Buona domenica, buona Befana (in più che ritardo) e ben ritrovati/e sul blog!
Rieccoci a parlare di libri dopo qualche giorno di pausa, questa sarà la prima recensione di un anno che spero, sarà costellato di articoli interessanti.
Voglio cercare di recuperare con le recensioni arretrate, anche perché di vari libri di cui abbiamo parlato negli ultimi giorni del 2021 non esistono recensioni approfondite e di questo me ne dispiaccio, quindi cercherò di ovviare a tutto ciò il prima possibile.
“Rosso nella Notte Bianca” è stato uno dei miei libri top del 2021 e non vedo l’ora di parlarvene, quindi iniziamo!

Rosso nella Notte Bianca – Stefano Valenti
Casa Editrice: Feltrinelli
Genere: narrativa letteraria/narrativa contemporanea
Pagine: 117
Prezzo di Copertina: € 12,00
Prezzo ebook: € 8,99
P. Pubblicazione: 2016
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Incipit
La tremenda immensità dei duemila metri. La distesa è intirizzita. E la neve di novembre ha cancellato arbusti, rocce, terreno. Ulisse ritrova l’ombra nebbiosa del primo mattino, un’onda immobile che divora i monti. La accoglie fermo, le braccia abbandonate sui fianchi. E’ arrivato in malga ieri sera. Lì, in radura, la casera bruciata. Le pareti della baita nere di fumo trascorsi ormai cinquant’anni.
Trama
Valtellina. Novembre 1994. Il settantenne Ulisse Bonfanti attende Mario Ferrari davanti al bar e lo ammazza a picconate. E, alla gente che accorre, dice di chiamare i carabinieri, che vengano a prenderlo, lui ha fatto quello che doveva. Erano quarantotto anni che Ulisse mancava da quei monti. Dopo avere lavorato tutta la vita con la madre Giuditta in una fabbrica tessile della Valsusa, è tornato e si è rifugiato nella vecchia baita di famiglia, o almeno in quel che ne è rimasto dopo un incendio appiccato nel 1944. Non un fiato, non un filo di fumo, non una presenza tutto intorno. In questo abbandono, tormentato da deliri e allucinazioni, Ulisse trascorre l’ultima notte di libertà: riposa davanti al camino, cammina nei boschi, rivive la tragedia che ha marchiato la sua esistenza. Dimenticato da tutti, si rinchiude come un animale morente in quella malga dove nessuno si è avventurato da decenni. I ricordi della povertà contadina, della guerra, della fabbrica, delle tragedie familiari, si alternano in una tormentata desolazione. Una desolazione che nasce dal trovarsi nel paese dove, nel 1946, è morta la sorella Nerina. È la stessa Nerina a narrare quanto accaduto. Uno di fronte all’altra, la neve sullo sfondo, Ulisse e la giovane sorella si raccontano le verità di sangue che rendono entrambi due fantasmi sospesi sul vuoto della Storia.
Stefano Valenti ha scritto anche “La Fabbrica del Panico” e le vicende, i personaggi e i luoghi presenti ne “Rosso nella Notte Bianca” sono tratte da fatti realmente accaduti, ma rielaborati dall’autore, quindi il libro non ha pertanto valore documentario.
Stile, Ritmo e Atmosfere
Lo stile con cui è scritto il libro può risultare di certo diverso, originale sulle prime perché ad esempio i dialoghi mancano di punteggiatura quindi ci vuole qualche secondo per capire che stiamo leggendo un dialogo e i capitoli sono composti da paragrafi piuttosto brevi di una decina di righe, rigo più rigo meno.
Lo stile di Stefano Valenti è piuttosto diretto, crudo, specialmente quando deve raccontare fatti violenti o brutali poi lo stile rimane diretto, non si prolunga in eccessive descrizioni o non usa tecniche particolari per far entrare il lettore nel mood del momento e prepararlo per quello che arriverà, rimane lineare.
“Ricordo, dice Ulisse rivolto a Nerina, che nostra madre diceva Con quello che ho vissuto nei monti non tornerei a viverci nemmeno un minuto, diceva Me ne andrei via fin da subito, trascorrerei piuttosto la vita in fabbrica, tutta la vita in fabbrica. Perché nei monti la donna vive come un animale, diceva, fradicia d’umidità e fatica, ed è preferibile per la donna vivere in fabbrica, cercare di trarre profitto dal vivere in fabbrica, piuttosto che dal vivere nei monti. Nei monti la donna ha il valore della bestia, meglio perdere la donna e non la bestia, che la bestia è tutto per il contadino, la donna niente. Ecco il valore che ha la donna nei monti, il valore di un animale, meno di un animale.”
ll ritmo generale del libro rimane piuttosto veloce, c’è da considerare che è un libro breve, di 117 pagine in cui accadono molti fatti, tanti di questi sono ricordi e altri invece sono fatti attuali (per i tempi della storia), quindi il ritmo rimane spedito senza togliere nulla della vicenda però, perché i dettagli e le parentesi varie ci vengono raccontate tutte.
Le atmosfere generali del libro sono piuttosto fredde e distaccate, ci troviamo in luoghi montuosi, in anni di paura e violenza, in un clima di abbandono e rinuncia.
Si avverte il dolore dei personaggi, si sente sulla pelle, le violenze perpetrate su di loro rimbombano in questi luoghi freddi, ghiacciati, stretti nella morsa dell’abbandono e della solitudine, anche se i personaggi principali infatti sono una famiglia composta da fratello, sorella e madre, tutti loro sembrano rinchiusi in una gabbia di solitudine e dolore personale, anche se non manca l’amore tra di loro e la sofferenza per le pene degli altri.
Il Vuoto della Storia
Una dei protagonisti del libro è senza dubbio la Storia con la “s” maiuscola, come dicevo siamo per la maggior parte del tempo nei ricordi di Ulisse e Nerina, protagonista e sorella del protagonista, che si muovono nel viale dei ricordi dell’anno 1944.
Un anno devastante, denominato l”annus horribilis” della guerra in Italia, l’anno in cui l’Italia era stretta tra la morsa nazista e quella della guerra, l’anno con più morti in Italia.
In questo scenario assistiamo alle vicende della famiglia Bonfanti, con Ulisse partigiano sulle montagne lombarde durante la Resistenza, e Nerina che cade vittima dei Repubblichini guidati da un traditore, Mario Ferrari, e infine la madre a cui Ulisse si unirà abbandonando i luoghi dove è cresciuto per fare l’operaio in un cotonificio in Valsusa.
Riviviamo assieme a Ulisse e Nerina quei momenti e assieme a lui arriviamo nel 1994, anno in cui Ulisse torna in quei luoghi per vendicarsi.
Il vuoto della Storia è quello delle vittime dimenticate, dei superstiti che per anni hanno cercato di andare avanti, di fare giustizia, o a volte semplicemente di sopravvivere immersi in un passato che per gli altri è difficile da capire, in un dolore che brucia sempre e non si estingue mai.
Il vuoto della Storia è quello delle persone morte a cui nessuno darà mai giustizia, sono un capitolo già letto, un sacrificio non considerato, la morte di Nerina è una ferita ancora aperta e sanguinante per Ulisse, ma per la Storia sembra solo un’altra ragazza morta prematuramente dopo anni di sofferenza.
Questo vuoto fra il dolore e la perdita e la mancanza di giustizia, di peso e di considerazione è ciò che crea il vuoto della storia, un vuoto che lascia le vittime sole, abbandonate a loro stesse, a dover fare i conti con le perdite e un domani incerto e amaro.
Quale giustizia?
Questo libro apre anche una parentesi sul significato vero di giustizia, uno dei grandi temi più complessi dell’umanità direi, cosa è giusto? Chi può dirlo con certezza? Quanto è profondo l’abisso fra giustizia personale e giustizia legale? Quanti tipi di giustizia ci possono essere?
La differenza fra quella personale o privata sta soprattutto nella soddisfazione personale a discapito delle sorti di colui su cui ci si vendica, mentre ovviamente quella legale non bada alla soddisfazione personale, ma è legata ad un giudice e alla legge. E dato che la società si è certamente evoluta ad oggi siamo coscienti del fatto che la giustizia personale non è un tipo di giustizia affidabile.
In “Rosso nella Notte Bianca” assistiamo ad un tipo di giustizia personale/privata, noi come lettori, nonostante i vari interrogativi sulla giustizia infatti ci troviamo in difficoltà perché Ulisse compie un’azione da non approvare, certo, ma non possiamo fare a meno di empatizzare con lui, se non per la sua scelta di sicuro per la sua storia.
Dobbiamo anche tenere conto del fatto che Ulisse ha delle problematiche a livello psicologico, che sono piuttosto evidenti nei pezzi in cui ci ritroviamo soli con lui, ma queste problematiche possono anche avere una diversa interpretazione.
E di quello che è accaduto conservo ricordi nitidi. E la paura, conservo anche quella, il rumore dei mitra, l’inferno in terra, il fumo che cava via il fiato, morti per la via, la linfa dei corpi e quella della natura, liquidi mescolati, la carne nella sua bruttezza, dei colori della carne e dei muscoli e dei nervi e l’odore della morte che è l’odore del sangue fresco.
“Rosso nella Notte Bianca” è un libro che ci porta ad interrogarci sul significato di giustizia e vendetta, sull’eterna battaglia e fusione di queste, su ciò che può portare un individuo a compiere un atto agghiacciante come l’omicidio, a provare o tentare di provare ciò che prova quell’individuo, a farlo nostro e a provare ad andare avanti con tutto questo peso sulle spalle.
Conclusioni
E’ davvero complicato per me darmi un limite con questo libro perché potrei davvero star qui a scrivere una recensione infinita, e sento che “l’abbastanza” non sarà mai abbastanza con questo testo.
Penso sia complesso sulle prime affacciarsi ad uno stile come quello di Valenti, che lascia sorpresi all’inizio e quando si giunge a certe scene forti ci si ricorda sempre della schiettezza dell’autore anche nel suo proporre immagini crude, senza fronzoli.
E’ un libro di una forza estrema, che ci porta nelle profondità di un animo umano affaticato, provato da anni di dolore e perdite, un animo umano che sceglie la vendetta come via per lavare con il sangue altro sangue.
Questo libro mi è piaciuto molto e secondo me merita di essere esplorato, gli unici appunti più negativi che posso fare riguardano lo stile (ciò che ho scritto sopra) e il finale perché avrei gradito qualche pagina in più.
Voto:

E voi? Avete mai letto “Rosso nella Notte Bianca”? Sì? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!
A presto!
