In Sintesi – Sylvia Plath. Le Api sono tutte Donne di Antonella Grandicelli

Buongiorno!

Come state? Sentite anche voi il freddo gelido che inizia ad insinuarsi ovunque? Beh, d’altronde siamo quasi a dicembre… si avvicina il gelo spietato.

Oggi recensione, o meglio recensione sintetizzata per la nuova rubrica “in sintesi”. Parliamo di un libro che ho letto qualche mese fa, sempre per la serie infinita legata a Sylvia Plath, biografie/biografie romanzate/testi di analisi poetica e affini, insomma non è primo libro di cui parliamo scritto su di lei e non sarà l’ultimo. Se siete degli habitué di questo spazio saprete che sono un’amante della Plath e mi piace leggere tutto (o quasi tutto) su di lei.

Quindi anche in futuro parleremo sicuramente di altri testi che ho in programma di leggere che la riguardano.

Di questo libro vi parlo in un episodio di questa rubrica perché per quanto io lo abbia apprezzato, non ho particolari punti da sottolineare o particolari riflessioni da analizzare.

Ma andiamo con ordine.

Sylvia Plath. Le Api sono tutte Donne – Antonella Grandicelli

Anno di Pubblicazione: 2022

Link all’acquisto: QUI

Trama

Un grandissimo talento, una favolosa bellezza, un’intelligenza acuta e sensibile. Nata a Boston nel 1932, Sylvia Plath mostra segni della sua eccezionalità fin da bambina e sembra destinata a una vita di soddisfazioni e successi. Pubblica la prima poesia a dieci anni, a diciotto vince una borsa di studio per il più prestigioso college femminile della East Coast americana, a ventitré va a terminare gli studi a Cambridge grazie a una borsa Fulbright. Qui incontra l’uomo della sua vita, Ted Hughes, giovane poeta dal brillante futuro, di cui si innamora perdutamente e che sposa. Belli e talentuosi, vivono tra le due coste dell’Atlantico, dedicandosi pienamente alla loro poesia e ai due figli. Una favola perfetta? All’alba dell’11 febbraio 1963, a trent’anni, Sylvia Plath si toglie la vita. Dietro di sé lascia incredibili poesie e un triste interrogativo su questa drammatica scelta. Attraverso la sua voce, ascoltiamo la storia di una delle più grandi poetesse del Novecento, la dolorosa lotta tra le sue luci e le sue ombre, l’ascesa e la caduta. La divina fragilità di un’anima.

Recensione

Dunque, questa è una biografia su Sylvia Plath, sicuramente non la più completa in commercio, alla fine parliamo di un testo di 200 pagine circa, ma io l’ho trovata una buona infarinatura per chi magari si vuole approcciare alla vita di Sylvia Plath.

Ci si gode maggiormente la lettura quando si ha già una base ma anche come primo approccio può funzionare. Ci sono due aspetti che io ho trovato molto interessati e nuovi, mai visti in altre biografie sulla Plath che ho letto negli anni.

Il primo riguarda l’ordine in cui i fatti vengono raccontati, nel senso che l’autrice parte dal momento della morte di Sylvia, dal momento in cui lei si sta suicidando e la sua testa è nel forno fino a tornare piano piano al giorno della sua nascita, quindi va a ritroso raccontando nel mentre i momenti salienti della sua vita, fino ad arrivare alla sua nascita.

Mi è piaciuta questa scelta e devo dire che funziona molto bene, è anche un qualcosa che getta, se possibile, un ulteriore velo di amarezza sulla vita della Plath perché quando arriviamo alla fine e questa bambina nasce, sappiamo a cosa andrà incontro (lo abbiamo appena letto).

Inoltre mi ricollego a quello che ho scritto prima, non è una biografia completa ed esaustiva al 100% anche perché racconta soprattutto gli episodi più importanti e lo fa mettendosi nei panni della Plath, questo è l’altro aspetto interessante, la Grandicelli adotta uno stile molto poetico che a me ha ricordato quello della Plath e non vi posso dire con certezza assoluta che questa sia stata una scelta certamente elaborata e mirata, perché non ho letto altro della Grandicelli, ma secondo me l’autrice simula, abbraccia lo stile della Plath.

E le riesce bene a mio vedere, è uno di quei rari casi in cui l’autrice di una biografia (o biografia romanzata) riesce a simulare la voce dell’autrice protagonista in modo credibile senza calcare troppo la mano o senza perdere il filo. Ad esempio io qualche tempo fa ho letto “Euforia” di Elin Cullhed, di cui abbiamo parlato qui, e come scrissi ai tempi Cullhed forza un pochino troppo la mano, la voce che lei associa alla Plath io l’ho trovata personalmente eccessiva in vari tratti e perde quindi di credibilità.

Ovviamente noi abbiamo fonti come i diari della Plath se vogliamo basarci su un qualcosa scritto effettivamente da lei e non possiamo sapere come la Plath avrebbe personalmente scritto determinati episodi della sua vita ad oggi (presenti e non nei diari), ma ovviamente siamo davanti ad una rielaborazione, una biografia romanzata (o autobiografia romanzata dato che la Plath della Grandicelli parla in prima persona).

Però conoscendo lo stile della poetessa ci si può immergere in questa lettura in modo piuttosto coerente con lo stile puro della Plath.

Centoquattro. Un numero, uno stupido numero. Stupidissimo e crudele. Il numero delle volte che lo avevo interrotto mentre lavorava. Ted le aveva contate. Tutte. Come colla, la nebbia si era di nuovo riversata su di me e mi era entrata giù per la gola.

In questo testo si nota indubbiamente il rispetto e la delicatezza con cui la Grandicelli si approccia a Sylvia Plath, narra delle sue vicende in prima persona mantenendo sempre però un buon equilibrio. L’ autrice fa senza dubbio emergere il lato sensibile e distruttivo di Sylvia, ma lo fa senza mai esagerare, senza estremizzare, seguiamo quello che sembra a tutti gli effetti un racconto, quello di una vita sofferta.

Piangevo. Per non farlo avrei dovuto essere priva di una parte del cervello, quella che ti fa ricordare chi sei.

Insomma, la scrittura della Grandicelli riesci davvero a rendere la Plath reale, il modo in cui l’autrice dipinge le sue emozioni tramite una Sylvia che si racconta è davvero riuscito.

Ripeto che ovviamente è una biografia romanzata, nel senso che la Grandicelli segue fatti realmente accaduti nella vita della poetessa ma immagina il contorno di questi fatti, li edulcora e soprattutto parla appunto con la voce di Sylvia.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa della Grandicelli? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

In Sintesi – Quando Eravamo i Padroni del Mondo di Aldo Cazzullo

Buongiorno!

Oggi sono qui con una nuova rubrica, “In Sintesi”. E che cos’è? È semplicemente una rubrica di recensioni di libri dove finiranno tutti i testi da me letti e di cui desidero parlarvi ma per cui non ho materiale sufficiente, quindi invece di pubblicare una delle solite recensioni classiche dove mi prendo tutto lo spazio per parlarvi di un testo in modo approfondito con varie opinioni e tutto, pubblicherò una recensione più stringata, sintetizzata insomma.

Preferisco dividere le due sezioni, quella delle recensioni classiche e questa relativa a quelle più brevi, perché di solito mi piace prendermi tutto lo spazio e il tempo per parlarvi di una lettura, mi piace scrivere una bella recensione lunga, ma per certi libri o non ho materiale sufficiente nel senso che non ho molto da dire o il libro non mi ha fornito un granché a livello di spunti/riflessioni. Capita di leggere quei testi che non ci danno molto o dopo poco si cancellano nella nostra mente oppure semplicemente sono testi graditi ma per cui non abbiamo grandi commenti o riflessioni.

Ecco, io di questi testi fatico a parlarvi perché non posso scriverci sopra una recensione classica e o li inserisco in un articolo in cui riunisco varie letture oppure non ne parlo proprio.

Tutto ciò per dire che “in sintesi” è una nuova rubrica di recensioni ma invece di essere quelle solite lunghe e belle rilassate, sarà una rubrica di recensioni più stringate.

Benissimo! E come primo libro per inaugurare questa rubrica ho deciso di parlarvi di “Quando Eravamo i Padroni del Mondo” di Aldo Cazzullo, testo che ho letto tempo fa e di cui non ho portato la recensione classica proprio perché i miei commenti non erano sufficienti.

Quando Eravamo i Padroni del Mondo – Aldo Cazzullo

Anno di Pubblicazione: 2023

Link all’acquisto: QUI

Trama

L’Impero romano non è mai caduto. Tutti gli imperi della storia si sono presentati come eredi degli antichi romani: l’Impero romano d’Oriente; il Sacro Romano Impero di Carlo Magno; Mosca, la terza Roma. E poi l’Impero napoleonico e quello britannico. I regimi fascista e nazista. L’impero americano e quello virtuale di Mark Zuckerberg, grande ammiratore di Augusto: il primo uomo a guidare una comunità multietnica di persone che non si conoscevano tra loro ma condividevano lingua, immagini, divinità, cultura. Roma vive. In tutto il mondo le parole della politica vengono dal latino: popolo, re, Senato, Repubblica, pace, legge, giustizia. Kaiser e Zar derivano da Cesare. I romani hanno dato i nomi ai giorni e ai mesi. Hanno ispirato poeti e artisti in ogni tempo, da Dante a Hollywood. Hanno dettato le regole della guerra, dell’architettura, del diritto che vigono ancora oggi. Hanno affrontato questioni che sono le stesse della nostra quotidianità, il razzismo e l’integrazione, la schiavitù e la cittadinanza: si poteva diventare romani senza badare al colore della pelle, al dio che si pregava, al posto da cui si veniva. A noi italiani in particolare i romani hanno dato le strade, la lingua, lo stile, l’orgoglio, e il primo embrione di nazione. Il libro racconta la fondazione mitica di Roma, dal mito letterario di Enea a quello di Romolo. L’età repubblicana, con gli eroi – tra cui molte donne – disposti a morire per la patria. L’avventura di golpisti come Catilina e di rivoluzionari come Spartaco, lo schiavo che ha ispirato ribelli di ogni epoca. La straordinaria storia di Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto, due tra i più grandi uomini mai esistiti. E la vicenda di Costantino: perché se oggi l’Occidente è cristiano, se preghiamo Gesù, se il Papa è a Roma, è perché l’impero divenne cristiano

Recensione

Vi avevo citato da qualche parte questo libro, forse negli obbiettivi di lettura per il 2024 riguardo alle letture a tema “antica Roma”. Comunque, fa parte di una lista di testi in parte già letti e altri da leggere che mi sono fatta proprio in tema.

Inizio con il dire che io di Cazzullo non avevo mai letto nulla, seguo la sua trasmissione su La7 al mercoledì e lo conosco per il suo essere giornalista, ma questo è stato il mio primo testo scritto da lui.

Penso sia un testo assolutamente di contorno, una lettura adatta a chi sa poco o nulla della storia dell’antica Roma o della fondazione di Roma/declino dell’impero romano, è una specie di riassunto sulla storia di Roma, dalle origini ai giorni nostri con in mezzo qualche riflessione di Cazzullo ma se avete letto altri testi di questo tipo o siete già a conoscenza della storia di Roma questo libro non aggiunge assolutamente nulla.

È letteralmente un riassunto, godibile certo, scorrevole e adatto a chi si approccia al tema o a chi ha bisogno di un recap perché magari sente di aver perso pezzi.

Non lo valuto in modo negativo, ma è un libro per me neutro, non ha aggiunto o tolto nulla.

Lo stile dell’autore è approcciabile, assolutamente fluido e direi semplice, senza particolari fronzoli.

Il libro risulta secondo me più apprezzabile in particolare quando ripercorre la storia di Roma e il declino dell’impero romano, la parte in cui si citano film/opere/cultura pop sul tema e con ambientazione romana non mi ha fatta impazzire.

È un libro neutro, una zona grigia, un volume che può avere un utilità per ripassare in generale la storia dell’antica Roma, dalle origini al declino, c’è qualche riflessione di Cazzullo come dicevo ma non è particolarmente originale o nuova.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Quando Eravamo i Padroni del Mondo”? Che ne pensate?

Spero che questa nuova rubrica vi piaccia, noi ci leggiamo prestissimo!

Il Villaggio Perduto – Camilla Sten

Eccoci qui!

Rieccomi! Come state? Come sono andate le ferie? Vi siete rilassati? Spero di sì!

Dunque, andiamo avanti con la catasta di recensioni che dobbiamo recuperare di libri di cui ancora vi devo parlare, ebbene sì, ho anche qualche in mente qualche idea per nuove e succose rubriche ma prima di tuffarci in queste vorrei almeno affrontare qualche recensione che attende da ormai troppo tempo.

Oggi parliamo de “Il Villaggio Perduto” di Camilla Sten, lettura del 2024 per me, testo di cui forse vi ho già accennato qualcosa qua e là.

Direi di non dilungarci, iniziamo!

Il Villaggio Perduto – Camilla Sten

Casa editrice: Fazi

Genere: thriller, suspance, thriller psicologico

Prezzo di Copertina: € 19,50

Prezzo ebook: € 9,99

Prima Pubblicazione (ITA): 2024

Link all’acquisto: QUI

Incipit

“Era un pomeriggio di agosto talmente soffocante che nepриre l’aria che entrava dai finestrini abbassati riusciva a mitigare la calura dentro l’abitacolo. Albin si era tolto il berretto e lasciava penzolare il braccio all’esterno, attento a non sfiorare con la mano la carrozzeria bollente. «Quanto manca?», tornò a chiedere a Gustaf. Gustaf gli rispose con un grugnito. Albin lo interpretò come un invito a consultare la mappa, se ci teneva tanto a saperlo. L’aveva già fatto. Non era mai stato nella cittadina verso cui erano diretti, troppo piccola per ospitare un ospedale e perfino una stazione di polizia. Era poco più grande di un villaggio. Silvertjärn.

Trama

Alice Lindstedt è una giovane regista di documentari costretta a barcamenarsi con la precarietà. C’è una storia, nascosta da qualche parte nelle crepe del passato, che la ossessiona da sempre. Nell’estate del 1959 il piccolo villaggio minerario di Silvertjärn è stato teatro di un evento inspiegabile: i suoi novecento abitanti sono svaniti nel nulla, lasciandosi dietro soltanto una città fantasma, il cadavere di una donna lapidata nella piazza del paese e una neonata di pochi giorni abbandonata sui banchi della scuola. Nonostante le indagini e le perlustrazioni a tappeto della polizia, non si è mai trovata alcuna traccia dei residenti, né alcun indizio sul loro destino. La nonna di Alice viveva nel villaggio, e tutta la sua famiglia è scomparsa insieme a loro. Le domande senza risposta sono troppe, e Alice decide di realizzare un documentario per ricostruire ciò che è realmente accaduto. Insieme a una troupe di amici si reca sul posto per i primi sopralluoghi: ben presto capiranno che non sarà così facile tornare indietro.

Recensione

Camilla Stan è nata in Svezia nel 1992 è la figlia della famosa scrittrice di gialli Viveca Sten. Ha scritto libri per ragazzi esordendo nella narrativa per adulti proprio con “Il Villaggio Perduto” nel 2024. Nel 2025 è uscito anche “L’erede” altro testo di genere thriller.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Dunque, lo stile di Camilla Stan è piuttosto godibile, direi assolutamente in linea con il genere a cui appartiene il libro. Riesce a creare questo clima generale di ansia e apprensione che funziona molto bene in un testo thriller che ti deve spingere avanti pagina dopo pagina. Non è ne troppo semplice nella scelta dei termini ne troppo aulico e complesso, c’è un buon mix, scorre bene e come dicevo, funziona.

Anche il ritmo è buono, non sempre lineare nel senso che è uno di quei testi in cui c’è un roller coaster di scene e rivelazioni/movimenti soprattutto nella parte finale in cui si salta un poco in giro su varie rivelazioni e dinamiche/scene. Ho apprezzato questo fattore che contribuisce a mio vedere a rendere il testo sempre attivo e entusiasmante per il lettore. Ovviamente ci sono momenti anche lenti, o meglio, in cui certe rivelazioni e collegamenti arrivano lentamente. È un sali-scendi a livello ritmico.

Le atmosfere secondo me sono il punto forte, l’aspetto più coinvolgente del testo. Anche perché siamo in un villaggio abbandonato, molte scene del libro si svolgono in una chiesa che sembra quasi maledetta e oscura, giriamo nelle abitazioni e nei luoghi lasciati a loro stessi e aleggia sempre questa nebbia di oscurità mista a mistero perché non sappiamo (come i personaggi) cosa è davvero accaduto in questo luogo.

Sappiamo solo che anni prima è stato esplorato questo villaggio in cui è stata trovata solo una donna lapidata nella piazza del paese e una neonata abbandonata, e basta. Nessuna traccia delle altre persone scomparse, nessun segno.

Quindi sono molto forti le vibes misteriose e oscure come dicevamo, anche perché ovviamente andando avanti con la lettura inizieranno ad emergere rivelazioni e punti ambigui della vita in questo villaggio poco prima della sparizione dei suoi abitanti.

Finale e Rivelazione

Ovviamente non parleremo nel dettaglio del finale, vorrei evitare spoiler anche se a volte non riesco a controllarmi e qualcosa mi sfugge. Ma perché dedico una sezione di questa recensione al finale e alla rivelazione? Perché è forse uno dei pochi punti che non mi hanno convinta del tutto, so che è stato criticato il finale e la risoluzione del mistero. Io ho apprezzato comunque la rivelazione, certo forse ci si poteva arrivare e mi rendo conto che non sia un colpo di scena di quelli che ti fanno ripensare alla tua intera esistenza, ma è coerente con la trama e con gli indizi che vengono presentati e per certi versi può stare in piedi, magari scricchiolando un pochino, ma può funzionare.

Ci sono però alcune scene nel finale che hanno fatto storcere il naso ad alcuni lettori di questo testo e anche a me, nonostante mi sia indubbiamente piaciuto e nonostante io senta di poter passare sopra a queste piccole “incongruenze/dinamiche un poco forzate”, sono comunque presenti e hanno a che fare con il fatto che alla fine quando il tutto viene rivelato scopriamo il volto dietro a certi atti e questa persona compie azioni non del tutto coerenti con alcune sue caratteristiche. Non posso dire altro senza fare spoiler, ma alcune scene pensando alle dinamiche sono forse un poco forzate

I personaggi e l’atmosfera

A mio avviso l’utilizzo di un luogo simile con una storia simile come scenario di un libro funziona a meraviglia, non si sbaglia con un luogo abbandonato, avrà sempre quel fascino decadente e tetro che piace, ed è come dicevo uno dei punti forti perché oltre al luogo capiamo presto che in questo villaggio sembra muoversi una (o più) presenza oscura, accadono fatti che hanno del paranormale e infatti fino ad un certo punto del volume si può anche vagliare questa opzione. Quindi sappiamo che i personaggi sono soli, isolati, in un luogo strano e cupo in cui si muove un qualcosa di sconosciuto.

Inoltre alcuni personaggi hanno un rapporto teso, dinamiche interne problematiche e questo accresce il livello di tensione. Abbiamo un gruppo di amici che si reca appunto in questo luogo per girare un documentario, il problema è che piano piano la situazione inizia a peggiorare, per problematiche varie e il gruppo si ritrova appunto isolato.

I personaggio a mio vedere sono ben costruiti, abbiamo chiare le loro dinamiche e sono figure che è facile seguire con interesse, non sono quelle macchiette di cui non ci importa nulla insomma.

Inoltre uno dei luoghi più inquietanti del villaggio è proprio la chiesa, che ha un ruolo molto importante anche nel comprendere il mistero, e dopo mesi di lettura nel mio cervello è rimasta impressa la descrizione del Cristo presente in questa chiesa che viene presentato non come una figura rassicurante o benevola, ma come una figura minacciosa, truce, con questi occhi quasi cattivi e torvi. Tra l’altro la chiesa diventerà proprio il campo base, il rifugio del gruppo che non si sente più sicuro ad un certo punto a dormire all’esterno.

La chiesa è presente anche in copertina ed è un collegamento alla trama base perché scopriremo solo in fase di lettura la sua importanza nel passato e nel presente.

Conclusioni

Questo thriller lo considero un testo assolutamente godibile, con una trama che tiene il lettore sul filo e in generale uno di quei testi che ti costringono a mangiare una pagina dopo l’altra. A parte qualche piccolo punto debole (come quello legato ad alcune scene nel finale) resta un testo perfetto per una lettura che riesce ad unire mistero, atmosfere tetre e rivelazioni oscure.

Lo consiglio assolutamente soprattutto se avete voglia di un libro carico di atmosfera e intrighi.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Camilla Sten? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A prestissimo!

Circe – Madeline Miller

Ehi ehi, eccoci qui!

Finalmente è arrivato il momento di parlare di “Circe” di Madeline Miller, era ora! Ma prima di tutto, come state? Come sta andando questo marzo strano?

Abbiamo parlato in parte di “Circe” perché è stato nominato nella top five delle mie letture del 2024, ma abbiamo giusto spolverato la superficie, abbiamo toccato solo l’involucro esterno di questo pacchetto, non ci siamo addentrati in profondità nel contenuto, ma oggi è il giorno giusto per farlo!

“Circe” di Madeline Miller è un libro del 2018 che ha riscosso un enorme successo, si è parlato molto delle opere di questa autrice, in particolare di “Circe” appunto e de “La Canzone di Achille”, per mesi e mesi sono stati una presenza costante sui social e non solo, e devo dire che anche ora vengono citati ogni tanto.

Comunque, bando alle ciance, iniziamo con la recensione!

Circe – Madeline Miller

Casa editrice: Sonzogno/Feltrinelli

Genere: mitologia, fantasy

Prezzo di Copertina: € 18,90 (Ed. Feltrinelli: € 13,30)

Prezzo ebook: € 8,99

Prima pubblicazione: 2018

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Nacqui quando ancora non esisteva nome per ciò che ero. Mi chiamarono ninfa, presumendo che sarei stata come mia madre, le zie e le migliaia di cugine. Ultime fra le dee minori, i nostri poteri erano così modesti da garantirci a malapena l’immortalità. Parlavamo ai pesci e coltivavamo fiori, distillavamo la pioggia dalle nubi e il sale dalle onde. Quella parola, ninfa, misurava l’estensione e l’ampiezza del nostro futuro. Nella nostra lingua significa non solo dea, ma sposa. 

Trama

Ci sembra di sapere tutto della storia di Circe, la maga raccontata da Omero, che ama Odisseo e trasforma i suoi compagni in maiali. Eppure esistono un prima e un dopo nella vita di questa figura, che ne fanno uno dei personaggi femminili più fascinosi e complessi della tradizione classica. Circe è figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Perseide, ma è tanto diversa dai genitori e dai fratelli divini: ha un aspetto fosco, un carattere difficile, un temperamento indipendente; è sensibile al dolore del mondo e preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Quando, a causa di queste sue eccentricità, finisce esiliata sull’isola di Eea, non si perde d’animo, studia le virtù delle piante, impara a addomesticare le bestie selvatiche, affina le arti magiche. Ma Circe è soprattutto una donna di passioni: amore, amicizia, rivalità, paura, rabbia e nostalgia accompagnano gli incontri che le riserva il destino – con l’ingegnoso Dedalo, con il mostruoso Minotauro, con la feroce Scilla, con la tragica Medea, con l’astuto Odisseo, naturalmente, e infine con la misteriosa Penelope. Finché – non più solo maga, ma anche amante e madre – dovrà armarsi contro le ostilità dell’Olimpo e scegliere, una volta per tutte, se appartenere al mondo degli dèi, dov’è nata, o a quello dei mortali, che ha imparato ad amare. Poggiando su una solida conoscenza delle fonti e su una profonda comprensione dello spirito greco, Madeline Miller fa rivivere una delle figure più conturbanti del mito e ci regala uno sguardo originale sulle grandi storie dell’antichità.

Recensione

Circe è il secondo libro di Madeline Miller ed è stato pubblicato il 10 aprile 2018 in lingua originale inglese, il libro è stato tradotto in altre sei lingue tra cui l’italiano e ha avuto buoni riscontri da parte della critica, tanto da essere stato finalista per il Women’s Prize for Fiction.

Come dicevamo ha riscontrato un grande successo, soprattutto in America e Inghilterra dove per settimane si è guadagnato i primi posti delle classifiche.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Lo stile dell’autrice è assolutamente godibile, ben equilibrato, evocativo, si adatta al meglio alla vicenda e ai fatti narrati, insomma funziona bene e non ho particolari appunti o critiche da smuovere. La scrittura della Miller non risulta mai pesante o frastagliata o troppo arzigogolata, come dicevo è ben equilibrata, ovviamente ci sono momenti più lenti nella narrazione, ma lo stile resta piacevole e anzi in alcune scene l’autrice riesce secondo me, per un connubio di termini, sinuosità della prosa, immagini scelte, a creare istanti decisamente vividi in cui la narrazione sembra sospesa e ci si ritrova in questa bolla ad ammirare la scena descritta.

È di certo un romanzo in cui ci si gode la sequenza, le avventure, ci si imbarca in un viaggio e anche per questo ci sono momenti in cui il ritmo è più concitato e altri in cui è più rilassato e lento, anche se guardando in toto il romanzo direi che il ritmo è piuttosto disteso per la maggior parte delle vicende. La Miller si prende il tempo per la descrizione di alcune scene significative, ma non diventa mai pedante o eccessiva.

L’atmosfera generale è quella di un mondo sospeso, Circe nasce e cresce nell’Olimpo assieme a divinità, ninfe e titani, ma è evidente che quello non è il suo mondo, non riesce ad incastrarsi lì in mezzo a quelle creature che ci appaiono come egoiste ed egocentriche. Viene poi a contatto con gli esseri umani e successivamente esiliata sull’isola di Eea. Circe si muove nel mondo, ma personalmente ho avvertito sempre questo senso di sospensione dato dall’incertezza per il futuro di Circe e dalla sua difficoltà nell’entrare a pieno nel mondo, che sia quello divino o quello umano, che comunque le va più a genio. Leggendo il testo sembra di navigare assieme a Circe in un mondo sconosciuto, incerti nei confronti del futuro, provando questo senso di sospensione prima della tempesta.

Lo stile dell’autrice riesce a delineare davanti agli occhi del lettore le immagini, le atmosfere e le scene tipiche del mondo degli dèi per come ci viene descritto e di quello umano che a tratti tocca il divino.

Il vero potere di Circe

Nell’immaginario collettivo Circe è la maga Circe, ovvero colei che nell’Odissea trasforma in maiali i membri dell’equipaggio di Ulisse.

Circe in realtà ha una storia molto più ampia ed interessante che viene esplorata in questo testo, la seguiamo infatti dalla nascita all’età adulta, anche se stiamo comunque parlando di una figura immortale, che ha però un suo preciso processo di crescita ed è chiara la sua evoluzione attraverso le esperienze che vive e che la forgiano in un modo o nell’altro.

La sua infanzia è burrascosa nell’Olimpo, figlia del Titano Elios (dio del sole) e della ninfa Perseide, è sorella di Perse, Eete e Pasifae. Circe viene derisa dalla madre e dai fratelli per la sua apparente mancanza di un vero dono e per il suo non riuscire ad integrarsi nell’Olimpo, Circe infatti non riuscirà mai ad entrare pienamente nella mentalità degli dèi e delle ninfe che abitano questo luogo. Il padre sembra mal sopportarla, ma è l’unica figura con cui in giovane età Circe sembra avvicinarsi per cercare protezione fino alla nascita di Eete, fratello ripudiato dalla madre Perseide che Circe cresce da sola più come un figlio che come un fratello.

Parleremo meglio della dinamica fra Circe e il padre Elios a breve, prima vorrei concentrarmi sull’evoluzione di Circe e sul come questa venga rappresentata al meglio nel corso del volume.

Circe cresce fra una mancanza e l’altra e una delle prime esperienze che cambiano il suo modo di vedere il mondo è l’incontro con il Titano Prometeo, colui che rubò il fuoco dall’Olimpo per donarlo agli esseri umani e che venne punito da Zeus con un castigo eterno. Questo incontro proibito lascia spazio ad un dialogo fra lei e Prometeo che inizia a seminare il germe della curiosità e della fascinazione di Circe verso gli umani.

La ninfa finirà per innamorarsi di un umano infatti e farà di tutto per trasformarlo in dio, peccato che gli eventi non seguiranno il corso sperato da Circe e questo una volta diventato dio, gli preferirà un’altra ninfa. Circe distrutta dal dolore e dalla rabbia trasformerà la ninfa in mostro, passato alle leggende con il nome di Scilla.

Circe inizia quindi a comprendere di avere dei poteri che avrà modo di coltivare una volta esiliata sull’isola di Eea dopo un duro scontro con il padre che segna la rottura definitiva fra i due.

Qui Circe vive varie avventure, tra cui anche l’incontro con Ulisse da cui nascerà il figlio Telegono.

La Circe che incontriamo all’inizio è molto diversa da quella che ci lasciamo alle spalle una volta terminata la lettura, Circe da ninfa sperduta, rinnegata e smarrita diventa una strega/maga molto potente, madre di un figlio, una donna che ha avuto modo di conoscere gli esseri umani e di preferirli agli dèi. Nonostante il castigo e l’esilio Circe riesce comunque a scoprire almeno una parte di mondo e a costruire legami importanti.

Circe conquista la maturità necessaria per affrontare finalmente il padre e per sistemare gli errori commessi come la trasformazione di Scilla da ninfa bellissima a mostro spietato. Anche il suo atteggiamento nei confronti della vita e del rapporto con gli umani cambia drasticamente nel corso del romanzo.

“Le donne umiliate mi sembrano il passatempo preferito dei poeti. Quasi non possa esistere storia senza che noi strisciamo o piangiamo.”

Insomma l’autrice è riuscita a pieno nel rappresentare l’evoluzione di un personaggio sotto tutti i suoi aspetti, quello caratteriale, quello legato all’evoluzione dei propri poteri e quello legato al suo approccio nei confronti del mondo e di se stessa.

Questi dèi spocchiosi sono ovunque

Ah, parliamo di un tema presente nel romanzo su cui l’autrice sicuramente insiste molto e che io ho personalmente apprezzato. Ovvero la critica al mondo dell’Olimpo e il rapporto fra Circe e la sua famiglia.

Come dicevo dalla lettura emerge un quadro piuttosto negativo del mondo degli dèi, Circe è circondata da esseri egocentrici ed egoisti, a cui importa solo di essere più forti di altri dèi, per loro tutto è volatile, sono creature immortali che hanno già visto tutto quello che c’era da vedere e lo faranno per sempre, quindi sono annoiati, rinchiusi in una prigione di arroganza, una notizia nuova di cui parlare è già vecchia il giorno dopo, sono creature che non danno realmente peso alle tragedie che provocano.

Un tempo pensavo che gli dèi fossero opposti alla morte, ma adesso vedo che sono più morti che altro, perché sono immutabili, e non possono trattenere nulla nelle mani.

E così appare anche il padre di Circe, Elios, una figura che all’inizio sembra supportare Circe rispetto agli altri membri della famiglia, ma egli si rivela ben presto un’essere a cui importa solo di dimostrare agli altri il proprio potere e non sembra né comprensivo, né tollerante nei confronti di una figlia che sbaglia e che non sembra avere doni o poteri.

Il rapporto fra Circe e Elios è uno dei temi più interessanti del romanzo, questa dinamica di odio e amore o meglio dire ammirazione e rifiuto che si ripresenta in varie fasi del testo è fonte di riflessione e crescita per Circe. Elios punisce la figlia in modo doloroso ed umiliante, la lascia sola nel suo castigo (anche se Circe sa che la guarda) e l’abbandona.

Stessa cosa vale per gli altri membri della famiglia, la madre Perseide non la considera nemmeno sua figlia e l’abbandona come il padre, il fratello Perse non ha molto a che fare con Circe, la sorella Pasifae, moglie di Minosse, invece la chiamerà in aiuto al momento del parto del Minotauro, evento in cui Circe farà la conoscenza di Dedalo con cui darà vita ad un rapporto. In questa occasione infatti Circe dal suo esilio si reca a Creta e oltre ad assistere la sorella, che sembra essere stata costretta dalle circostanze alla chiamata, incontra per la prima volta anche la nipote Arianna, colei che si innamorerà di Teseo.

Ho apprezzato particolarmente questa avventura a Creta di Circe, le scene che dipinge Madeline Miller, i dialoghi, l’ambientazione, senza parlare del fatto che il tutto è particolarmente evocativo ed intenso in queste scene. C’è anche una scena in cui Circe di notte si immerge in questo lago sotto ad una montagna, è sporca di sangue e ferita dopo aver aiutato Pasifae a partorire e decide di fare il bagno in questo lago, alla luce della luna, con i suoni della notte, una scena meravigliosa.

Parlando dell’ultimo fratello invece, colui che Circe cresce come un figlio e con cui ha il legame più forte a livello famigliare, diciamo che la vicenda ci mostra un Eete molto diverso da quel fratello che giocava con Circe nell’Olimpo e che la ninfa amava profondamente.

Conclusioni

Circe è un libro che vi consiglio, sia che siate amanti della mitologia greca sia che siate lontani da tutto ciò che ha a che fare con un retelling di un mito greco. Abbiamo l’atmosfera dell’Olimpo, degli dèi, dei mostri, il concetto di divino e di eternità certo, ma abbiamo anche un discorso universale e umano, quello della crescita e della trasformazione, del dolore, dell’essere in grado di risollevarsi e trovare la propria natura, ma anche quello dell’amore.

Circe è personaggio che all’inizio soffre molto ed emerge questo senso di sofferenza e odio per l’ambiente in cui si trova e per il suo sentirsi inadatta, ma con il tempo conquista ciò che è suo e trova la sua forza.

I personaggi che arriviamo a conoscere sono ben caratterizzati e funzionano bene nel quadro generale del romanzo.

Se devo muovere una piccola critica, o comunque sottolineare un aspetto che non mi ha convinta, è la parte centrale del romanzo che in brevi tratti rallenta e perde un poco di vigore rispetto al resto del testo. In più non ho amato molto la parentesi legata all’amore fra Circe e Ulisse, ma anche nel mito originale non sono mai stata entusiasta o particolarmente attratta da questa coppia, qui ho trovato le scene in cui Ulisse resta su Eea con la ninfa un poco pedanti a tratti.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Circe”? Sì? Vi è piaciuto? No? Perché? Fatemi sapere!

A presto!

Guida al Trattamento dei Vampiri per Casalinghe – Grady Hendrix

Buonasera!

Come va? Come sta andando questo settembre?

Per molte persone settembre è l’inizio dell’anno, si cambia registro da un giorno all’altro anche a livello di clima oserei dire e se fino a qualche tempo fa eravamo immersi nella nube di distacco da tutto (tipica di agosto) oggi si fatica a farsi una ragione per la fine anche di queste ferie, sì lo so, siamo a oltre metà mese, ma il ricordo brucia.

Comunque, da una parte è quasi rassicurante il ritorno alla routine, certo e stabile, come la morte e le soap opera su Canale 5.

Oggi si torna a bomba con una recensione, parliamo di un testo che mi sono decisa a riprendere in mano dopo averlo messo in pausa circa un anno fa (sempre per colpa del mio periodo di scarse letture). Mi ci sono immersa di nuovo ricominciando da capo per essere certa di non perdermi nulla.

Parliamo subito de “Guida al Trattamento dei Vampiri per Casalinghe” di Grady Hendrix!

Guida al Trattamento dei Vampiri per Casalinghe – Grady Hendrix

Casa editrice: Mondadori

Genere: horror

Prezzo di Copertina: € 21,00 (ed. Strade Blu) € 14,00 (ed. economica)

Prezzo ebook: € 7,99

Prima pubblicazione: 2020

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Nel 1988, George H.W. Bush aveva appena vinto le elezioni presidenziali invitando tutti a leggere il labiale mentre Michael Dukakis aveva perso facendosi fotografare a bordo di un carro armato. Il dottor Robinson era il papà d’America, Kate e Ellie erano le mamme d’America, le protagoniste di Cuori senza età erano le nonne d’America, McDonald’s aveva annunciato l’apertura del suo primo ristorante in Unione Sovietica e tutti compravano una copia di Dal Big Bang ai buchi neri di Stephen Hawking, senza però leggerla, Il fantasma dell’opera esordiva a Broadway e Patricia Campbell si preparava a morire.

Trama

Difficile la vita di Patricia Campbell: il marito è troppo impegnato col lavoro, i figli con le loro vicende, l’anziana suocera ha bisogno di cure costanti per cui Patricia è sempre in ritardo nel suo infinito elenco di faccende domestiche. La sua unica oasi felice è un gruppo di lettura, formato da donne unite dal comune amore per il true crime. Nei loro incontri, invece che di matrimoni, maternità e pettegolezzi, si parla della famiglia Manson. Ma un giorno James Harris, bello e misterioso, viene a vivere nello stesso quartiere di Charleston e si unisce al gruppo. James è un uomo sensibile, colto e fa sentire a Patricia cose che non provava da anni. Eppure c’è qualcosa di strano in lui: non ha un conto in banca, non esce durante il giorno e la suocera di Patricia sostiene di averlo conosciuto da ragazza. Quando i bambini di colore cominciano a scomparire senza che la polizia faccia nulla, in Patricia e nelle amiche si fa strada il sospetto che James sia un serial killer, ma nessuno al di fuori del gruppo ci crede. Sono loro ad aver letto troppi libri di true crime o quello che si aggira nelle loro case è un mostro vero?

Recensione

Questo era stato il libro per il mese di maggio (2023) del gruppo di lettura, LiberTiAmo, io lo avevo iniziato e vi dirò mi stava anche piacendo parecchio, ma per il fatto che il 2023 è stato un flop a livello di letture (anche e forse soprattutto per colpa mia diciamolo) e per il fatto che mi sono impuntata di voler leggere tutti i testi citati all’interno di questo libro prima di leggere il libro in questione… eh insomma, l’ho abbandonato. O meglio, messo in pausa con la ferma speranza di riprenderlo un domani.

L’ho ripreso in mano due mesi fa, a luglio, e in pochi giorni l’ho divorato.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Lo stile di Hendrix è decisamente scorrevole, direi che si concentra su ogni dettaglio con le tempistiche giuste senza mai eccedere. Capita a volte quando parliamo di un libro corposo (ma anche di un libro breve in certi casi) di avere la sensazione di star leggendo un testo con più pagine del dovuto, il classico pensiero “ci sono 50/100 pagine in più”, ci sono vicende in cui si nota la presenza di una lunghezza non necessaria. Non è questo il caso perché la storia di Patricia prende diverse pieghe e la storia che l’autore ci narra non è breve, ma ha tanti snodi. Questo non vuol dire comunque che una storia di base lineare o semplice non possa essere narrata in un libro di 700 pagine, dipende tutto da come lo si fa ovviamente.

Il ritmo è ben gestito, ci sono momenti della vicenda in cui rallenta e getta il lettore in uno stato di abbattimento perché desidera un movimento, e altri in cui l’autore mette il turbo (soprattutto in scene di tensione) e il battito accelera. C’è una scena in particolare che è una delle più agghiaccianti a mio vedere. Vi dirò, il libro è comunque un horror medio soprattutto se siete lettori che sguazzano da tempo già nel genere e non vi impressionate facilmente o comunque amate l’horror e leggete con frequenza testi di questo tipo. C’è qualche scena se vogliamo più horror o inquietante rispetto al tono generale, ma in linea di massima nulla di sconvolgente.

È il modo però in cui l’autore riesce a costruire la tensione che fa funzionare tante scene, l’occhio ai dettagli, le emozioni dei personaggi.

L’atmosfera generale infatti è variabile, abbiamo queste scene di amicizia e chiacchierate fra amiche, questo mood da gruppo di lettura fra casalinghe e quest’altra atmosfera di sottile inquietudine sempre presente, quando si avverte che qualcosa non va, che certi eventi o comportamenti nascondono altro.

Le tematiche affrontate

In questo libro ritroviamo una sfilza di tematiche che ci vengono presentate, l’amicizia femminile, il lavoro della casalinga e l’essere sottovalutata per questo lavoro, il tema dei mariti/uomini che sembrano non avere molta considerazione nei confronti delle loro mogli, c’è una buona dose di maschilismo in questo testo, l’essere considerata pazza, isterica, ma c’è anche il tema dello sconosciuto, dello straniero rappresentato da questo James, un uomo affascinante che entra quasi di prepotenza nella vita di Patricia e le fa terra bruciata attorno.

James è un personaggio molto interessante, perché ci viene presentato all’inizio come il nipote di una anziana signora recentemente defunta e vicina di Patricia (tra l’altro la nostra protagonista ha un ultimo incontro molto violento e strambo con questa signora), che pian piano inizia a chiedere favori a Patricia che in un primo momento è la prima a farsi avanti, più che altro per cortesia e perché le dispiace per la morte della parente.

Le cose man mano degenerano e Patricia iniziare ad avere dei sospetti su James perché nel frattempo in città (in una zona in particolare della città) stanno scomparendo dei bambini e alcuni sembrano comportarsi in modo strano.

James rappresenta lo “straniero”, l’elemento esterno che irrompe nella vita di una donna normale, una madre, una moglie, una casalinga piena di impegni e commissioni, con il suo gruppo di lettura e le sue chiacchierate fra amiche che a volte virano sulla cronaca nera e il true crime essendo loro appassionate di letture di questo genere.

Infatti c’è un collegamento che si crea con il titolo “Un Estraneo al Mio Fianco” (libro di Ann Rule in cui l’autrice racconta del suo rapporto con il serial killer Ted Bundy) e i primi sospetti che inizia ad avere Patricia su quest’uomo di cui alla fine non sa nulla di vero, la donna riflette, ricollega pezzi di discorsi e risposte dell’uomo per arrivare a capire inoltre che molte informazioni non sembrano vere, James si contraddice, mente.

James rappresenta anche il mostruoso, la minaccia, il nemico con cui sei costretta a convivere, l’elemento di cui non ti puoi fidare, sempre in agguato.

Non spoilero nulla se vi dico direttamente che James è la minaccia principale in questo libro perché si può intuire e anche nella trama che si trova in vari siti o all’interno stesso del libro non viene celata questa informazione.

Tra le tematiche citate sopra e a mio vedere maggiormente presenti c’è quella del sessismo e del maschilismo, ci sono momenti in cui questo libro diventa irritante proprio per scene di questo tipo da me interpretate come una scelta ben precisa dell’autore, che ha voluto mettere sotto i riflettori questo senso di superiorità dei mariti di queste donne nei loro confronti, l’autore tratteggia una realtà in cui questi uomini abusano delle mogli, mentalmente, fisicamente, e non danno loro credito per nulla. In particolare il marito di Patricia ad un certo punto del testo arriva persino a farla ricoverare nel reparto psichiatrico dove lavora lui e davanti ai loro bambini la umilia e ciò crea un profondo senso di odio in Patricia per lui.

Questo accade dopo un evento preciso, ma la parentesi dell’umiliazione e del trauma che questo padre non cerca di curare, ma anzi alimenta nei bambini solo per metterli contro alla madre è disgustoso.

Forse vi dirò che sono più forti e fastidiose determinate scene di sessismo che altre puramente horror.

Il libro si apre con la definizione presa dall’Oxford English Dictionary del 1971 per il termine “casalinga”, definita: “donna o ragazza superficiale, senza valore”.

Per me questa scelta di inserire questa determinata definizione all’inizio del testo è stato presagio di tematiche come il sessismo e il maschilismo, per questo dico che è una scelta dell’autore. Insisto su questo punto perché mi è capitato di leggere alcuni commenti in cui non era chiaro se queste tematiche fossero rappresentate appositamente oppure no.

Un altro tema è il razzismo, tematica rappresentata soprattutto dal personaggio di Miss Mary, donna di colore badante nella prima parte del libro della suocera di Patricia. Questa donna vive in una zona della città popolata soprattutto da afroamericani ed è palese il livello di razzismo e superficialità con cui viene trattata questa signora, le problematiche che affliggono queste persone e questa zona appunto citata che è tra l’altro il luogo dove stanno scomparendo questi bambini.

Patricia cerca di aiutarla e Miss Mary prova a fidarsi di lei, ma è oramai abituata a non essere ascoltata o considerata.

I personaggi principali e il punto finale della vicenda

Vorrei inoltre avvicinarmi alla fine di questa recensione parlando un secondo di più dei personaggi principali, faccio riferimento soprattutto a Patricia e a James.

James, come scritto sopra è il mostro, l’uomo che nasconde chiaramente grossi segreti, è anche però un personaggio sfuggente, molte volte non presente, va fuori città, si nasconde in casa, non si fa vedere.

Trovo però che riesca sempre in un modo o nell’altro a esserci senza essere per forza presente a livello fisico, Patricia fa spesso riferimento a lui, ci pensa, ne parla con altri, è la classica presenza fissa e mantiene bene quell’alone di mistero proprio per il suo essere sfuggente.

L’unico momento in cui cala il personaggio di James a mio vedere è nel finale, c’è una scena in cui si ritrova con le donne di queste club di lettura e assume un comportamento che spezza questa sua figura da villain.

Patricia invece è una donna normale come dicevamo, ligia alla sua famiglia e ai suoi doveri, una donna che non spezza le regole di solito, ma si convince di aver visto e di sapere qualcosa di importante e non può girarsi dell’altra parte, sente il bisogno di agire, vuole anche un po’ di brivido nella sua vita, come confida ad un’amica.

Patricia è comunque una donna con una forza interiore notevole, una determinazione potente, anche in momenti calanti dove sembra tutto negativo, sotto sotto resta fedele ai suoi sospetti.

La fine della vicenda è un poco velocizzata, alcuni personaggi prendono decisioni importanti, ma sembra tutto avanzare con una forte velocità, questo però riguarda proprio le ultime pagine, in generale direi che è un finale che funziona bene per gli eventi narrati.

Conclusioni

A me questo libro è piaciuto parecchio, di certo leggerò altro di Hendrix anche perché l’autore ha sempre uno stile e delle trame per i suoi testi molto accattivanti. Si assapora qui proprio l’America degli anni 80/90, l’atmosfera della vita tipica famigliare americana mista alla sfera horror, con vampiri, crimini, sangue, bambini rapiti…

È stata una lettura coinvolgente che mi dato un bello sprint!

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Hendrix? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

Una Questione Privata – Beppe Fenoglio

Buongiorno e buona festa della Repubblica!

Come andiamo? Come è andato il lungo mese di maggio?

Finalmente torno su questi schermi per una recensione, lo so, lo so, soliti impegni, soliti orari brutti che mi succhiano tempo, soliti ritardi. E io nel mentre che cerco di riemergere per dare qualche segnale di vita almeno, nulla di nuovo sotto il sole, ma il futuro è splendente e come sempre piano piano ci riprenderemo sperando in una tanto agognata costanza.

Ma oggi, parliamo di un libro di cui devo parlarvi da mesi, ovvero quella che è stata la lettura di gennaio per il gruppo, quindi “Una Questione Privata” di Beppe Fenoglio.

Il libro tratta un tema caro a Fenoglio, ovverosia la guerra partigiana negli anni finali della seconda guerra mondiale.

Parliamone!

Una Questione Privata – Beppe Fenoglio

Casa editrice: Einaudi

Pagine: 208

Genere: narrativa

Prezzo di Copertina: € 12,00

Prezzo ebook: € 7,99

Prima Pubblicazione: 1963

Link all’acquisto: QUI

Incipit

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava sulla città di Alba. Il cuore non gli batteva, anzi sembrava latitante dentro il suo corpo. Ecco i quattro ciliegi che fiancheggiavano il vialetto oltre il cancello appena accostato, ecco i due faggi che svettavano di molto oltre il tetto scuro e lucido. I muri erano sempre candidi, senza macchie né fumosità, non stinte dalle violente piogge degli ultimi giorni. Tutte le finestre erano chiuse, a catenella, visibilmente da lungo tempo.

Trama

«È difficile trovare, nella letteratura italiana degli ultimi cento anni, un romanzo in cui amore e guerra, giovinezza e morte si intrecciano in modo così magico». (Nicola Lagioia). Nelle Langhe, durante la guerra partigiana, Milton (quasi una controfigura di Fenoglio stesso) è un giovane studente universitario, ex ufficiale che milita nelle formazioni autonome. Eroe solitario, durante un’azione militare rivede la villa dove aveva abitato Fulvia, una ragazza che egli aveva amato e che ancora ama. Mentre visita i luoghi del suo amore, rievocandone le vicende, viene a sapere che Fulvia si è innamorata di un suo amico, Giorgio: tormentato dalla gelosia, Milton tenta di rintracciare il rivale, scoprendo che è stato catturato dai fascisti…

Recensione

Finalmente è arrivato il momento di parlare di questo testo, mi sono fatta più che attendere, ma alla fine eccoci qui.

Mi sento persino arrugginita nello scrivere recensioni dato che è passato del tempo dall’ultima che ho scritto in versione integrale diciamo, ma cercherò di fare del mio meglio.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Lo stile di Fenoglio è di certo diretto, chiaro e amaro in alcuni tratti. L’autore utilizza un lessico all’apparenza semplice che si adatta alla perfezione ai personaggi che ci ritroviamo a seguire nel corso del libro, parliamo di persone che sono nel mezzo di una guerra, partigiani (perlopiù ragazzi giovani) che si raggruppano in varie in varie formazioni ognuna con i propri pregi e difetti se vogliamo. Alcuni di questi ragazzi, come Milton il protagonista, sono ex universitari che hanno preso la decisione di unirsi appunto ai partigiani, ma la vita che vive il giovane è una vita fatta di attesa, violenza, nascondigli e strategie.

Parleremo meglio dei personaggi più avanti nella recensione, ma tornando al lato più tecnico del libro quindi quello riservato alla scrittura, ci tengo anche a dire che il ritmo generale della vicenda è a mio vedere ben gestito, non ci sono mai momenti calanti o fiacchi, anche in scene rilassante e lente il lettore resta comunque incuriosito dalla vicenda.

L’atmosfera generale è fredda oserei dire, viaggiamo con Milton attraverso scenari diversi, siamo nel novembre del 1944 ad Alba e nelle sue vicinanze, Milton si lascia trasportare all’inizio da un forte senso di malinconia e tristezza che si tramuta in desiderio di verità perché il ragazzo scopre un qualcosa che mette sottosopra tutte le sue convinzioni. Inizia così una corsa alla ricerca di un ragazzo, tale Giorgio Clerici, anche lui partigiano e amico di Fulvia e Milton, colui che ha in mano la verità.

Il romanzo è quindi una corsa contro il tempo di Milton per ritrovare Giorgio che nel frattempo è stato catturato dai fascisti e rischia la morte. Assieme a Milton ci ritroviamo quindi sopraffatti dall’angoscia di non riuscire possibilmente nell’impresa, l’angoscia del non poter dare una risposta alle mille domande. In tutto ciò siamo ricoperti da uno scenario freddo e nebbioso, con case rigide in cui i partigiani si nascondono e cercano alloggio nella notte.

Il nostro Milton

Il testo si apre con Milton che torna in un luogo a lui molto caro, la villa di Fulvia, la ragazza di cui è innamorato e da cui è stato costretto ad allontanarsi per forza di eventi. Questa scena iniziale ci racconta già tanto su Milton e altri personaggi che saranno importanti ai fini della storia, iniziamo anche a comprendere un poco le dinamiche presenti ai tempi del rapporto fra Milton e Fulvia. È facile comprendere fin da subito che Milton è ancora innamorato della ragazza, ma all’interno di questa villa, nel mezzo di questa visita sul viale dei ricordi, il giovane scoprirà che tra Fulvia e Giorgio c’è stato qualcosa, un qualcosa di cui lui non era al corrente.

Come scritto prima, questa scoperta getterà Milton in uno stato di profonda irrequietezza, diventerà apprensivo e agitato. Dopo questo evento lo vediamo smosso solo dal desiderio di risposte.

Il Milton del libro è l’ombra di Fenoglio, l’autore stesso fu un partigiano e in “Un Questione Privata” dipinge una Resistenza senza fronzoli, ma al tempo stesso non dà una lettura singola e buonista della Resistenza. La vita da partigiano che Fenoglio mostra non è quella in cui viene esaltata la visione eroica, dipingendo magari una realtà priva di criticità, ma anzi l’autore ci mostra la realtà anche non del tutto linda della vita da partigiano, ci mostra personaggi anche problematici che in quel tempo e in quella situazione vivono cercando di muoversi tramite strategie e movimenti loschi.

Questo è senz’altro uno dei motivi per cui l’opera di Fenoglio è stata esaltata sempre come “il grande romanzo sulla vita partigiana e sulla Resistenza”, per il senso di realismo con cui l’autore ci mostra i personaggi e questo stile di vita aspro.

Durante la lettura viene spontaneo prendere in considerazione anche ciò che va oltre la storia che si sta leggendo, non stiamo solo seguendo le vicende di Milton o non ci sentiamo solo coinvolti nel turbine di emozioni che travolgono il protagonista, stiamo leggendo anche di Fenoglio stesso, della storia d’Italia, della Resistenza raccontata da chi l’ha vissuta in prima persona.
Non dico che le vicenda del protagonista passi in secondo piano, ma non si può non tenere conto di tutto il mondo che c’è dietro alla pura storia di questi personaggi che stiamo seguendo.

Tutto il testo si concentra su eventi che portano Milton all’apparenza sempre più vicino all’obiettivo ovvero l’incontro con Giorgio, gioca su una tensione sempre presente. E noi andiamo avanti aspettando che accada sempre qualcosa, quest’altra briciola che permetterà a Milton di arrivare forse a conoscere la verità.
Anche il finale è impostato in questo modo, leggiamo una scena che ci porta avanti e tira la corda fino all’ultimo per poi tagliare il testo e chiuderlo con un’ultima frase enigmatica che lascia principalmente due interpretazioni.

Milton alla fine è un personaggio vinto dalle circostanze e dalla vita, è un giovane che lotta in una guerra che sembra senza fine, rischia la morte ogni giorno e si aggrappa a ricordi lontani, ma questi sono fragili e spenti. Per questo quando scopre la verità sul rapporto fra Fulvia e Giorgio monta in lui questo senso di frenesia perenne, tutte le sue certezze vengono spazzate via, ciò di cui era certo riguardo i sentimenti di Fulvia diventa incerto e senza quella base a cui aggrapparsi la vita già ardua di Milton diventa impossibile.

È interessante anche la contrapposizione presente fra il personaggio di Milton e quello di Giorgio, amici certo, ma diverso l’uno dall’altro. Milton è un ragazzo intelligente, non bello d’aspetto come viene ribadito in varie occasioni, sensibile, proveniente da una famiglia non ricca, mentre Giorgio come Fulvia proviene da una famiglia certamente più agiata, è un bel ragazzo, secondo Milton non adatto alla guerra ed emerge da lui un certo senso di nobiltà per l’atteggiamento anche con cui vive con gli altri partigiani.

Insomma, Milton è un personaggio per cui non si può non provare un moto di empatia, è un eroe tormentato, pronto a mettere da parte tutte le conquiste o le imprese compiute in guerra, il suo unico pensiero ad un tratto diventa l’amore, Fulvia e la scoperta della verità.

Conclusioni

“Una Questione Privata” è un testo di cui raccomando assolutamente la lettura perché che ad essere un libro godibile è anche un testo che rappresenta senza fronzoli la realtà partigiana a ci accompagna nel viaggio di un ragazzo tormentato fra piani strategici per recuperare Giorgio, speranze distrutte e paesaggi duri.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Una Questione Privata”? Sì? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A prestissimo!

Il Capitano Alatriste – Arturo Pérez-Reverte

Buon giovedì!

Come state? Come state trascorrendo questo settembre?

Spero bene comunque, nonostante il clima imprevedibile e le mille peripezie.

Eccomi qui con una recensione finalmente dopo mesi di vuoto, avevo già accennato un ritorno e come scritto nello scorso articolo sono stati mesi complessi a livello di gestione tra lavoro, vacanze strane e il resto, quindi sbuco solo ora.

Ad ogni modo sto cercando di trovare un sistema di organizzazione giusto ed equilibrato che mi aiuti a riprendere anche al meglio qui sul blog o anche su Instagram (altra terra desolata dalla quale sono sparita) e piano piano ci sto riuscendo nell’impresa, a piccoli passi.

Comunque, oggi riprendiamo a parlare di libri e in particolare del libro che è stato in lettura per tutto il mese di giugno sul gruppo (come trovate come sempre su Goodreads, proprio qui, esatto qui), ovvero “Il Capitano Alatriste” di Arturo Pérez-Reverte.

Il Capitano Alatriste – Arturo Pérez-Reverte

Casa editrice: Rizzoli

Pagine: 207

Genere: narrativa, narrativa storica, avventura

Prezzo di Copertina: € 12,00

Prezzo ebook: € 7,99

P. Pubblicazione: 2015

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Non sarà forse stato l’uomo più onesto e neanche il più caritatevole della terra, ma era un uomo valoroso. Si chiamava Diego Alatriste y Tenorio e aveva combattuto come soldato nei vecchi battaglioni di fanteria durante le guerre delle Fiandre. Quando lo conobbi tirava a campare a Madrid, dove lo si poteva assoldare al prezzo di quattro maravedì per lavori di poco lustro, soprattutto come spadaccino per conto di chi non aveva l’abilità o il fegato necessari per risolvere da sé i propri contenziosi.

Trama

Diego Alatriste ha combattuto le guerre delle Fiandre e ora tira a campare come spadaccino al soldo nell’elegante e corrotta Madrid del Diciassettesimo secolo. I suoi nemici sono letali e numerosi, come l’inquisitore Bocanegra e l’assassino Malatesta. Un personaggio freddo e solitario, dal carattere rude e sbrigativo, lunghi silenzi affogati nel vino, una disperazione profonda, così come un cuore impavido e fiero. Le sue avventure trascinano il lettore tra gli intrighi della corte di Spagna, tra i viottoli bui dove scintillano spade sguainate e sogni di grandezza.

Recensione

Dunque, avevo sentito parlare di Arturo P. Reverte, ma non avevo ancora mai letto nulla di suo, l’autore è famoso per testi quali “Il Codice dello Scorpione”, “Il Club Dumas” e “L’Italiano”.

Il Capitano Alatriste è stato pubblicato nel 1996 ed è il primo volume di una serie composta da ben sette volumi, pubblicati negli anni da case editrici quali Salani e Tropea. Di certo questo primo volume è il più famoso, ma si trovano ancora buona parte degli altri sei magari con qualche ricerca in più.

Stile, Ritmo e Amotsfera

Allora, devo dire che lo stile di Reverte è godibile, piacevole alla lettura e crea scenari e atmosfere interessanti a tratti, ma in buona parte del testo l’ho trovato esageratamente prolisso soprattutto quando si parla di pensieri, opinioni e idee di altri personaggi esterni ad Alatriste.

La storia è narrata da questo uomo che ai tempi delle vicende trattate era un bambino ed era il pupillo di Diego Alatriste, divenuto pupillo in seguito alla morte del proprio padre che era amico di Diego e ai tempi della morte chiese a Diego di prendersi cura di lui o comunque di prenderlo sotto la sua ala.

Ebbene, ho trovato questo narratore a tratti esagerato nel perdersi in divagazioni non solo su Diego, ma anche sugli altri personaggi presenti nel libro e se da una parte queste divagazioni sono piacevoli ed interessanti a livello storico, altre sono forse esagerate.

Consideriamo sempre il fatto che è il primo libro di una serie quindi è normale che a tratti possa essere più prolisso, ma certe informazioni potevano anche essere inserite nel volume seguente anche per attirare il lettore nell’andare avanti con la serie.

Il ritmo generale del testo è costellato da alti e bassi, ci sono capitoli in cui sembra prendere il volo ed accelerare e altri in cui magari l’azione sembra bloccata da dialoghi o scene a mio vedere eccessivamente tirate per le lunghe, non l’ho trovato personalmente soddisfacente come testo a livello di ritmo della vicenda narrata, sembra quasi che proprio nei momenti in cui necessita di azione e ritmo l’autore preferisca invece buttarsi su riflessioni varie.

Ripeto è un testo scritto comunque in modo godibile nel senso che per me nonostante questi aspetti che a volte stancano la lettura, lo stile di Reverte resta comunque scorrevole di per sé.

Le atmosfere generali sono quelle storiche di una Madrid del Settecento, forse l’autore avrebbe potuto spendere più inchiostro nel provare a far immergere il lettore in queste atmosfere che sì, sono presenti, ma a volte ci si dimentica del tempo in cui ci si trova, avrei preferito con descrizione storica in più rispetto a dialoghi o riflessioni prolisse sul carattere dei personaggi.

Questo testo può piacere secondo me a chi apprezza i romanzi storici, in alcune brevissime scene mi ha dato delle vibes stile “I Tre Moschettieri”, ma è comunque molto diverso per vari aspetti e non dona quell’immersione storica a mio vedere.

… beh è stata un’esperienza

Questa lettura per me è stata nella media, a settimane di distanza come nell’immediato non mi ha lasciato particolari ricordi o emozioni degne di nota.

Sapete quanto leggete un libro e quello non è né un libro “odiato” o altamente problematico/criticabile nel senso di stile, vicende narrate, temi e tutto ciò che compone una storia, ma non è nemmeno un libro che vi è alla fine avete gradito, semplicemente finisce in quel limbo rappresentato dai libri considerati nella media, poi tra questi magari ci sono quelli non elettrizzanti ma che comunque vi hanno lasciato qualcosa e altri che invece non vi hanno lasciato nulla, avete letto quel libro, chiuso l’ultima pagina, lo avete riposto in libreria (o dato via in un qualche modo) e si è auto-cancellato dalla vostra memoria.

Ecco per me “Il Capitano Alatriste” è caduto dritto dritto in quel limbo, non è un libro scritto male o con una trama becera, con problemi vari riguardanti le tematiche o i personaggi, o tutti i vari problemi criticabili che un testo può avere, ma al tempo stesso per me non ha punti che lo fanno risaltare.

I personaggi sono interessanti, si perde troppo tempo volendo creare quasi subito una tela già finita per le caratteristiche di questi volendo inquadrare subito tutti i loro aspetti, però come prima opera mette in campo dei personaggi comunque apprezzabili sotto certi punti di vista, per cui il lettore può di certo provare curiosità.

La trama base ruota attorno ad un lavoro di Diego che ora, dopo la guerra, lavora su commissione diciamo come assassino o regolatore di conti nella maggior parte dei casi, ad esempio lui in caso di lotte fra amanti ha il ruolo di intimidire il rivale amoroso ecc.

Durante uno di questi lavori, svolto con un compagno che successivamente diverrà suo rivale, deve uccidere due giovani e diciamo che (senza voler fare troppi spoiler) questo lavoro diventerà più complicato del previsto anche per quando riguarda la sopravvivenza di Diego.

La trama non è malamente costruita, il problema è che tutto si risolve a pizza e fichi, una vicenda all’apparenza intricata si risolve velocemente con decisamente meno danni del previsto, durante la lettura è stato tutto così veloce che quasi non me ne sono accorta.

Il finale invece è il tipico finale di un primo libro, aperto a nuovi orizzonti.

Conclusioni

Insomma, è stata una lettura tutto sommato gradevole, ma come dicevo nella media, non ho trovato particolari aspetti di questo libro degni di nota o apprezzabili oltre al normale o almeno degni di essere citati come pregi, ma come dicevo non è nemmeno un testo spiacevole.

La vicenda centrale ha una sua risoluzione, ma questo libro sembra il primo capitolo di un libro con trenta e più capitoli, un primo approccio ad una vicenda più ampia.

Per me il voto generale è di tre stelline su cinque, perché di base è un buon testo a livello di personaggi e stile, a livello tecnico funziona, a livello di risoluzione, coinvolgimento e impatto sul lettore su di me non ha funzionato.

Voto:

E voi? Avete mai letto qualcosa di Reverte? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!

Euforia – Elin Cullhed

Buon mercoledì!

Come state? Come avanza questo strambo giugno?

Oggi torniamo a parlare, per via del libro attorno al quale ruota la recensione di oggi, di una poetessa e autrice di cui abbiamo già parlato su questi schermi, una figura amata dalla sottoscritta che torna ogni tot di tempo a farci visita qui, ovvero Sylvia Plath! Esatto, proprio lei.

Ne abbiamo parlato qualche mese fa con il famoso duo di articoli-biografia che potete trovare qui o nella sezione #PoetProfile.

Non ho mai pubblicato recensioni di testi letti per la preparazione di questi articoli o testi comunque inerenti a Sylvia Plath, ma Euforia non è una biografia, né un saggio, bensì un romanzo che mira a narrare la storia dell’ultimo anno di vita della Plath.

E’ stato un testo candidato al Premio Strega Europeo del 2022 e in generale ha avuto un successo direi medio, nel senso che è sbucato da qualche parte e se ne è parlato, ma di certo non è stato un testo che è esploso o è diventato “virale”.

Bene, parliamone!

Euforia – Elin Cullhed

Casa editrice: Mondadori

Pagine: 300

Genere: narrativa, narrativa biografica

Prezzo di Copertina: € 19,50

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione: 2022

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Incipit

Era la mia vita, il testo. Erano il mio corpo, la mia pelle, i miei polsi di un bianco luminoso a portarmi in bicicletta per il Devon. Quando incontravo qualcuno che conoscevo rabbrividivo, era come se i miei nervi e le mie vene formassero una rete sotto intorno al mio corpo, e il cuore era la mia bocca, era il cuore a parlare, lasciando uscire un “Salve!” se incrociavo la vicina (la moglie del direttore di banca) alla quale piaceva studiarmi per capire se ero normale. Il cuore batteva al centro di me stessa. La mia bocca. La mia bocca rossa. Ero io l’argomento, il motivo stesso, e allora come potevo allungarmi fuori di me e creare proprio quel motivo? Come potevo collocarmi lontano dal fulcro del motivo?

Trama

“Euforia” racconta l’ultimo anno di Sylvia Plath regalandoci l’indimenticabile ritratto di una mente brillante impegnata in una battaglia con il mondo, con le persone che ama e con se stessa. Quando il romanzo si apre, Sylvia, incinta del secondo figlio, è entusiasta all’idea della nuova avventura in cui lei e Ted Hughes si sono imbarcati insieme: ristrutturare una vecchia canonica lontano dalla grande città, crescere una famiglia in un regno tutto per loro. Prima dell’arrivo dei bambini Ted era il suo compagno in ogni cosa: da intellettuali vivevano intensamente la vita e ne prendevano ciò che volevano. Ma ora Ted scompare sempre più spesso nel suo studio per scrivere mentre Sylvia si ritrova abbandonata, un animale assediato dai suoi piccoli. Il suo desiderio è scrivere, amare, vivere, lasciare un segno nel mondo. Ma dove sarà la sua immortalità? Nei bambini che nutre con il suo corpo o nelle parole che appunta sulla pagina nei pochi momenti rubati? Quando Ted la abbandona definitivamente per andare dalla sua amante a Londra, Sylvia si scopre al contempo intossicata dal suo stesso potere e annientata dalla perdita. In questo stato di euforia, si sente sul punto di raggiungere il massimo dei suoi poteri creativi come scrittrice. Ha deciso di morire, ma l’arte a cui darà vita nelle sue ultime settimane infiammerà il suo nome.

Recensione

Dunque, come dicevo su questo blog abbiamo parlato ampiamente di Sylvia Plath e devo anche ammettere che io in primis sono probabilmente un poco rigida quando leggo romanzi basati sulla vita dell’autrice/rielaborazioni o esperimenti letterari di vario tipo che hanno comunque a che fare con la Plath, anche perché sono una grande estimatrice e ad oggi ho letto molti testi realmente scritti dalla Plath quindi realmente autobiografici (mi riferisco ai diari e alla sua corrispondenza) o scritti comunque da saggisti, biografi, persone vicine all’autrice nei suoi anni di vita.

Faccio questo discorso un poco delicato perché quando si parla della vita della Plath la prima cosa che può venire in mente è il fatto che l’autrice abbia vissuto una vita tragica per vari aspetti che sono sicuramente trapelati quando abbiamo parlato di lei nei due famosi articoli, quindi trovo che a volte si carichi molto questo aspetto (parlo sempre di testi ovviamente romanzati o reinterpretazioni), non voglio dire che Sylvia non abbia vissuto una esistenza tragica sotto molti aspetti, l’ha vissuta, ma secondo me quando si leggono testi romanzati su di lei è un attimo crollare nell’esagerazione o in un testo che comunque si focalizza solo su questo.

In questo testo l’autrice narra dell’ultimo anno di vita di Sylvia che è stato di certo costellato da delusioni, traumi e il ritorno anche della depressione, e il finale suicidio, ma leggendo questo libro di certo molto doloroso perché sentiamo la Sylvia Plath della Cullhed in un continuo stato di turbamento, rabbia, frustrazione e in generale direi inquietudine a tratti mi sono sentita un poco bombardata da questa voce reinterpretata dall’autrice di una grande poetessa come la Plath.

Parleremo meglio di questo aspetto nel corso della recensione, so che a molte persone questa caratteristica non ha dato particolare fastidio e va benissimo così, questa ovviamente è una mia opinione personale, però a tratti ho avvertito il voler cavalcare eccessivamente la parentesi legata all’instabilità anche psichica di Sylvia. Lei parla in prima persona in questo romanzo ed è un testo confessionale in cui si lascia andare a molti dubbi, insicurezze e ragionamenti sulla sua vita e su ciò che inizia ad incrinarsi piano fino ad esplodere.

Faccio questo discorso iniziale perché qui alla fine parliamo di questo, ovvero di un romanzo scritto modificando alcuni eventi essendo appunto un romanzo, in cui non sempre l’autrice è fedele, diciamo che aggiunge a volte una sua versione dei fatti e in questo non c’è nulla di male facendo parte del genere, ma come dicevo queste aggiunte sembrano sempre spingere sugli stessi punti, comunque ci arriveremo.

Stile, Ritmo e Atmosfere

L’autrice secondo me si butta in un esperimento, ovvero dare la voce a Sylvia cercando di entrare nella mente di questa e scrivere/esprimersi come si esprimerebbe (secondo l’autrice) Sylvia Plath, esperimento che una buona parte degli autori che scrivono biografie romanzate o simili tentano, ecco, la voce che emerge qui per alcuni tratti del romanzo può assomigliare a quella di Sylvia, non tanto in ciò che dice, ma per quanto riguarda la sfera mentale, quindi i pensieri che trapelano da questa Sylvia e il suo modo di vedere la realtà.

Ovviamente la Cullhed interpreta, come faccio anche io basandomi su ciò che ho letto della Plath e su una mia idea della sua personalità parlando di lei, comunque in altri tratti la voce di questa Sylvia mi è sembrata eccessiva come se l’autrice fosse entrata troppo dentro ad una sua idea della personalità di Sylvia.

E’ un discorso un poco complesso da fare, ma come dicevo è stata una lettura altalenante per me a livello sia di gradimento che di immersione nella voce di questa Plath.

Lo stile comunque dell’autrice è godibile, diretto direi perché Sylvia si esprime e pensa in modo diretto, anche a livello sessuale, ma la vera Plath era comunque una donna che rifletteva sulla sessualità, nei diari furono anche censurate varie pagine in cui parlava di sesso o fantasticava su questo.

Ci sono degli spunti interessanti nella scrittura della Cullhed, immagini suggestive ed evocative, sensazioni e modi di esprimere queste degni di nota.

Il ritmo generale del romanzo è medio, nel senso che essendo una biografia romanzata si prende i suoi tempi a tratti per arrivare ad eventi che segnarono irrimediabilmente la vita di Sylvia e il suo ultimo anno, quindi a tratti il libro diventa una spirale psichica autodistruttiva in cui la Plath pensa in modo ossessivo ad eventi o analizza sue paure che diventano un macigno e piano piano si va avanti con gli eventi.

Le atmosfere generali invece sono pesanti, ci sono anche momenti più rilassati e tranquilli in cui sembra di trovarsi con Sylvia in una giornata pacifica nel Devon però sono davvero parti minime, il romanzo si focalizza più che altro su l’ossessività dei pensieri di Sylvia che si ritrova in una realtà pesante da vivere e questo senso come dicevo, di pesantezza traspare parecchio dalle pagine, non saprei dire se è voluto dall’autrice oppure no.

“Ero straniera in quel paese, non avevano accolto molto bene le mie poesie, ma chi se ne importa, peggio per loro, avevo pensato, ho comunque la mia America.”

Un tassello in più?

Ero esaltata per la lettura di questo romanzo, anche perché ogni volta che esce un libro sulla Plath io in genere lo recupero sempre e questo sembrava davvero interessante. Tra l’altro da ciò che traspare finora da questa recensione sembra che io non abbia gradito questo romanzo, ma non è così, mi è piaciuto per certe caratteristiche e si vede che l’autrice ha fatto di tutto per entrare al suo meglio nella psiche di Sylvia e di immedesimarsi in lei e nella sua realtà, voglio credere anche per omaggiarla in primis.

Tra l’altro il fatto di aver omesso l’ultimo breve periodo di vita e il suicidio secondo me è stato un gesto di rispetto della Cullhed nei confronti di Sylvia, il non aver descritto il suo ultimo atto e in generale le ultime dure settimane della sua vita sono state scelte precise a mio vedere.

Il libro è questo quindi, un’altra versione secondo un’altra autrice di una parte della vita della poetessa, cosa aggiunge “Euforia” rispetto agli altri romanzi su di lei? Beh di sicuro va un poco di più nei dettagli e nei pensieri di questa Sylvia e aggiunge pezzetti qua e là inventati dall’autrice basandosi sempre comunque su fatti reali, diciamo che ci sono delle aggiunte ma non è nulla di deturpante.

Per il resto non aggiunge molto altro, è un romanzo che io consiglierei a chi magari sa già qualcosa sulla vita della poetessa, ma so che si sono molte persone che hanno letto questo romanzo senza conoscere bene la Plath e lo hanno gradito molto, quindi è adatto a tutti, ovvio se conoscete già la sua vita saprete distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è e ciò che sembra una esagerazione romanzata da ciò che probabilmente si avvicina di più alla realtà e a ciò che è stato.

Non è un compito facile scrivere un romanzo sulla Plath perché si rischia di parlare sempre degli stessi argomenti perché di libri sulla Plath ne sono usciti a bizzeffe e dobbiamo accettare il fatto che non sappiamo e non sapremo mai nella realtà cosa è accaduto davvero in alcuni momenti precisi della vita della poetessa, possiamo romanzare e ipotizzare, ma alcuni eventi restano e resteranno un mistero.

Quindi apprezzo il tentativo della Cullhed che di certo si salva, è un romanzo nella media secondo me, che fa riflettere anche su vari temi della vita che ha dovuto affrontare Sylvia, ma come lei molt* altr*, e affronta anche temi tabù oserei dire che non si vedono di solito in testi su di lei o in media in altri testi. Si fa leva soprattutto sulla sfera mentale che filtra tutto ciò che vive Sylvia in un modo a tratti ossessivo e man mano che si va avanti nel romanzo e si arriva ai suoi ultimi mesi, anche molto problematico e parecchio dispersivo.

Conclusioni

Tutto sommato a parte l’esagerazione di alcuni punti e il fatto che a lungo andare diventa un romanzo ripetitivo in cui l’autrice ha aggiunto eventi che danno un tocco di esagerazione in più su quella già presente, è un testo godibile che va nel profondo di una psiche che affronta eventi traumatici e crolli nella sua vita fino ad esplodere.

Il modo in cui viviamo assieme a Sylvia questi mesi di continuo stress e certezze che crollano è devastante, ma allo stesso tempo interessante per come l’autrice riesce a dipingere questo crescendo di crisi.

Tutto sommato è un romanzo che sono felice di aver letto.

Voto

E voi? Avete mai letto “Euforia”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

Teddy – Jason Rekulak

Buon venerdì e ben ritrovat*!

Come state? Ci troviamo qui in un nuovo fine settimana per parlare del libro del giorno!

Oggi parliamo di “Teddy” di Jason Rekulak, un thriller paranormale che ha fatto molto parlare di se negli scorsi mesi, è un’uscita del settembre 2022 e devo dire che ora si vede decisamente meno in giro rispetto al botto delle settimane successive alla pubblicazione, ma ogni tanto viene ancora citato.

E’ un testo che di certo ha diviso e divide ancora i lettori, c’è chi lo ha amato alla follia e chi lo ha detestato ritenendolo a tratti privo di senso, con risoluzioni e sviluppi di trama discutibili.

Beh, dopo questa premessa direi che è il momento di darvi la mia opinione, parliamone!

Teddy – Jason Rekulak

Casa editrice: Giunti

Pagine: 416

Genere: narrativa, thriller psicologico, mystery, suspance

Prezzo di Copertina: € 16,90

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione: 2022

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Incipit

Qualche anno fa ero praticamente al verde, e così mi offrii volontaria per un progetto di ricerca della University of Pennsylvania. Seguendo le indicazioni arrivai all’ospedale del campus, a West Philly, ed entrai in un grande auditorium pieno di donne, tutte tra i diciotto e i trentacinque anni. Non c’erano abbastanza posti e io arrivai tra le ultime, così dovetti sedermi, tremante, sul pavimento. C’erano caffè e ciambelle al cioccolato gratuiti, e un grosso televisore che trasmetteva The Price is Right, ma tutte quante guardavano il telefono. Sembrava di essere in coda per qualche ufficio, però ci pagavano un tanto all’ora e quindi avremmo aspettato volentieri anche tutto il giorno.

Trama

Teddy è un dolce bambino di cinque anni, intelligente e curioso, che ama disegnare qualsiasi cosa: gli alberi, gli animali, i genitori e, occasionalmente, anche la sua amica immaginaria, Anya, che dorme sotto il suo letto e gioca con lui quando è da solo. Ma ora a occuparsi di lui per tutta l’estate c’è Mallory, la nuova babysitter. I due si sono piaciuti fin dal primo incontro, tanto che il signor Maxwell non ha potuto opporsi all’assunzione della ragazza, che nonostante la giovane età ha dei difficili trascorsi con la droga. All’apparenza tutto è perfetto: i Maxwell sono gentili e comprensivi, la loro casa sembra uscita direttamente dalla copertina di una rivista e le giornate sono scandite da una routine serena, che comprende giochi, pisolini e bagni in piscina. Fino a quando i disegni di Teddy cominciano a cambiare, diventano sempre più strani, cupi, quasi macabri e rivelano un tratto decisamente troppo complesso per un bambino di quell’età. Che cosa sta succedendo? Per Teddy è colpa di Anya, è lei a dirgli cosa rappresentare e a guidare la sua mano. Qualcosa non va e, anche se può sembrare una follia, solo Mallory può scoprire la verità prima che sia troppo tardi. Un thriller che sconfina nel paranormale e che, grazie alla forza espressiva delle illustrazioni, vi sorprenderà, pagina dopo pagina, in un inquietante crescendo, fino all’imprevedibile colpo di scena finale.

Recensione

L’autore prima di dedicarsi alla scrittura, è stato, fino al 2018, l’editore di Quirk Books. Il suo romanzo d’esordio, I favolosi anni di Billy Marvin (Rizzoli, 2018) è stato tradotto in 12 lingue e nominato per un Edgar Award. Teddy è il suo secondo romanzo che presto diventerà una serie per Netflix.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Allora, parliamo di un romanzo medio, nel senso che è un testo di 416 pagine, considerando anche il fatto che alcune non sono di testo bensì di illustrazioni prese dal blocco da disegno di Teddy appunto, questo bambino a cui la nostra Mallory deve fare da babysitter. Quindi per essere un testo medio scorre molto velocemente, anche perché lo stile di Rekulak è davvero scorrevole e fluido da leggere, di certo questo a mio avviso è uno dei tratti migliori del libro perché scorre che è una meraviglia ed è uno di quei casi in cui si dice sempre: “un altro capitolo, poi un altro e un altro ancora” e così facendo si legge metà testo in una serata.

Il libro è anche ambientato in tempi relativamente recenti quindi ci sono anche brevi accenni a fatti o tecnologie contemporanee insomma, senza contare il fatto che Mallory è una protagonista che ha a che fare con una serie di problematiche legate al suo passato, tra cui la sua precedente dipendenza da droghe e antidolorifici, la sua ancora in corso elaborazione del lutto e problematiche varie legate alla famiglia. Ciò per dire che sono vari i temi affrontati in queste pagine da Rekulak, senza contare quelle degli altri personaggi.

Quindi, lo stile funziona bene per un thriller, non spicca per caratteristiche particolari, funziona come veicolo di suspence per far arrivare il lettore alla fine.

Il ritmo direi che è constante, è un crescendo che porta fino alla risoluzione finale dell’enigma base del testo quindi il fatto che ad un certo punto durante il lavoro di Mallory come babysitter la ragazza inizi ad avere a che fare con strani disegni fatti da Teddy che non sembrano provenire dalla sua mano, ma da una mano decisamente più abile e grottesca perché il tenore di certi disegni è piuttosto macabro.

Le atmosfere generali devo dire che funzionano bene in alcuni punti soprattutto, ci sono frammenti di questo libro in cui si riesce a percepire il classico brivido sulla schiena, proprio per un insieme di fattori, il mistero, le presenze misteriose, il luogo in cui trova Mallory ecc. ecc.

Ciò che funziona e ciò che non funziona

Questo è un libro che mi ha fatto provare una serie di sensazioni e pensieri contrastanti a fine lettura, una parte di me ha sinceramente gradito la scorrevolezza e l’intrattenimento trovati in questo volume, un’altra parte si è chiesta più volte il perché di certe svolte di trama o plot twist o inserimenti vari di scene discutibili.

Devo dire anche che nonostante sia un testo veloce da leggere, ad un certo punto ho avvertito un senso di sazietà, sapete come quando avete mangiato tanto a tavola al pranzo di Natale e il prossimo boccone potrebbe farvi esplodere, ma lo mangiate comunque anche per far piacere a vostra madre che ha cucinato per ore? Ecco, c’è tanto in questo volume a livello di eventi, temi, svolte di trama varie da essere troppo a una certa.

Alcune persone, ho notato leggendo varie recensioni su Goodreads, hanno avuto dei problemi con alcune tematiche inserite nel libro o lasciate trapelare da alcuni personaggi, in particolare quella riguardante l’essere transgender, un’altra riguardante l’ateismo, un’altra il razzismo.

In realtà ci sono varie tematiche, oltre anche a quelle che ho citato, che non vengono esposte palesemente dall’autore, ma vengono fatte trapelare in modo subdolo in scene che vengono buttate lì come veicolo di avanzamento della trama, ma non vengono mai giustificate oppure viene data a queste una risoluzione davvero dozzinale e di poco conto.

Nel volume si parla di questa tematica (l’essere transgender), o meglio si accenna davvero brevemente, non si esplora più di tanto, ma è un tema che risulterà importante in funzione dello svolgimento della trama, ebbene a parte il trascinarla dentro la trama senza un senso logico, ma più come giustificazione di un evento appunto della trama, non sta molto in piedi a livello logico. Non posso scendere troppo nei particolari per non fare spoiler, ma vi dico che il modo in cui si usa questo tema, che dovrebbe essere una trovata originale a livello di risoluzione della vicenda, non sta molto in piedi a mio avviso. In più spunta in un contesto di violenza e sopraffazione e oltre che essere forzata e trattata in un modo che dire approssimativo è dire poco.

La critica riguardante l’ateismo ha a che fare con il fatto che i genitori di Teddy siano atei convinti e proibiscano a Mallory qualunque espressione religiosa in presenza del bambino, non si può parlare di religione dentro casa, o accennare minimamente a questa e i genitori di Teddy sono personaggi che vengono descritti fin dall’inizio come individui dubbi… diciamo, quindi l’autore lascia intendere che gli atei siano persone rigide, arrabbiate e astiose nei confronti della religione e in generale amanti della censura.

La tematica del razzismo invece riguarda un personaggio in particolare che è Mitzi, una vicina di casa di Mallory e della famiglia di Teddy che viene rappresentata come una hippy che fa uso di sostanze e contatta i morti, una figura aperta spiritualmente diciamo che però si esprime in modo pessimo facendo riferimento al razzismo.

Ci sono anche altri temi, alcuni di questi devo essere sincera, durante la lettura non mi sono saltati all’occhio, ho letto le scene incriminate, ma le ho interpretate più come una esaltazione di un cliché riguardante un certo personaggio più che come messaggio subdolo inserito dall’autore.

Parlando di cliché e personaggi, senza mai fare spoiler, penso sia intuibile il fatto che i personaggi da sospettare siano quelli a cui si pensa subito, certo magari all’inizio si ha un intuizione, ma non si è certi, però io non ho avvertito una particolare sorpresa nella scoperta finale che ha più strati però, infatti vengono dipanate varie risoluzioni a vari misteri alla fine.

Altri temi comunque invece saltano all’occhio perché sembrano forzati o come dicevo alcune scene vengono giustificate malamente oppure nemmeno giustificate, ci si aspetterebbe più commento da parte di Mallory che narra il tutto, invece viene accettata e basta la situazione.

Sicuramente è un testo che ha dei problemi a mio avviso, a livello anche di incastro e risoluzione, c’è la parentesi paranormale che penso sia gestita abbastanza bene anche se si sporca verso il finale, diventa un intrigo un po’ confuso.

I punti positivi sono l’atmosfera e la scorrevolezza, direi anche che fino ad un certo punto il lato paranormale ha dei lati originali e interessanti che, come ho detto in precedenza, funzionano bene.

Conclusioni

E’ un libro che io ho letto nell’arco di una finestra temporale ampia, ma non perché sia un libro lento o complesso da leggere, semplicemente perché l’ho messo da parte per un tot di tempo per focalizzarmi su altre letture, e alla fine sono stata felice di leggere soprattutto per l’essermi tolta la curiosità una volta per tutte.

E’ un thriller che sicuramente è stato aiutato anche dai social nella sua esplosione di fama, posso capire anche perché abbia avuto questo successo forse solo leggermente eccessivo, però come scritto anche sopra è un thriller scorrevole, originale per certi inserimenti, un tipo di lettura di intrattenimento.

Ma è anche un volume con tutti i problemi che ho elencato prima, senza parlare del fatto che uno degli aspetti, a mio avviso, più fastidiosi in un thriller è la risoluzione di certe parentesi con soluzioni discutibili o poco probabili, fattore presente in questo libro, purtroppo.

Voto:

E voi? Avete mai letto “Teddy”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!

L’Invenzione di Morel – Adolfo Bioy Casares

Buon venerdì!

Come state? Come siete arrivat* all’inizio di questo mese di maggio?

Oggi torniamo alle recensioni, finalmente dopo il periodo di semi-sparizione e l’attesa per la pubblicazione del famoso articolo su Sylvia Plath, torniamo sul nostro caro sentiero costellato di recensioni.

Parliamo di un libro che ho letto oramai qualche mese fa ed è un testo che ho citato anche nell’articolo dei libri da regalare a Natale, quindi ehm… sì, andiamo un poco indietro. Ero convinta tra l’altro di aver già pubblicato la recensione di questo testo, ma a quanto pare mi sbagliavo quindi bisogna rimediare il prima possibile, il libro in questione è L’Invenzione di Morel di A. B. Casares.

Parliamone!

L’Invenzione di Morel – Adolfo Bioy Casares

Casa editrice: SUR

Pagine: 133

Genere: fantascienza, narrativa

Prezzo di Copertina: € 15,00

Prezzo ebook: € 9,99

P. Pubblicazione (ITA): 2017

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Oggi, su quest’isola, è avvenuto un miracolo. L’estate è arrivata in anticipo. Ho sistemato il letto vicino alla piscina e fatto il bagno fino a molto tardi. Impossibile dormire. Due o tre minuti all’asciutto erano sufficienti a trasformare in sudore l’acqua che doveva proteggermi dall’afa spaventosa. All’alba mi ha svegliato un fonografo. Non ho potuto tornare al museo per prendere le mie cose. Sono fuggito giù per le scarpate. Mi trovo nella zona delle paludi, a sud, tra piante acquatiche, furibondo per le zanzare, con il mare o sudici ruscelli fino alla vita, e mi accorgo di avere assurdamente anticipato la mia fuga.

Trama

“L’invenzione di Morel” è il romanzo più celebre di Adolfo Bioy Casares, uno dei narratori più originali della letteratura latinoamericana del Novecento. Pubblicato nel 1940, esce oggi in una nuova traduzione di Francesca Lazzarato, che ne ha curato anche la postfazione. Fortemente ispirato all’”Isola del dottor Moreau” di H.G. Wells e ai racconti di E.A. Poe, questo romanzo visionario narra le avventure di un fuggiasco che, sbarcato su un’isola deserta per evitare la condanna all’ergastolo, scopre di non essere solo come credeva. In bilico tra il terrore di essere identificato e la frustrazione per il desiderio di essere riconosciuto, il protagonista si ritrova sospeso tra realtà e irrealtà e inizia a seguire, osservare e spiare gli altri isolani. Sarà infine il misterioso Morel a fornirgli le chiavi di lettura di un mondo allucinatorio costituito da pura forma.

Recensione

Casares era un grande amico e collaboratore di Jorge Luis Borges, scrisse numerose storie con lui, sotto lo pseudonimo di Honorio Bustos Domecq.

L’Invenzione di Morel è l’opera più famosa di Casares, pubblicata per la prima volta nel 1940. A Bioy Casares sono stati conferiti numerosi premi e riconoscimenti, fra cui il Gran Premio de Honor della SADE (la Società Argentina degli Scrittori, 1975) e il Premio Miguel de Cervantes nel 1991.

Stile, Ritmo e Atmosfere

Lo stile utilizzato per questo romanzo è certamente diretto e personale, leggiamo direttamente dal diario di un uomo che narra della sua rocambolesca e particolare esperienza su un’isola, si trova su questa per dei problemi con la giustizia, infatti è un ricercato e per scappare da tutto decide di seguire il consiglio di un uomo incontrato per caso che gli suggerisce proprio di andare a vivere in solitaria in questo luogo all’apparenza disabitato.

Il tono della narrazione è quindi quello confidenziale e diretto di un individuo spaventato e solo che si lascia andare a riflessioni e considerazioni. E’ uno stile decisamente scorrevole però e direi che la narrazione prosegue ad un ritmo sostenuto, è pur sempre un romanzo di 133 pagine.

Le atmosfere sono legate a questo ambiente naturale e selvaggio, con elementi naturali molto forti, immagini di acqua, alberi, insetti, fango, vegetazione, ma con un tocco di mano umana, perché infatti su quest’isola (questo è proprio il fulcro dell’intera vicenda) al di sopra di una specie di collina ci sono delle costruzioni edificate dall’uomo.

L’atmosfera generale attraversa diversi stadi, abbiamo quello frenetico legato all’inizio alla fuga di quest’uomo, che racconta dell’idea di traferirsi su un’isola e della effettiva fuga quando è già in questo luogo, abbiamo poi quello della curiosità quando inizia a scoprire il luogo e queste costruzioni e questo tono di curiosità mista a inquietudine dura per una buona parte del romanzo in cui sia lui che il lettore cercano di capire il mistero di quest’isola. Successivamente abbiamo il lato più spaventoso e la risoluzione finale, insomma c’è un bel sali e scendi con questo testo.

Il romanzo perfetto

Questo romanzo, o racconto, viene descritto come perfetto a livello di struttura e incastro narrativo ed effettivamente è un testo senza dubbio completo e ben strutturato, che prende ispirazione dal famoso “L’Isola del Dottor Moreau” di H.G. Wells.

Quindi abbiamo a che fare con un narratore che fa una strana e curiosa scoperta, come dicevamo su questa collina scopre l’esistenza di strutture umane tra cui una cappella, un museo e una piscina. All’inizio si approccia a queste con cautela, anche perché sente voci e presenze umane da lontano quindi sa che c’è qualcuno oltre a lui in questo luogo e cerca di spiare queste persone da lontano, ma con il tempo si fa più audace e decide di tentare un approccio.

Il protagonista si lancia nel corteggiamento di una donna, che fa parte del gruppo di individui comparsi su questa collina, tenta e ritenta con questa donna, ma man mano che il tempo passa fa una scoperta piuttosto strana e inaspettata.

Diciamo che da parte del lettore si può arrivare a comprendere in parte il mistero prima della rivelazione che colpisce il protagonista, ho trovato invece il finale piuttosto sorprendente e inaspettato.

Secondo me “L’invenzione di Morel” è un libro che può piacere a molte persone perché ha tutti gli elementi per intrattenere e far riflettere, ma allo stesso tempo stupire e avvicinare il lettore alle disavventure di quest’uomo fuggito dalla legge per rincorrere una speranza di salvezza, senza considerare che la fuga dal carcere lo ha scaraventato in un altro carcere selvaggio e sperduto.

Sono tanti i temi inseriti da Casares, abbiamo il lato fantastico che si interseca con il selvaggio, il tema dell’immortalità, l’amore e la morte, ma anche la solitudine e il controllo.

Il famoso Morel del titolo è uno dei personaggi che compaiono su questa collina in compagnia della famosa donna di cui il nostro protagonista si innamora e lui con la sua invenzione hanno fortemente a che fare con il controllo di cui stavo parlando prima, controllo addirittura sulla vita e l’immortalità, un controllo che manca completamente al nostro fuggiasco che ha invano tentato di mettere assieme la sua vita e ricominciare, fallendo.

L’amore che il protagonista prova per una donna che di fatto non conosce e non risponde al suo corteggiamento lo tiene però lontano dalla solitudine in cui è caduto, sembra infatti che l’autore ricolleghi l’amore alla salvezza dalla solitudine, una solitudine in cui l’uomo non vuole e ha paura di ricadere, scappa da questa non accettando nemmeno la realtà, perdendo di nuovo il controllo sulla sua vita.

Di base, oltre a molti altri elementi, “L’invenzione di Morel” è anche la storia tragica di un uomo che per tutto il tempo fugge, dalla legge, dalla solitudine, dall’accettazione della realtà, dalla mortalità.

Parlando del lato fantastico e inquietante, che sono ciò che incuriosiscono maggiormente durante la lettura perché si vuole scoprire il mistero dietro a tutto, alcune persone hanno nel corso degli anni descritto questo testo aggiungendo anche un aspetto legato al terrore delle atmosfere e della vicenda. Di certo ha dei risvolti macabri e tragici, all’inizio è facile provare ansia con il protagonista per le scoperte che fa e che sembrano non avere una spiegazione logica, ma forse non aggiungerei “terrore” ai termini adatti per descrivere il libro.

Ma è sicuramente inquietante, in più il lato fantastico di cui stavamo parlando prende una piega più tecnica e logica andando avanti nella lettura, ma tutto il romanzo ha questa atmosfera generale di sospensione, come se il nostro protagonista, il luogo e queste persone fossero letteralmente ferme e immobili nel tempo.

Conclusioni

Di certo consiglio la lettura de “L’invenzione di Morel” anche per la struttura, la curiosità e la godibilità nella lettura, è un romanzo adatto anche a periodi di semi-blocco del lettore o periodi in cui si ha voglia di una lettura non troppo complessa perché magari si vive una situazione stressante, è una boccata di aria e avventura, anche per il luogo in cui il libro è ambientato.

Su di me non ha avuto un impatto così forte, ma la considero assolutamente una lettura piacevole, fa parte di quei volumi che ho gradito, ma non vanno oltre le tre stelline e mezzo, ma di certo è un romanzo ben costruito e ottimo sotto tutti i punti di vista.

Voto:

E voi? Avete mai letto “L’invenzione di Morel”? Sì? No? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

A presto!