ma sembra sempre proiettato ad un futuro incerto verso cui si avverte una speranza che però è molto flebile.

E’ un testo affascinante per la struttura, per i personaggi, per le tematiche, per il mondo che Jemisin ha creato e per il modo in cui riesce ad immergere e gestire tutto questo.

I personaggi sono veri, reali e non si fatica ad entrare in contatto con loro in modo profondo e sentito.

Devo darmi una mossa a leggere il secondo volume, perché inutile dirvi che il primo termina con quel classico finale tranciato che lascia parecchio in ballo.

Voto:

E voi? Avete mai letto “La Quinta Stagione”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!