L’Acqua del Lago non è Mai Dolce – Giulia Caminito

Buon pomeriggio!

Come state? Come va la permanenza su questo pianeta in mezzo a queste cascate di calura? Siete persi nella goduria delle ferie estive oppure è già tutto finito e il ritorno alla routine non è mai stato così triste?

Allora, oggi riprendiamo le recensioni finalmente e parliamo anche di un libro che è stato il libro del mese di maggio per il gruppo di lettura, un libro che non vedevo l’ora di leggere, un libro di cui si è parlato per mesi, un libro che forse, forse è stato il mio primo vero step verso una ripresa dato che la lettura di questo testo mi ha fatto riaccendere il fuoco della piena lettura.

Parliamo de “L’Acqua del Lago non è mai Dolce” di Giulia Caminito un testo del 2021, vincitore del Premio Campiello 2021 appunto.

Io direi di iniziare a sbirciare in qualche info del testo di oggi prima di addentrarci come sempre nella recensione vera e propria.

Iniziamo!

L’Acqua del Lago non è Mai Dolce – Giulia Caminito

Casa editrice: Bompiani

Genere: narrativa

Prezzo di Copertina: € 14,00 (ed. economica)

Prezzo ebook: € 8,99

Prima pubblicazione: 2021

Link all’acquisto: QUI

Incipit

Tutte le vite iniziano con una donna e così anche la mia, una donna con i capelli rossi che entra in una stanza e ha addosso un completo di lino, l’ha tirato fuori dall’armadio per l’occasione, se l’è comprato al banco di Porta Portese, il banco buono dei vestiti di marca ribassati, non quelli da poche lire, ma quelli con sopra il cartello: PREZZI VARI. La donna è mia madre e ha una valigetta di pelle nera stretta nella mano sinistra, si è fatta da sola la piega ai capelli, ha usato bigodini e lacca, ha gonfiato la frangetta con la spazzola, ha occhi verdi e gialli e tacchetti da cresima, lei entra e la stanza si fa piccola.

Trama

Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subìto Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un’esistenza priva di orizzonti.

Recensione

Questo libro è stato di certo un caso editoriale di cui si è parlato tanto, è il terzo romanzo di Giulia Caminito e oltre ad aver vinto il premio Campiello è entrato nella cinquina dei testi finalisti del Premio Strega 2021.

Stile, Ritmo e Atmosfera

Come sempre io arrivo a festa già finita, perché ricordo un periodo in cui non si faceva altro che parlare di questo libro, iper venduto, iper reperibile nelle librerie, spuntava fuori da ogni pertugio, e io come al solito quando un testo va molto “di moda” o è comunque nel suo periodo di esplosione, mi volto dall’altra parte e preferisco aspettare che scenda l’hype e una volta sceso mi approccio timidamente a passettini.

Stavolta (come mi è capitato anche in altri casi) a fine lettura mi sono detta: “avrei potuto anche leggerlo prima”, ma ciò che è fatto è fatto, è arrivato al momento giusto.

Comunque, parlando dello stile Giulia Caminito mantiene per tutto il volume una tipologia di approccio stilistico piuttosto accattivante, emotivo, direi poetico a tratti nella sua durezza, perché abbiamo a che fare con personaggi, situazioni, luoghi, ambienti a volte rudi che mostrano una faccia cruda della realtà, nella sua connotazione anche più fredda e definitiva.

Lo stile riesce a rapire il lettore e a portarlo assieme a Gaia, la protagonista, nel suo mondo. Direi senza fronzoli, anche perché le vicende sono narrate in prima persona proprio da Gaia che è un personaggio pragmatico, anche chiuso emotivamente a tratti, ma non per questo lo stile è scarno o freddo, risulta comunque poetico come scritto sopra, perché Gaia è una brava osservatrice e anche se a volte i suoi comportamenti esterni con gli altri possono sembrare chiusi, interiormente è una ragazza sensibile e fragile.

“[…] io so occupare il mio spazio, l’ho imparato tra le mura di casa, che quando non smargini, quando stai al posto che t’è stato assegnato – uno scatolone, un armadio, un sottoletto – non sei di disturbo, non alzi polvere e tutti ti tollerano, evitano di prenderti a calci.”

Un tratto che non ho amato dello stile è il ripetersi di elenchi di descrizioni, un qualcosa in cui l’autrice cade spesso. Può funzionare bene all’inizio e non se ne sente troppo il peso, ma più si va avanti con la lettura e più questi elenchi si ripetono e il tutto diventa eccessivo a tratti, pesante oserei dire, vi faccio un esempio:

“Il mio banco, il mio astuccio, il bagno dove ci teniamo l’un l’altra la porta, il muretto, lo spazio che vogliamo marchiare della nostra umanità, rendere possesso ciò che è sconosciuto, spaventoso.” – “Si alza così una trincea, tra la me bambina che può sentirlo parlare nel sonno e la me donna che deve smettere di farlo, i nostri giochi separati, i nostri vestiti diversi, i poster appesi sul mio lato, le bandiere politiche sul suo, i letti con le lenzuola e le federe spaiate, ombre cinesi, lo vedo apparire e scomparire dietro alla stoffa, sembra una marionetta.” – “Io penso a lui e a quell’orologio che ha al polso che costa tre delle mie racchette, i ricci col gel, il motorino già promesso per i suoi quattordici anni, penso alle magliette coi loghi, agli occhiali da vista firmati, penso a quanto sono buoni i pasticcini allo zabaione che prepara sua madre, penso alla glassa rosa confetto e poi alla tovaglia a quadri di casa mia, il piatto rotto, le carote, i detersivi in offerta, Mariano che ora mi odia, vi vede solo dietro a una tenda, la tedesca che mi vietava di stare coi pesci, i cancelli rubati dai fascisti […]”

Qui sopra ho citato tre scene del libro in cui sono presenti questi elenchi di immagini, scene, descrizioni, oggetti, che a volte funzionano e non storpiano a mio vedere la narrazione e altre volte un po’ per la presenza eccessiva un po’ perché alcune scene descritte in questo modo funzionano peggio rispetto ad altre, storpiano.

Il ritmo del testo è piuttosto scorrevole, la narrazione non corre e non si adagia sugli allori, mantiene un ritmo equilibrato, in alcuni tratti o per alcuni concetti ci immergiamo maggiormente nei pensieri di Gaia e nelle sue emozioni, ma in generale è un testo ben gestito a livello ritmico.

Le atmosfere generali sono di pura realtà, di vita comune, sembra di essere assieme a Gaia nei suoi giorni più tristi e nei suoi giorni di cambiamento, seguiamo la vita di una ragazza normale, cresciuta in una famiglia povera, con un padre invalido, una madre dal carattere duro e spigoloso, a tratti aspro e inflessibile, che man mano va avanti con la sua vita in mezzo a difficoltà ed eventi che in un modo o nell’altro la plasmano e la rendono adulta. L’atmosfera è triste a tratti, malinconica, proprio come la realtà specialmente in momenti difficili e critici che di certo non mancano in questo testo e che accompagnano Gaia attraverso questi giorni normali che alla fine sono momenti di crescita e in men non si dica la nostra protagonista si ritrova adulta, senza accorgersene quasi e anche questa è realtà, il tempo che corre e si porta via tutto.

Una personalità complessa

Ho letto vari pareri su questo libro e ho scoperto che a vari lettori non ha convinto molto il personaggio di Gaia, a me personalmente è piaciuto, trovo sia ben costruito, ma di certo è una personalità intricata, non di facile comprensione e capisco che si possa arrivare a non apprezzarla o a non riuscire nella connessione con lei.

La seguiamo dall’infanzia alla prima giovinezza e abbiamo modo di vedere la sua evoluzione e i motivi dei suoi cambiamenti a livello comportamentale, vediamo come certi eventi accaduti in età infantile siano la conseguenza di certi atteggiamenti futuri e soprattutto di come il contesto in cui è nata e cresciuta finisca per impattare su di lei.

Gaia è una ragazza cresciuta in un contesto di povertà, con due fratelli più piccoli, uno più grande di quattro anni e varie amicizie nel corso del tempo che l’hanno più che altro ferita, il libro tocca diversi temi che hanno a che fare con le amicizie e la famiglia, anzi direi che sono proprio due delle tematiche principali.

Parlando di famiglia non possiamo non soffermarci un secondo sui genitori di Gaia, la madre Antonia e il padre Massimo. Antonia ci viene presentata fin da subito, Gaia ci parla immediatamente di lei, è una madre difficile, una figura che respinge e trattiene allo stesso tempo, una donna che ha sofferto, una figura che ha dovuto sempre lottare per avere anche la più piccola cosa. E Massimo è un uomo reso invalido da un incidente sul lavoro, ma dato che tale lavoro era in nero non ha mai ricevuto nessun soldo dall’assicurazione, e ora è paralizzato su una sedia a rotelle a vita. Ci appare come una figura rotta, spezzata dalla vita, quasi il fantasma di sé stesso, le continue lotte con Antonia sono conflitti che abbandona, la sua presenza nella vita dei figli diventa incostante e debole.

“Loro la alzano e la spostano di peso, la sollevano per braccia e gambe e allora la camicetta si apre e mostra un reggiseno senza ferretto, seni gonfi, la gonna si strappa e spuntano le sue mutande, mia madre ha già fatto a brandelli il vestito buono e scalcia e grida, come fiera spietata. E io è come se fossi lì, in piedi, a guardarla dall’angolo della stanza, la giudico e non la perdono.”

Vediamo vari personaggi incrociare il cammino di Gaia, amiche e amici, fidanzanti, parenti ed emerge molto spesso un lato della sua personalità come scritto anche sopra, non emotivamente aperto, forse è proprio questo l’aspetto che mi ha fatto apprezzare il personaggio, il suo essere così dura all’apparenza, una figura che sembra sempre avere il controllo sulle sue emozioni e sulle sue azioni, ma che in realtà (abbiamo modo di incrociare questo lato del suo carattere varie volte nel corso del libro) si lascia andare anche a scatti d’ira, azioni dannose dettate dalla rabbia, reazioni violente. Gaia è come una diga che si rompe, trattiene, si mette comoda e pensa di poter sopportare, digerire un evento, ma quando questo evento diventa troppo per lei non riesce a rispondere in modo logico o calmo, esplode.

Questa esplosione però non è solo la conseguenza di quell’evento, ma di altri eventi, un sovraccarico di emozioni che le piombano addosso.

E nel corso del libro, in momenti diversi e per motivi diversi (tenete conto del fatto che non voglio spoilerare quindi cerco di essere il più generica possibile) Gaia esplode perché la vita ti porta al punto di rottura e ti porta anche a non farcela a volte, questo è un testo che rappresenta una vita normale anche nel suo senso più fallimentare, non sempre c’è il successo, non sempre dopo la fatica c’è la soddisfazione, non sempre dopo il dolore c’è la gioia, a volte c’è solo lo scegliere la variante meno brutta.

Gaia fatica, soffre, studia, cresce, ma arriva al punto in cui quando è il momento di spiccare il volo, di avere un qualcosa in mano, di riuscire, lei non riesce. E questa in realtà è la storia di molte persone, è una storia reale, normale, non c’è solo l’idealizzare sempre un futuro ideale dove tutto si aggiusterà, c’è anche la vera realtà, quella di una vita dove non si ottiene ciò che si desidera.

E Gaia è sommersa dal suo ego, rinchiusa dentro ad un muro di rabbia e rancore per ciò che non ha avuto, ciò che non è andato nel modo desiderato, ciò che non ha funzionato, ci appare a tratti come una ragazza rigida nella dimostrazione dei suoi sentimenti e delle sue emozioni o di qualunque reazione che non sia quella rabbiosa e rancorosa.

Il lago come metafora della vita

Il lago stesso, simbolo di questo libro che torna sempre, il centro di tutto, un posto intorno al quale ruotano i personaggi e le vicende del romanzo, rappresenta proprio la vita.

Il lago e la sua acqua, a volte torbida e oscura che rappresenta le difficoltà e la fatica nel destreggiarsi tra i cunicoli della vita, a volte brillante che splende illuminata dalla luce del sole, acqua che cura e che scorre, simbolo di rigenerazione, dello scorrere del tempo e della vita.

Gaia anche alla fine del testo pensa al lago, torna al lago che ha assunto una serie di significati importanti per lei, è come se tutti i ricordi, tutti gli eventi vissuti siano stati raccolti e riportati lì, fonte che la riporta alla realtà.

In realtà in questo libro abbiamo anche altri elementi se vogliamo, immagini simboliche, che possono risplendere in varie scene e sembrano assumere un significato ben preciso, abbiamo il fuoco simbolo di rabbia, vendetta e distruzione, abbiamo anche un sacchetto di limoni che compare in una scena decisamente amara, simbolo di abbandono, distacco.

Insomma in questo libro persino determinate immagini a primo acchito innocenti si imprimono nella memoria e diventano portatrici di significati profondi.

Conclusioni

Mi è piaciuto decisamente questo libro, unico neo lo stile che a volte non mi ha fatta impazzire, è sicuramente vivido ed intenso, vivo e crudo in alcuni punti, ma l’autrice a volte si lascia andare alla scrittura di queste liste infinite che a volte risultano un poco pesanti e trascinano giù la scrittura, anche per il loro essere così frequenti.

In generale comunque è stata una lettura coinvolgente ed entusiasmante, non vedevo l’ora di prendere in mano il volume per poter andare avanti ed era un qualcosa che mi mancava parecchio, considerando i mesi di blocco.

Voto:

E voi? Avete mai letto “L’acqua del lago non è Mai Dolce”? Vi è piaciuto? Sì? No? Fatemi sapere!

A presto!